La Psicologia delle Upanishad

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Estratto da “La Psicologia delle Upanishad”

tratto dal sito Centro Studi Bhaktivedanta www.c-s-b.org

Fa che io passi dal non essere all’essere; dalle tenebre fa che io passi alla luce, dalla morte fa
che io passi all’immortalità!”

La cultura e il pensiero dell’antica India trovano una delle loro espressioni più significative
nella filosofia e nella psicologia delle Upanishad, opere che rivestono una posizione di
indiscutibile rilievo all’interno della millenaria letteratura vedica.
Le Upanishad costituiscono la parte conclusiva della letteratura Shruti, nonché il culmine del
pensiero speculativo vedico. Nella conoscenza upanishadica troviamo il seme di tutta la filosofia
seriore hindu. In realtà, non vi è nessun sistema filosofico classico indiano che non faccia
riferimento, esplicito o implicito, alla saggezza contenuta nei testi upanishadici.
Innumerevoli sono le Upanishad che sono state scritte nel corso dell’intera storia letteraria
indiana; quelle che vengono però riconosciute ed accettate dalle scuole della tradizione
(Sampradaya) sono centootto. Tra queste, tredici vengono definite arcaiche o vediche , in quanto
scritte in vedico, e sono in assoluto le più citate dalla letteratura degli Shad Darshana.

Le tredici Upanishad vediche , la Bhagavad-gita (detta anche Gita Upanishad) ed i Brahma Sutra
costituiscono il Prashtanatraya, la triplice fonte di conoscenza tradizionale antico indiana che ha
nei Veda il suo fondamento dottrinale. All’interno di questa triade, le Upanishad costituiscono la
fonte rivelata (shruti prashtana), i Brahma-sutra quella teoretica-logica (nyaya prashtana) e la
Bhagavad-gita la fonte tradizionale (smriti prashtana).
Il termine Upanishad significa letteralmente ‘sedersi in basso, vicino [ai piedi del Maestro]’, da
upa ‘vicino’, ni ‘in basso’, sad, ‘sedersi’. In senso esteso il termine si potrebbe tradurre con
‘insegnamento esoterico, dottrina segreta’, a testimonianza del valore eminentemente iniziatico di
questo sapere, che il rishi riesce a cogliere grazie alla sua esperienza meditativa.

Le Upanishad uniscono la profondità della speculazione filosofica ad un linguaggio, insieme
discorsivo e simbolico, capace di rendere accessibile anche all’uomo comune la saggezza fisica e
metafisica della civiltà indovedica. Esse offrono l’opportunità di intraprendere un viaggio di
conoscenza all’interno e all’esterno di sé stessi, poiché indagano le varie dimensioni della realtà
individuando interazioni, collegamenti e corrispondenze .

I testi upanishadici non solo esplorano l’universo sensibile, definendo i princìpi fondamentali
della cosmogonia e dell’escatologia vediche ma descrivono anche l’universo dell’esperienza
interiore, fornendo spiegazioni approfondite sui differenti stati di coscienza dell’essere e sulla
personalità umana nelle sue molteplici componenti: percettiva, istintuale, pensante, immaginativa,
volitiva, emozionale, intellettiva, intuitiva, spirituale.
Uno spazio interiore così consapevolmente espresso prova che gli antichi rishi erano filosofi e
mistici dall’apparato cognitivo estremamente sviluppato, forse anche intellettualmente più evoluti
degli insigni autori che consegnarono all’umanità le opere tradizionali delle civiltà Mesopotamica,
Ebraica e Greca, opere nelle quali l’analisi introspettiva e la definizione dello spazio psichico
interiore non raggiungono livelli tanto elevati.

Nelle Upanishad si osserva l’universo e lo si comprende in costante relazione con l’individuo;
l’analisi del rapporto tra macrocosmo e microcosmo assume così una preponderante connotazione
psicologica, aprendo ad una visione della realtà fondata su di una stretta interrelazione tra sé e
Super-sé, Brahman infinitesimale e Brahman supremo, nell’ambito peraltro di una peculiare
caratterizzazione e concezione del tempo e dello spazio.
Scopo principale del rishi upanishadico è quello di svelare la fitta rete di correlazioni che
collega il mondo delle cose a quello della coscienza , l’oggetto al soggetto, il macrocosmo al
microcosmo, riconducendo la molteplicità del reale alla sua sorgente unitaria ed individuando nel
Brahman, il supremo Spirito, l’essenza ultima che tutto sostiene e da cui tutto ha tratto origine.

