LA PSYCHEDELIA E LA CONTROCULTURA

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LA PSYCHEDELIA E LA CONTROCULTURA

di Ferdinando Santonicola

Da un punto di vista storico-musicale la psychedelia è un genere molto più complesso di quanto si
creda.

Cominciamo dalla parola. Il termine nasce dal lemma greco psyche (coscienza, anima) e dal verbo
deléin (rivelare, mostrare). Ma tanto per complicarci le cose possiamo cominciare col dire che la
psychedelia (dal lato teorico) è un processo “filosofico-mentale” grazie al quale le nostre più
intime sensazioni ed i nostri profondi stati d’ animo vengono alla luce, scaturendo dal pensiero in
un’ estasi che pone l’ accento su quel mistico che è in ogni nostra azione ma di cui spesso non ci
accorgiamo. Qui è bene fermarsi, si rischia di navigare in un mare di sofismi incontrollati che non
permettono di arrivare in porto. Molti si chiederanno: Si, ma tutto questo che cosa c’ entra con la
musica? E’ vero, ad una occhiata superficiale questo discorso poco o nulla è coerente con la storia
della composizione; ma si sa, questa non può prescindere dalla storia dell’ uomo. E’ giusto allora
dare una coordinata temporale alla psichedelia cercando di inquadrarla nel suo contesto storico, nei
suoi “usi e costumi”. Possiamo dire, senza correre il rischio di sbagliare, che il suo periodo d’
oro va dal 1967 al 1970. Partiamo dal 1965 però, periodo in cui la musica beat (ricordate i Beatles
e gli Who?) sta spopolando in tutto il mondo, ma che si avvia verso una decadenza ormai annunciata;
la ricerca di nuove sonorità e nuove soluzioni musicali diventa a dir poco vitale.

La prima tappa del nostro viaggio sono gli U.S.A., più precisamente la California. Qui migliaia di
giovani, memori delle lezioni di grandi ribelli della letteratura beat quali Allen Ginzberg e Jack
Kerouac (solo per citarne un paio), stanno sperimentando nuove forme di linguaggio, nuovi stili di
vita, un nuovo modo di sentire e vedere il mondo. Il palcoscenico di questa travolgente cultura
giovanile è la mitica <> della californiana San Francisco. Qui masse di giovani che
indossano buffi cappellini, vestono abiti sgargianti e portano i capelli un po’ più lunghi e
disordinati rispetto a qualche anno prima, passeggiano praticando una vera e propria “via crucis”
nei vari clubs e cantine dove si suona musica dal vivo; qualcuno parla di diritti civili e nuovi
mondi. Questi giovani sono dei veri e propri hippies “acerbi” che tra qualche anno matureranno nei
trip mistici della grande epoca dei fiori, che faranno esplodere il loro messaggio di “Peace and
Love” nei grandi raduni di fine anni ’60.

Ma torniamo alla “nostra” <>; dicevamo dunque che si sperimentavano nuove melodie, una
nuova musica che a poco a poco abbandona le cadenze del beat classicamente inteso per sviluppare
sonorità più acide e pungenti che ricordassero gli effetti subiti dalla mente durante le esperienze
derivanti dall’ assunzione di allucinogeni.

Il primo “linguaggio” rock da esaminare è il cosiddetto <> (si chiama così perchè per
lo più suonato da gruppi di giovani che non possono permettersi una vera sala prove). Questo tipo di
musica è fortemente caratterizzato dal suono sporco delle chitarre e dalla semplicità imbarazzante
della linea melodica; un blues “rude” ed accattivante, capace di graffiare con i suoi suoni “acidi”.
Ecco un primo passo verso il nostro <>, “soprannome” della psychedelia.
I primi ad accostare questo termine a creazioni musicali sono stati i Blues Magoos ed i 13th Floor
Elevators (rispettivamente con gli LP Psychedelic Lollipop [ ‘66] e The Psychedelic Sound Of 13th
Floor Elevators [ ‘66]), due bands che emergono dalla scena garage.

