La pratica della meditazione e la rivoluzione della coscienza

pubblicato in: AltroBlog 0

LA PRATICA DELLA MEDITAZIONE E LA RIVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

(di Mario Thanavaro)

La pratica della meditazione è uno strumento che ci viene offerto per
potenziare la nostra capacità di visione.

L’attività del meditare, propria del nostro cuore-mente, impegna tutte le
facoltà spirituali, non solo quelle intellettive o pratiche. Comunemente,
con questa parola si intende la capacità cosciente di cogliere il senso
profondo di quanto avviene al nostro interno. Meditare non significa dunque
semplicemente pensare, ma essere presenti all’evento del pensiero. Questa
presenza si può paragonare a un riflettore, a un fascio luminoso che
illumina un particolare aspetto del tema che vogliamo trattare,
considerandolo ed elaborandolo.

Questa attenzione al pensiero come evento interiore, alla scoperta dei
grandi temi dell’uomo, ci permette di riconoscere una parte di qualcosa che
va al di là della nostra volontà. Se per la pratica della concentrazione è
necessaria, e a volte sufficiente, la volontà per poter essere presenti e
concentrati sull’oggetto concentrativo, nella pratica della meditazione
viene richiesto un maggiore rilassamento di questa volontà, e quindi una
maggiore capacità di accoglienza.

Nella pratica meditativa avviene qualcosa di molto grande, di molto vasto:
avviene una vera liberazione interiore. Infatti, ogni volta che diamo spazio
al pensiero, ogni volta che notiamo la coscienza nel suo molteplice
manifestarsi, ecco che portiamo all’unità quell’interiorità nascosta che
cerca la luce, che vuole essere illuminata, che necessita di essere compresa
all’interno dell’uno.

Abbiamo tutti bisogno di molta umiltà nell’accogliere i nostri eventi
interni e il nostro pensiero, perché nella misura in cui permettiamo ai
pensieri di fluire siamo effettivamente in grado di esserne liberi. Ma se
non permettiamo questo fluire, nella sua alternanza di positivo-negativo,
bene-male, finiamo per demonizzare persone e oggetti, e creiamo al nostro
interno un vero conflitto tra bene e male.

La meditazione è un valido strumento per la conoscenza profonda di se
stessi. Ma le pratiche meditative fanno parte di un corpo molto più vasto di
insegnamenti, senza i quali la pratica meditativa può rimanere inefficace.
La meditazione non deve ridursi a semplice tecnica, perché riflette uno
stato di coscienza pregno delle conoscenze dei grandi maestri di tutti i
tempi, appartenenti alle vere tradizioni di ricerca spirituale.

Potremmo dire che la meditazione è il corretto atteggiamento nei confronti
della vita stessa, e non è quindi riducibile a una tecnica o a una postura
fisica, perché se così fosse escluderemmo gran parte delle esperienze che
costituiscono il nostro vivere quotidiano. Se abbiamo chiaro questo punto,
possiamo avvicinarci alle pratiche meditative con una impostazione corretta,
riconoscendo nelle pratiche un apporto valido, e per molti aspetti
indispensabile, al fine di correggere la nostra percezione degli eventi.

Possiamo avvicinarci alla pratica meditativa considerando il nostro corpo
come un apparecchio radiofonico. Nel corso della giornata il nostro
apparecchio psicofisico, proprio come una radio, è in grado di ricevere
diverse esperienze, di sintonizzarsi su diversi programmi. Queste esperienze
vengono vissute come sensazioni, emozioni, stati mentali. Sintonizzarsi
correttamente su queste esperienze significa essenzialmente prendere
coscienza di quello che ci sta accadendo, essere pienamente consapevoli
dell’oggetto osservato.

In altre parole, la nostra capacità di ascolto oggettivo del programma che
stiamo percependo ci permette di conoscere la natura degli eventi così come
si manifestano, secondo le cause e le condizioni che li determinano. Ciò che
avviene nella nostra vita è determinato e al tempo stesso determinabile.
Questa comprensione ci permette di liberarci dalla convinzione assai diffusa
che le cose siano predeterminate, dalla credenza che siamo vincolati a un
destino.
La corretta comprensione della sequenzialità, della relazione di causa ed
effetto ci permette di riconoscere una possibilità che sta a noi cogliere
momento per momento: la possibilità di essere liberi.

