La psicoanalisi cambia davvero il cervello

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La psicoanalisi cambia davvero il cervello

L’attività elettrica cerebrale si modifica con stimoli che vanno ad agire sul nostro inconscio. Ora
ci sono le prove, grazie a mezzi tecnici che Freud non poteva nemmeno sognare

MILANO – A distanza di quasi un secolo dalla sua morte arriva la prova sperimentale di ciò che
Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, aveva intuito senza mai poterlo dimostrare perché gli
mancarono i mezzi tecnici per farlo: l’attività psichica inconscia plasma le strutture del cervello
e le fa cambiare. Al 101° Congresso dell’American Psychoanalytic Association di Chicago uno studio
dei ricercatori dell’Università del Michigan diretti da Howard Shevrin ha scoperto che l’attività
elettrica cerebrale, specchio della conformazione dei neuroni, si modifica soltanto a seguito di
stimolazioni conflittuali subliminali, cioè di stimoli che vanno ad agire sul nostro inconscio. Per
i ricercatori americani non è stato difficile, ma Freud, che inizialmente era un neurologo, nel suo
scritto Progetto per una psicologia scientifica raccontava dei suoi infruttuosi tentativi di
correlare cervello e psiche. Finché, nel 1895, quando pubblicò i suoi studi sull’isteria, abbandonò
le neuroscienze: probabilmente la pochezza degli strumenti d’indagine di cui disponeva hanno finito
col focalizzare i suoi interessi sulle determinanti psicologiche che stanno alla base dei processi
psicodinamici, piuttosto che su quelle cerebrali che allora non poteva valutare.

LA PROVA CHE FREUD AVREBBE VOLUTO – Sono stati scelti 11 soggetti con disturbi d’ansia che venivano
sottoposti a trattamenti psicoanalitici durante i quali lo psicologo cercava di scoprire qual’era il
conflitto inconscio alla base del disturbo. Nelle sessioni di trattamento individuava alcune parole
chiave che potevano evocare il conflitto (per esempio “coltello” se erano stati vittima di
un’aggressione o “automobile” se erano sopravvissuti a un grave incidente stradale). Poi un
elettroencefalogramma particolarmente sensibile registrava l’attività elettrica cerebrale dei
soggetti mentre riascoltavano le parole individuate dal medico: se lo stimolo verbale era
sopraliminale, cioè durava almeno 30 millisecondi, l’attività del cervello non si alterava. Se
invece era subliminale, cioè durava un millesimo di secondo, potendo quindi essere percepito solo a
livello inconscio, l’attività elettrica cerebrale invece si alterava: la prova che l’inconscio
lascia la sua impronta sul cervello era finalmente arrivata.

L’IMPRONTA DELL’INCONSCIO – L’elettroencefalogramma fu inventato nel 1929, 10 anni prima della morte
di Freud, un lasso di tempo troppo breve perché potesse apprezzarne le potenzialità cliniche, ma il
suo genio deduttivo lo portò ugualmente a capire che esistono processi psicologici inconsci
governati da proprie regole cognitive che esercitano un’azione diretta su quelli consci e quando si
rendono espliciti portano a un’organizzazione conflittuale della psiche. Il passaggio successivo è
dimostrare che questi conflitti si esplicitano anche sulla struttura cerebrale e questo allora non
lo poteva fare. Oggi psicoanalisi, psicologia cognitiva e neuroscienze convergono sempre di più nel
dimostrare l’importanza dei meccanismi inconsci che, come pensava il padre della psicoanalisi,
connettono psiche e cervello.

LE CONFERME VANNO ACCUMULANDOSI – «La psicoterapia dinamica, basata sugli stessi principi della
psicoanalisi – spiega Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze del
Fatebenefratelli di Milano – presuppone che il comportamento sia plasmato dalle passate esperienze,
da determinati genetiche e dalla situazione del momento, riconoscendo il significativo effetto
esercitato sulla psiche dalle nostre motivazioni». Le conferme delle basi biologiche di psicoterapie
e trattamenti psicodinamici continuano ad accumularsi e sono ormai almeno una decina gli studi
clinici controllati che lo testimoniano: quello pubblicato nel 2009 su Science dai ricercatori del
Karolinska Institutet di Stoccolma ha evidenziato come anche attività mentali del tutto normali
possano cambiare la nostra struttura cerebrale. Bastano 5 settimane di esercizi mirati di memoria
per determinare cambiamenti quantificabili dell’attività recettoriale dopaminergica della corteccia
cerebrale prefrontale e parietale.

A FREUD MANCAVA LA RISONANZA FUNZIONALE – Oggi abbiamo ottimi strumenti come la risonanza magnetica
funzionale che gli avrebbe fornito le conferme che gli mancavano perché fa vedere il funzionamento
di un’area cerebrale in relazione all’alterazione che la interessa. «Uno studio olandese pubblicato
l’anno scorso su Biological Psychiatry – conclude Mencacci – ha confermato che nei soggetti con
depressione e ansia l’importante struttura cerebrale chiamata ipotalamo si riduce e ciò potrebbe
costituire un comune fattore di vulneralibilità nelle due malattie. Inoltre, l’alterata attivazione
delle aree dell’insula e dell’amigdala che si osserva in questi soggetti si correla alla loro
anomala reattività che è ridotta per gli stimoli positivi (per esempio le lodi) e aumentata per gli
stimoli negativi (rimproveri). In questo studio gli stimoli verbali non erano subliminali, ma come
non pensare che questa incapacità a gestire le informazioni emotive non sia legata da una parte a
deficit neurobiologici e dall’altra a conflitti inconsci o, meglio ancora, alle interconnessioni che
ci sono fra loro?».

Cesare Peccarisi

27 agosto 2012 (modifica il 28 agosto 2012)

corriere.it

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