Ovviamente la Psichedelia non è un discorso che abbraccia solo il Garage Blues: una band, infatti,
che ha portato questo genere a definirsi (un pò involontariamente) è stata The Byrds, gruppo di
ispirazione “dylaniana” votato al folk rock elettrico, che nel 1965 fanno uscire sul mercato il
singolo Mr. Tambourine Man, successo intriso di sonorità brillanti ed atmosfere vagamente
lisergiche, il quale riesce in modo perfetto a trasportare sul pentagramma quella che è l’
esperienza psichedelica.

Che fine hanno fatto la Sunset Strip ed i suoi figli dei fiori ancora in bocciolo? Sono cresciuti e
si stanno formando nei cosiddetti <>, ovvero dei convegni dove si suona della musica dal
vivo (ovviamente molto acida) e si distribuiscono grosse quantità di acidi (ovviamente molto
lisergici!), che fino al 1966 saranno legali. Il fautore di questi meetings dello sballo cosmico è
Ken Kesey (lo scrittore autore del celeberrimo romanzo “Qualcuno volò sul nido del cuculo”) che con
i suoi appariscenti “pranksters” professa il culto di una psichedelia felicemente confusionaria ed
altamente edonistica.

L’ indimenticabile Timothy Leary, professore universitario (ex Harvard) che in quegli anni, tramite
una serie di seminari, elogia le virtù degli allucinogeni e ne consiglia a tutti l’ uso, rappresenta
il profeta dell’ esperienza allucinogena come fase introspettiva e riflessiva che permette di
mettere a nudo l’ inconscio (Leary diventerà poi il “guru” del movimento hippy e conierà il motto
che è anche il titolo di questo scritto. Ne combinerà di tutti i colori nel corso della sua
avventurosissima vita [approfondire l’argomento su http://www.leary.com/]).

Da questo punto in poi la via verso la grande epopea dei fiori e dei suoi gloriosi figli sarà
vicinissima, intensa e breve. Esploderà nella baia di San Francisco nel 1967 ed abbraccerà, nella
sua ricca e fremente cultura, svariati aspetti tra cui l’ esoterismo, la politica e la
spiritualità.Ma torniamo alla musica; come si trasforma il discorso psichedelico? La risposta è
fatta di suoni: dal ’67 in poi la psychedelia ha ormai la strada spianata, è pronta ad evolversi e a
fare incetta di nuovi sostenitori, amplia il suo respiro blues per poi quasi abbandonarlo, si fa
strada tra rumori allucinati e distorsioni visionarie, avvicinandosi in qualche raro caso verso lo
sperimentalismo della musica d’ avanguardia (i Grateful Dead su tutti). Siamo ancora nel periodo
dove le canzoni sono “imbrigliate” negli spazi angusti dei 45 giri, ma album come Anthem Of The Sun
(’68 ) dei Grateful Dead e Surrealistic Pillow (’67 ) dei Jefferson Airplane regalano all’
ascoltatore dei viaggi fonici che approdano verso terre sconosciute, ampliando la durata dei brani
che confluiscono l’ uno nell’ altro.
Non bisogna dimenticare ,inoltre, che lo strumento principe di questo genere è la chitarra (è lei
nella maggior parte dei casi a creare sonorità corrosive) e non l’ organo (lo stile Light My Fire,
per intenderci)..

Allora come dimenticare colui che è stato definito <>? Jimi Hendrix,
riprendendo la lezione dei clubs di musica garage, ma soprattutto del blues classico, riporta sulle
corde della chitarra i sogni variopinti delle droghe tramutandoli in a soli funambolici mai uditi
prima, tramite l’ ausilio di effetti acustici di sua invenzione che conferiscono alla chitarra
(nelle sue mani diverrà una strana bacchetta magica) un suono grezzo e al contempo fantastico che
sembra ripetersi all’ infinito; cosa non facile per un autore che ha composto perlopiù canzoni della
durata di qualche minuto.