Non possiamo relegare questa possibilità nel futuro, e non possiamo nemmeno
compiangerci per non essere ancora illuminati. Dobbiamo assumerci la
responsabilità di convogliare tutte le nostre forze perché nel momento
presente si attui una vera rivoluzione della coscienza, realizzando
pienamente ciò che siamo: esseri di luce in grado di ricevere luce e di
trasmetterla. Anche se esistono parole diverse per descrivere questo stato
di coscienza (libertà, verità, amore), indicano tutte un’unica capacità: la
capacità di vedere chiaramente, di conoscere chiaramente e di esprimere
chiaramente. Vedere, sentire, conoscere, esprimere sono proprietà della
coscienza, ed è sui principi della visione profonda che possiamo esprimerci
pienamente.

La pratica meditativa è lo strumento per far sì che questa visione profonda
non venga mai meno e perché si manifesti la chiarezza necessaria a essere
nella vita al di là del dualismo che la caratterizza a livello sensoriale.

Il nostro percorso si svolge all’interno della nostra esperienza
psicofisica, ma ci porta alla sviluppo delle nostre potenzialità per passare
da uno stato di semplice sensorialità allo stato di multi-sensorialità,
ampliando le nostre percezioni ed esprimendoci pienamente secondo coscienza,
secondo l’amore. In che modo? Prima di tutto, portando l’attenzione al
corpo, in quanto il corpo costituisce il primo ricettacolo della vita.
Questa accensione di vita avviene quando i due gameti si incontrano e vanno
a costituire la prima cellula, che dividendosi danno inizio a un processo in
cui scorre una verità profonda. È la verità dell’intrinseca unità presente
in ogni cosa, e che pur trascendendo la materia si esprime in ogni piano
della materia. Sul piano dell’evoluzione fisica c’è dunque una continua
ricerca per ristabilire l’unità apparentemente perduta.

Sul piano dell’introspezione, ognuno di noi cerca di riportare la mente ad
uno stato di unità, ad uno stato di pace, di integrazione profonda di tutti
gli elementi che costituiscono la persona. Ecco allora che corpo, energia e
mente, qualora armonizzati e vissuti in piena consapevolezza, diventano i
canali dello spirito. Il lavoro meditativo vuole essere essenzialmente
questo: fare del nostro corpo, e della sua espressione cosciente, un canale
puro che consente la vera ricettività. Ciò significa attingere direttamente
alla conoscenza senza le distorsioni tipiche del mentale, da cui molto
spesso siamo afflitti perché è proprio nella stratificazione dei pensieri
che si gioca il gioco dell’esistenza.

Il pensiero Sono perché penso è una trappola mortale. L’immortalità
dell’essere si manifesta come realtà esperibile ogni volta che siamo in
grado di lasciar andare il pensiero. Ma questa capacità di lasciar andare il
pensiero richiede una verifica esperienziale, e all’interno della pratica
meditativa tale verifica è possibile perché portiamo una maggiore attenzione
al flusso degli eventi, e riconosciamo nella caratteristica della
transitorietà e dell’im-permanenza una legge universale. Tutto è instabile,
tutto è transitorio, tutto è impermanente, tutto è effimero, caduco. Questa
capacità di visione del costante fluire dell’esperienza ci pone quasi
magicamente al di fuori della stessa esperienza. In questa percezione
diretta la coscienza diventa più vasta, non più preoccupata ma tranquilla e
profonda, serena, amorevole, aperta al continuo cambiamento, al continuo
scorrere.

Più consapevolezza, più coscienza, più vita. Più vita nella conoscenza della
non-morte, quindi dell’immortale. La meditazione si presenta come la via
all’immortalità, e il superamento della paura della morte è uno degli
effetti di una pratica meditativa attenta e rigorosa. Andare oltre la paura
significa andare oltre i limiti di una coscienza limitata da preconcetti. La
stessa idea di essere nati nel tal giorno e alla tale ora è un preconcetto
che trova la sua giustificazione solo nello sviluppo biologico di una
cellula. È di fondamentale importanza andare oltre l’identificazione con
qualsiasi processo, perché i processi avvengono all’interno di una
dimensione spazio-temporale e sono quindi determinati da un inizio, una
crescita e una fine. Inizio, crescita e fine sono le coordinate di qualsiasi
viaggio, di qualsiasi esperienza, di qualsiasi esistenza.

Inizio, sviluppo e fine sono all’interno di un quadro spazio-temporale. Fare
salti di coscienza significa ampliare questo quadro, uscire dalle
costrizioni di questo spazio limitato. Ecco perché si parla di libertà, e il
richiamo alla libertà è in fondo al nostro cuore, in fondo alla nostra
anima. Il richiamo alla libertà è anche il richiamo alla conoscenza della
nostra interdipendenza e del riconoscimento che non si può essere liberi se
non nel rispetto della libertà altrui, e dunque nell’amore. Tutto ciò inizia
da un semplice passo, da una semplice consapevolezza: la consapevolezza del
respiro, la consapevolezza di essere qui e ora.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *