La reincarnazione

pubblicato in: AltroBlog 0

La reincarnazione

di Guido Da Todi

Ogni spiritualista deve cominciare il suo viaggio interiore dal background di conoscenze che la cultura spirituale del suo tempo gli offre.

Colui che manifesta una totale anarchia di spirito ed afferma la libertà assoluta dell’uomo da ogni parametro iniziale di ricerca sottovaluta profondamente quanto il karma riporti ognuno di noi – nelle vite successive – a riannodare i suoi interessi e la risultante di ogni precedente azione proprio lì dove è necessario si chiuda ogni laccio aperto.

Non è un caso che ognuno di noi inizi, quindi, dalle scuole teosofiche, piuttosto che da quelle orientali, o buddiste, o altro…

Ma – e qui volevo giungere – è necessario, ad un certo momento della propria vita, trasformare la teoria in esperienza. Si dice che giunge il momento in cui ogni buddista debba uccidere Budda in sé; ogni cristiano debba farlo con Cristo; ogni esoterico, con l’intero esoterismo che forma le sue radici teoriche.

Intendiamoci bene: non che si debbano rinnegare Budda ed i suoi precetti; né Cristo ed il suo vangelo; e neppure le verità tradizionali soggiacenti alla natura, come sono stati studiati.

Semplicemente, si deve avere il coraggio di fare < tabula rasa > in se stessi, per compiere un salto diretto in quel < vuoto > che è il < pieno assoluto >.
Qui, appare la palestra della sperimentazione. Qui, si deve tradurre – ad esempio – il concetto della reincarnazione in un risultato di conoscenza diretta, pertinente solo ai nostri più accesi intuiti, liberi da ogni binario precedentemente costruito e suggerito.

E ciò vale per ogni altra acquisizione spirituale.

Conoscete la storia vera (tra le centinaia) del piccolo ragazzo indiano, che insisteva per recarsi nel villaggio poco distante, dicendo di avere lì i suoi figli e la moglie di una precedente vita?

Tanto fece ed insistette, che ve lo condussero. Egli andò, allora, tutto di un fiato, verso una vecchia casa di quel paese; chiamò per nome gli uomini che vi abitavano (i suoi ex figli), la loro vecchia madre (la sua ex moglie); riconobbe ogni angolo della casa, descrivendolo prima di entrarvi.
Si sedette a raccontare vecchi fatti….Ma, ad un certo punto, trasalì nel vedere passare per quella strada un uomo anziano. Lo chiamò per nome, e gli chiese istintivamente la resa di un prestito in rupie, con cui asseriva averlo favorito in passato…

In effetti, il <vecchio uomo> aveva dato quel denaro molti anni prima di nascere nelle vesti del ragazzo che era adesso, come venne riconosciuto dallo stesso attonito individuo anziano….

Vogliamo, ancora, parlare delle esperienze dell’ipnosi regressa?

Molti anni fa, uno psichiatra curava una sua paziente con il metodo freudiano dell’ipnosi regressa, alla ricerca di turbe celate dell’infanzia. E la condusse indietro, nel tempo; indietro, sino alla prima giovinezza; sino a quando era infante…

All’improvviso, la donna inizia a parlare un francese aulico (ci troviamo in Francia); dice di essere la tal delle tali; di abitare in quel paese; in quella via; e domanda cosa ci sta a fare su quel lettino….

Per farla breve, da allora è nata una fitta ricerca, basata sull’ipnosi regressa. E qualunque di noi può trovare centinaia di volumi (molti dei quali scritti da medici e psichiatri) che propongono dei fatti e degli argomenti troppo lunghi, qui, a riferirsi, ma che lasciano veramente perplessi.

Racconta Yogananda Paramahansa, nella sua Autobiografia, l’episodio di un suo discepolo, a cui – in un momento istintivo, del quale il Maestro si pentì subito – egli profetizzò la morte, di lì a poco.