Ma anche gruppi che vengono dalla scena folk americana vogliono dire la loro. E’ il caso dei già
citati Byrds che partendo dalla condizione di sperimentatori psichedelici “occasionali” (5D [’66 ] ), ampliano i propri confini musicali rivolgendo lo sguardo ed il cuore a suoni più vaghi e
fiabeschi accentuandone i toni spirituali (Younger Than Yesterday [’67] ); oppure di Country Joe And
The Fish che passeranno una sgargiante “mano” di vernice psichedelica sulla canzone di protesta e la
ballata americana, travolgendo il pubblico (storica la loro partecipazione a Woodstock) con nuove
teorie musicali (Electric Music For The Mind And The Body [‘ 67] ).Ma questi non sono che pochissimi
esempi nel “mare magnum” della psichedelia americana che, come abbiamo visto, nella sua terra d’
origine rimarrà pressocchè legata agli ambienti del folk e del blues.
Per quanto concerne l’Inghilterra l’acid rock sarà strettamente legato agli ambienti del pop ed una
volta affacciatosi verso la via del tramonto si farà largo tra le folle sfociando in un genere che
non sarà parente prossima della psychedelia, ma che ne ricorderà le importanti lezioni musicali,
ovvero il progressive.

Comunque sia, la <> è presente anche nei musicisti della terra d’
Albione, che pongono l’accento su toni e tematiche fiabesche, “vestendo” la musica di abiti
coloratissimi e perlopiù eleganti.

Qui non possiamo far a meno di parlare dei favolosi Beatles che già con l’album Rubber Soul (’65)
cominciano a “parlare” in modo diverso alla loro infinita schiera di fans: il discorso giungerà a
compimento con gli albums Revolver ed il leggendario Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
(rispettivamente del ’66 e del ’67), dove un tardo beat va a mescolarsi con visioni orientali
marcatamente lisergiche, che vengono allo scoperto grazie a lunghe sedute di studio (impareggiabile
il lavoro incrociato di John Lennon e del produttore Gorge Martin). Nascono così nuove sonorità
generate da manipolazioni di nastri magnetici e numerose sovraincisioni.

Ma sono presenti all’appello lisergico anche formazioni non proprio psichedeliche come gli Yardbirds
(45 giri For Your Love) ed i Cream (45 giri Sunshine Of Your Love), che pur rimanendo strettamente
legate al loro ambiente R&B, confezioneranno dei piccoli gioiellini psichedelici che faranno scuola
qui e là.

La fucina della psychedelia britannica è senza dubbio l’ Ufo Club, dove svettano gli artefici di uno
sperimentalismo eclettico, i Pink Floyd e colui che ne è stato il leader fino al 1968, ovvero Syd
Barrett, che nonostante i suoi tumultuosi disturbi psichici porterà avanti un personalissimo
discorso psichedelico.

Una band che non può non essere menzionata è The Creation, perché ha fotografato in maniera efficace
quelle che erano le velleità della musica acida inglese (e perché no, forse anche di quella
nordamericana) grazie ad una frase del chitarrista Eddie Phillips: < Flashes>> (<>).

Come si muovono i giovani britannici su questo scenario?

L’esempio dei ragazzi della Sunset Strip che si stavano scrollando di dosso le piogge esistenziali
della beat generation, viene appresa con entusiasmo dai “ragazzi della regina” che la mettono in
pratica a modo loro, rendendola più appariscente e “festaiola”: è la nascita della mitica < London>> (Qualcosa come la <>), che sarà sapientemente immortalata da
Michelangelo Antonioni nel suo “Blow up”, film che vedrà la partecipazione degli Yardbirds. Poi sarà
un incessante incamminarsi (come in America, anche se il fenomeno è più contenuto) verso il
pacifismo di stampo hippie e la piena stagione dei fiori, che giungerà nell’ estate del 1967 al suo
apice con la leggendaria <> (<>) e finirà (in parte in malo
modo) con lo storico concerto dell’ isola di Wight (1970).

L’epopea dei fiori americana troverà il suo termine (per unità di giudizi) nel tragico festival di
Altamont (Dicembre 1969), dove durante l’esibizione dei Rolling Stones un giovane di colore verrà
accoltellato da un membro del temibile gruppo di motociclisti Hell’s Angel, che in quella occasione
svolgeva (fortemente voluto da Mick Jagger) il servizio di sorveglianza. Da questo anno in poi il
numero di hippies americani va assottigliandosi, resteranno, all’inizio dei settanta, solo
pochissimi “reduci” che continueranno a contestare il mondo allontanandosi del tutto da esso,
migrando in massa verso le campagne, costruendo delle comuni che vivono tutt’oggi.

fonte: ferdybeat.altervista.org

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