La riscoperta della coscienza animale e umana 1
prima parte
Gli animali hanno una coscienza come noi umani? In questo articolo parliamo di uno dei quesiti che ci poniamo più frequentemente e a cui spesso non riusciamo a dare una risposta
di Angelo Tartabini – 12/02/2019
Il modo migliore per dissolvere il mistero della coscienza è di comprendere nella sua totalità i
processi del cervello che a essa sottostanno. Ciò che per ora si può dire è che la coscienza,
qualsiasi cosa essa sia, è, e rimane una caratteristica fondamentale della mente con stati di
sensibilità e consapevolezza che iniziano quando ci svegliamo al mattino e si spengono quando ci
addormentiamo. Ora, il punto è chiedersi se la coscienza esista anche negli animali, cioè se la
coscienza, nella somiglianza, e nella diversità, ontologicamente soggettiva e indivisibile per noi esseri umani, lo sia anche per gli animali.
In questo articolo dimostreremo che gli animali (scimmie in particolare) sono coscienti di se stessi
e delle loro azioni, di quello che capita loro attorno, delle loro condizioni sociali, eccetera. Per
dimostrarlo faremo degli esempi, parleremo di molti esperimenti e citeremo molte opinioni di
autorevoli scienziati e filosofi, anche se il dibattito su questo tema non si è ancora chiuso e chissà se mai si chiuderà.
La coscienza si sta studiando in diversi campi della ricerca, in primo luogo in filosofia, poi
nelle scienze cognitive, per esempio, con lintelligenza artificiale e il computazionalismo, anche
nelle neuroscienze, quindi, con orientamenti e prospettive scientifiche abbastanza diverse tra loro.
Sulla coscienza sono stati scritti molti libri e articoli scientifici, ma per ora la conclusione è
che nessuno può spiegare che cosa sia veramente (Penfield, 1975; Dennett, 1991; Searle, 1997; Koch,
2004; Humphrey, 2006; Massimini & Tononi, 2013; Savoldi et al., 2014; Sacks, 2017).
Non esiste ancora una teoria del tutto sulla coscienza e, forse, mai ci sarà. Ciò che si può dire,
per ora, è che la coscienza è una funzione psicologica privata, vissuta in prima persona,
irriducibilmente soggettiva e una proprietà che emerge causalmente dalle attività neurali (Searle, 1992).
La coscienza è estesa nel tempo, ma non ha una dimensione spaziale; sopravviene sul fisico, ma non è
che si possa ridurre ai corrispondenti stati neurofisiologici del nostro organismo, soprattutto del
cervello che la sottintende. Fisico e sopravvenienza per la coscienza, sembrano parole antitetiche, ma nella realtà non lo sono, e qui sta il punto.
Se questo è lo stato delle cose, che cosa possiamo dire? Ciò che si può affermare è che saremo in
grado di capire che cosa sia veramente la coscienza quando capiremo come funziona il cervello nella
sua totalità e complessità biologica (naturalismo biologico della coscienza). Nulla di più, nulla di meno (Searle, 1997).
Le diverse teorie della coscienza
Come fanno i processi neurobiologici che avvengono nel cervello a causare la coscienza? Rispondere
non è facile e per spiegarlo sono state messe in campo molte teorie, addirittura un tentativo sulla
base della meccanica quantistica che studia lattività subneurale e quindi di parti infinitamente piccole delle cellule nervose (Penrose, 1989).
Per quanto questultima idea sia avvincente, il risultato è che essa, per ora, non ci ha portati da
nessuna parte. Per altri ricercatori, invece, la coscienza è solamente un prodotto dellevoluzione,
un processo che è maturato nel tempo, addirittura dal Cambriano, più di 500 milioni di anni fa, in poi, quindi molto prima che noi umani apparissimo sulla faccia della Terra.
Attraverso la pressione selettiva di alcuni gruppi neurali (mappe neurali) (Edelman, 1987), cioè
meccanismi cerebrali minimi, furono indispensabili per dar vita alla coscienza, anche se, sarebbe
meglio dire dei nuclei del tronco encefalico, del telencefalo e dellipotalamo che si trovano sotto la corteccia cerebrale.