Il discepolo, immediatamente, iniziò a supplicarlo di non abbandonarlo al suo destino. E tanto fece, tanto insistette, che Yogananda gli promise che lo avrebbe ritrovato nel suo corpo nuovo, e gli avrebbe garantito una vita spirituale, come quella che stava adesso vivendo.
Ma, trascrivo un brano dell’episodio (Autobiografia di uno Yoghi – Paramahansa Yogananda – edizioni Astrolabio – cap. XXVIII – “Kashi rinato e ritrovato”):

[…] (omissis…)
…Durante i pochi giorni che il ragazzo era rimasto a Calcutta aveva mangiato dei cibi infetti, aveva contratto il colera ed era morto.
Il mio amore per Kashi e il mio impegno di ritrovarlo dopo la morte mi ossessionavano notte e giorno. Dovunque andavo, il suo viso mi appariva dinanzi agli occhi. Cominciai una memorabile ricerca, come tanto, tanto tempo prima avevo cercato la mia madre perduta.
Sentivo che, avendo ricevuto da Dio il potere della ragione, dovevo utilizzarlo e mettere alla prova tutte le mie facoltà per scoprire le sottilissime leggi mediante le quali avrei potuto conoscere i vagabondaggi astrali del ragazzo. Egli era – ne ero conscio – un’anima che vibrava di inappagati desideri, una massa di luce fluttuante tra milioni di anime luminose nelle regioni astrali. Come potevo mettermi in rapporto con lui, fra tante e tante luci vibranti di altre anime?

Mettendo in pratica una segreta tecnica yoga, trasmisi il mio amore all’anima di Kashi attraverso il “microfono” dell’occhio spirituale, il punto interiore tra le sopracciglia.
Per intuito sentivo che ben preso Kashi sarebbe tornato su questa terra, e che se continuavo senza tregua a trasmettergli il mio richiamo, la sua anima mi avrebbe risposto. Sapevo che il più lieve impulso inviato da Kashi sarebbe stato captato dai nervi delle mie dita, nelle mie braccia e nella mia spina dorsale.

Con l’antenna delle mani sollevate in alto spesso mi volgevo intorno, cercando di localizzare la direzione del luogo in cui credevo ch’egli fosse già rinato in embrione. Speravo di ricevere da lui una risposta nella radio del mio cuore, sintonizzata mediante la concentrazione.
Con mai diminuito zelo praticai costantemente il metodo yoga per circa sei mesi consecutivi dopo la morte di Kashi. Una mattina, mentre camminavo con pochi amici nell’affollato quartiere di Bowbazar a Calcutta, sollevai le mani nel gesto abituale. Fui elettrizzato nel percepire gli impulsi elettrici che mi scorrevano lungo le dita e le palme delle mani. Queste correnti si traducevano in un unico pensiero dominante che mi veniva dai profondi recessi della coscienza: ”Sono Kashi! Sono Kashi! Vieni a me!”

Il pensiero divenne quasi udibile, mentre mi concentravo nella radio del mio cuore. Nel suo caratteristico bisbiglio leggermente rauco (nota: ogni anima nel suo stato puro è onnisciente. L’anima di Kashi ricordava tutte le caratteristiche di Kashi, il ragazzo; perciò imitava la sua voce rauca per farsi riconoscere), udii i richiami di Kashi ripetersi sempre più chiari. Afferrai il braccio d’uno dei miei compagni, Prokash Dash, e gli sorrisi giocondamente:
“Credo di aver ritrovato Kashi!”
Cominciai a girare attorno a me stesso, con evidente divertimento dei miei amici e della gente che passava. Le scosse elettriche vibravano nelle mie dita solo quando ero rivolto verso una strada vicina chiamata ben a proposito Via Serpentina. Se mi rivolgevo in altre direzioni, le correnti astrali sparivano.

“Ah!” – esclamai –” l’anima di Kashi deve vivere nel grembo di una madre che abita in questa strada.” I miei compagni ed io ci avvicinammo alla Via Serpentina e le vibrazioni divennero più intense e più chiare. Una specie di forza magnetica mi spingeva verso il lato destro della strada. Giunto sulla porta di una certa casa, mi meravigliai di sentirmi come inchiodato. Bussai alla porta in uno stato d’intensa eccitazione e trattenendo il respiro; sentivo di essere giunto felicemente al termine della mia lunga, ardua e non certo comune ricerca!
Una cameriera aprì la porta e mi disse che il padrone era in casa. Questi scese le scale del secondo piano e mi sorrise interrogativamente. Non sapevo come formulare la mia domanda, che era pertinente ed impertinente insieme.