Lo scopo principale del misticismo orientale è di riuscire a cogliere tutti i fenomeni che avvengono
nel mondo come manifestazioni di una stessa realtà ultima. Questa realtà è vista come l’essenza
dell’universo, che sta alla base e unifica la moltitudine di cose e di eventi che osserviamo .

Tale concezione, sorprendentemente si incontra e si armonizza con le più recenti scoperte
scientifiche, specialmente quelle nel campo della fisica quantistica, che implicano una sostanziale
interconnessione della natura e il superamento della finora assunta assoluta separazione tra sistema
osservato (oggetto) e sistema osservatore (soggetto).

Nella fisica moderna, esempi di unificazione di concetti opposti si possono trovare a livello
subatomico, dove le particelle sono sia distruttibili sia indistruttibili, dove la materia è sia
continua sia discontinua e dove forza e materia [energia e massa] sono soltanto aspetti diversi
dello stesso fenomeno.

[…] La teoria della relatività è fondamentale per la descrizione di questo mondo e nel contesto
“relativistico” i concetti classici sono superati nel passaggio ad un numero superiore di
dimensioni, lo spazio-tempo quadridimensionale. Gli stessi concetti di spazio e di tempo, che erano
sembrati completamente distinti, sono stati unificati nella fisica relativistica. Su questa unità
fondamentale si basa l’unificazione dei concetti opposti ricordata sopra. Come avviene per l’unità
degli opposti di cui fanno esperienza i mistici, essa si verifica ad un “livello superiore”, cioè
con una ulteriore dimensione, e si presenta come una unità dinamica, perché lo spazio-tempo
relativistico è una realtà intrinsecamente dinamica nella quale gli oggetti sono anche processi e
tutte le forme sono configurazioni dinamiche .

[…]Tutti questi effetti relativistici sembrano strani soltanto perché con i nostri sensi non
possiamo fare nessuna esperienza diretta del mondo quadridimensionale dello spazio-tempo ma possiamo
osservarne solo le “immagini” tridimensionali. Queste immagini hanno aspetti diversi in diversi
sistemi di riferimento; oggetti in moto appaiono diversi da oggetti fermi e orologi in moto
scandiscono il tempo con ritmo diverso. Questi effetti possono sembrare paradossali se non
comprendiamo che essi sono soltanto proiezioni di fenomeni quadridimensionali, proprio come le ombre
sono proiezioni di oggetti tridimensionali. Se potessimo visualizzare la realtà dello spazio tempo
quadridimensionale, non ci sarebbe nulla di paradossale .

L’intuizione colta in stato meditativo apre al rishi la percezione diretta di un livello più
profondo di realtà, in cui gli opposti si armonizzano e cessano di essere tali. Nelle Upanishad
vengono raccolte esperienze eminentemente soggettive che il saggio cerca di trasmettere e di calare
nell’oggettività della parola; per tale motivo il linguaggio è fortemente simbolico e i contenuti
non vengono esposti in maniera sistematica ma possiedono la freschezza e il vigore della più elevata
intuizione mistica , in grado di aprire squarci luminosi nell’orizzonte della mente umana.
Nei capitoli che seguono verranno sinteticamente analizzati i caratteri fondamentali del pensiero
filosofico e psicologico upanishadico che, per la sua straordinaria levatura metafisica, è da sempre
oggetto di interesse e di apprezzamento da parte di filosofi e studiosi.

In occidente le Upanishad hanno goduto di grande fortuna da quando Anquetil-Duperron, nel 1802,
pubblicò a Strasburgo una loro prima traduzione dal persiano in latino. Quelle che tradusse Duperron
erano cinquanta Upanishad che nel 1657 il principe moghul Dara Shukoh aveva fatto tradurre anche
perché desideroso di favorire, sull’esempio dell’avo Akbar, un sincretismo che ponesse fine alle
guerre religiose tra Hindu e Musulmani, che dilaniavano il suo impero.

L’intelligentia europea accolse il sapere upanishadico in maniera decisamente favorevole,
apprezzando la sua valenza olistica, cosmogonica ed estesamente psicologica, incentrata sull’analisi
e sulla ricerca interiore e finalizzata ad un fine pratico: la liberazione dell’individuo dalla non
consapevolezza e dalla sofferenza. Le Upanishad divennero così un fenomeno per niente secondario nel
Romanticismo tedesco. Tra i più noti estimatori occidentali di questi testi ricordiamo Hegel,
Nietzsche e Schopenhauer, il quale esprime nel modo seguente il suo apprezzamento per quella che
definisce la saggezza primeva dell’umanità:

Lettura più d’ogni altra al mondo fruttuosa e edificante […]. Mi ha dato sollievo nel corso della
vita e me ne darà al momento della morte .

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