Altri studiosi dicono che le leggi che regolano gli eventi mentali, quindi anche la coscienza, e gli
eventi fisici, siano identiche (teoria dell’identità (Davidson, 1990), anche se, il linguaggio usato
dalluomo, con tutti i suoi limiti, per descrivere la coscienza, non può essere sempre ricondotto al linguaggio della fisica.
E per la Psicologia, che cosè la coscienza?
La coscienza è stato il primo oggetto dindagine della psicologia moderna che lha definita come un
insieme di processi che vanno dai riflessi agli atti volontari, dalle sensazioni alla formazione
delle immagini, dalle emozioni alla memoria, dall’attenzione alle motivazioni, dalla percezione ai
sentimenti: in sostanza, tutto linsieme delle funzioni psicologiche che caratterizzano lessere umano.
Nel 1878 Wilhelm Wundt, il fondatore della psicologia scientifica moderna e autonoma, fino ad allora
la psicologia era stata fortemente e negativamente condizionata dalla metafisica, definì la
coscienza sintesi creativa (Wundt, 1896)(Kant la chiamò lUnità trascendentale dellappercezione).
In conclusione, la coscienza non è nulla di ben definito, sebbene si sappia benissimo che ci
consente di possedere uninfinità di stati mentali, per esempio la gioia, laffetto materno, la sofferenza, lammirazione, la gratitudine, l’innamoramento, la saggezza.
Ci consente inoltre di vivere stati motivazionali come quelli agonistici, sessuali, cooperativi,
affiliativi e infine ci permette di provare dei sentimenti attraverso le esperienze del nostro corpo
in una sorta di automatismo omeostatico (come recentemente ha sostenuto Antonio Damasio, 2017), in
sostanza di mantenere in equilibrio le nostre attività funzionali con lambiente, soprattutto quando si tratta di proteggere il nostro organismo da influenze negative esterne.
La coscienza, inoltre, ci consente di prenderci cura di noi stessi e degli altri, di essere
intelligentemente altruisti, di divertirci, ma anche di nutrirci. A proposito del nutrimento, il
filosofo analitico americano John Searle (1992), un giorno, scrisse che gli eventi e i processi
mentali, quindi anche la coscienza, fanno parte della nostra storia naturale non meno della digestione, della mitosi o della secrezione enzimatica.
Lidea di Searle sembra una provocazione, ma in realtà non lo è; Searle non intendeva nemmeno
alludere ad un riduzionismo biologico. La sua era unidea semplicemente realistica, anche se non
sono stati pochi coloro che la rifiutarono. Il fatto è che il materialismo scientifico negli ultimi
due/trecento anni, insieme al dualismo che ancora pervade la nostra cultura e quindi anche il nostro
linguaggio, che resiste ancora ad una visione di una mente come idea del corpo, come fu la visione
anticipatrice di Baruch Spinoza, addirittura nel XVII Secolo, insieme, nei nostri giorni,
allinvasione dellintelligenza artificiale, dei media e dei telefonini, per non parlare
dellidentificazione della coscienza con lanima o lo spirito, hanno reso praticamente impossibile spiegare scientificamente che cosa sia veramente.
Quindi lidea di una coscienza come prodotto di unattività neurale, ancora non esiste nel pensiero
delluomo. Il fatto invece che qualsiasi sistema capace di elaborare simboli, come fa un calcolatore
o un robot, operi come la nostra mente, è unidea diffusissima. Questo modo di pensare non ci ha
culturalmente arricchiti, ma ci ha portati a un impoverimento della nostra condizione e ci sta
spersonalizzando. Ha fatto venire meno il nostro senso critico e, quel che è più grave, sta
promuovendo un analfabetismo culturale di ritorno gravissimo. Sta avvantaggiando la mediocrità. Ci sta avviando verso una crisi irreversibile di valori umani autentici.
approfondisci su:
Scienza e Conoscenza n. 67 – Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7 Nuove scienze, Medicina Integrata
www.macrolibrarsi.it/libri/__scienza-e-conoscenza-n-67-gennaio-marzo-2018.php?pn=1567
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