“Signore, vi prego di dirmi se da circa sei mesi attendete un bimbo da vostra moglie”
“Sì, è proprio così”. Nell’accorgersi che ero uno swami, un uomo che aveva rinunciato al mondo e che indossava la tradizionale veste arancione, aggiunse educatamente: ”Vi prego di dirmi come siete a conoscenza delle mie faccende”.
Quando apprese la storia di Kashi e seppe della mia promessa, l’uomo meravigliato credette alle mie parole.
“Vi nascerà un maschio di colorito chiaro” – gli dissi – “. Avrà un viso largo e un segno sulla fronte. Le sue tendenze saranno fortemente spirituali”. Ero sicuro che il neonato sarebbe somigliato a Kashi in questi particolari.
In seguito andai a trovare il bambino, cui i genitori avevano dato il suo vecchio nome di Kashi. Sebbene così piccino, aveva un’impressionante rassomiglianza col mio caro allievo di Ranchi. Il bimbo mi dimostrò un affetto istantaneo; l’attrazione del passato si risvegliava con raddoppiata intensità.

Mentre ero in America, il ragazzo, già grande, mi comunicò per lettera il suo intenso desiderio di seguire il sentiero della rinuncia. Lo indirizzai a un Maestro dell’Himalaya che accettò il rinato Kashi come discepolo”.

[…]

Ebbene, tutto ciò serve a qualcosa, se lo si vuole impostare come argomento di convalida delle teorie della reincarnazione?
Io dico di no.

Difatti, la mia personale ed intima convinzione è che l’uomo, come una divina tartaruga, porti nel suo guscio gli strati delle esperienza maturate < sulla propria pelle individuale >, fisica e metafisica.

Solo lui, quindi, è in grado di riconoscere il profumo della verità, una volta che vi si è immerso per quel numero necessario di cicli a che la verità stessa faccia parte del suo io.

Vi sono dei ragionamenti regali, di contro, che ad ogni anima di buon senso pongono degli interrogativi ben pesanti.

Se io sono immortale, nessuno me lo confermerà. Sarò io stesso a saperlo e a vivere tale sottile, indicibile certezza.

Nello stesso tempo, io so che tale immortalità si identifica con ogni cosa; con l’universale impronunziabile, ma percepibile. So che questa immortalità è il tutto-uno.

Delle onde fluttuano alla superficie di quest’oceano. Si rifrangono su di esso, si estinguono nella loro medesima spuma; si rinnovano, tornano a sparire nel mare che è la loro vera essenza. E formano quella palestra di apprendimento e di dolore che viene chiamata maya.

Identificarci con l’onda transitoria è la sola illusione dell’uomo; riconoscersi nell’oceano è la meta finale di ognuno di noi.

L’errore che la maggioranza degli spiritualisti commette è di gestire il concetto della reincarnazione ad uso e consumo dell’individuo cosciente.

Non è così. La reincarnazione umana è solo il debole riflesso del movimento universale scaturente dal principio indicibile (oceano, assoluto, tutto, divinità latente…), che si frantuma in cicli costanti e necessari.

Non si potranno congelare le onde dell’oceano della vita; solo, cessare di identificarsi con esse.

Quindi, la reincarnazione, come è concepita da noi, è uno degli innumerevoli cicli, che il movimento universale dell’essere adotta, per tradurre in atto l’espansione costante della realtà cosmica..

Come tale va accettata, o no; essa continuerà ad esistere.

Trasformandosi, alla prossima svolta della spirale infinita dello spirito divino, in altri, diversi moduli formali. Che cesseranno di chiamarsi reincarnazione, certamente. Ma, continueranno a proporsi ancora come altri cicli finiti dell’infinita natura dell’essere.

 

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *