La rivoluzione dell’optogenetica vicina ai trial su esseri umani

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La rivoluzione dell’optogenetica vicina ai trial su esseri umani

09 gennaio 2016

L’optogenetica permette di attivare e disattivare specifici neuroni modificati geneticamente usando
solo un impulso di luce. Grazie ai recenti successi ottenuti nei topi di laboratorio, la tecnica
potrebbe essere presto sperimentata sugli esseri umani, con l’obiettivo di curare specifiche
patologie o di alleviare il dolore cronico

di Stephani Sutherland

Nel corso degli ultimi 10 anni, una tecnica chiamata optogenetica ha trasformato le neuroscienze,
consentendo ai ricercatori di attivare e disattivare specifici neuroni in animali da esperimento.
Controllando questi interruttori neurali, ha fornito indizi sui percorsi cerebrali coinvolti in
malattie come la depressione e il disturbo ossessivo-compulsivo.

“L’optogenetica non è un fuoco di paglia”, spiega Robert Gereau, neuroscienziato della Washington
University a Saint Louis. “Consente di fare esperimenti impensabili fino a pochi anni fa: è un vero
punto di svolta, come poche altre tecniche”.

Fin dalla pubblicazione dei primi lavori sull’optogenetica, a metà degli anni duemila, alcuni
ricercatori hanno immaginato di poterla usare un giorno sui pazienti, per ottenere per esempio un
interruttore per “spegnere” la depressione. La tecnica, tuttavia, richiederebbe che un paziente si
sottoponga a una serie di procedure mediche altamente invasive: a partire dall’ingegnerizzazione
genetica dei neuroni per inserirvi gli interruttori molecolari necessari per attivare o disattivare
le cellule, associata all’inserimento di una fibra ottica nel cervello per comandare quegli
interruttori.

Tra le numerose start-up che ora stanno valutando la possibilità di condurre studi clinici basati
sull’optogenetica, vi è la società fondata sulla scia di una serie di recenti progressi dal pioniere
dell’optogenetica Karl Deisseroth, insieme ad altri ricercatori della Stanford University, allo
scopo di arrivare a una sperimentazione su pazienti entro i prossimi anni. La Circuit Therapeutics,
fondata nel 2010, sta portando avanti progetti per trattare in modo specifico le malattie
neurologiche, e sta collaborando con aziende farmaceutiche sulla sperimentazione animale con
l’obiettivo di scoprire nuovi bersagli farmacologici per le malattie umane.

La Circuit vuole iniziare le sperimentazioni cliniche dell’optogenetica nel trattamento del dolore
cronico, una terapia che sarebbe meno invasiva rispetto ad applicazioni che richiedono un impianto
profondo all’interno del cervello. I neuroni coinvolti nel dolore cronico sono relativamente
accessibili, perché risiedono dentro e appena fuori il midollo spinale, un obiettivo più facile da
raggiungere del cervello. Anche le terminazioni nervose della pelle possono essere usate come
bersagli, ancora più facilmente raggiungibili.

“Nel modello animale funziona incredibilmente bene”, sottolinea Scott Delp, neuroscienziato della
Stanford University, che collabora con Deisseroth. L’azienda sta anche lavorando per sviluppare
terapie per il morbo di Parkinson e per altri disturbi neurologici. L’interesse per l’optogenetica e
per le terapie strettamente correlate nei pazienti sta crescendo. La RetroSense Therapeutics, una
società con sede in Michigan, ha comunicato l’intenzione di iniziare presto la sperimentazione umana
per una condizione genetica che causa cecità.

La nuova tecnologia si basa sulle opsine, una classe di proteine che costituiscono un particolare
tipo di canale ionico. I neuroni contengono centinaia di diversi tipi di canali ionici, ma le opsine
si aprono in risposta alla luce. Alcune opsine sono presenti nella retina umana, ma quelle
utilizzate in optogenetica sono derivate da alghe e da altri organismi.

Le prime opsine usate in optogenetica, chiamate rodopsine di canale, si aprono per consentire agli
ioni carichi positivamente di entrare nella cellula quando sono attivate da un lampo di luce blu,
innescando l’invio di un impulso elettrico nel neurone. Altre opsine lasciano passare, in risposta
alla luce, ioni carichi negativamente che hanno un ruolo inibitorio, rendendo possibile anche il
silenziamento dei neuroni. Con l’ingegneria genetica, i ricercatori hanno notevolmente ampliato
l’arsenale di opsine disponibili, per esempio producendone alcune che rimangono aperte in risposta a
un breve impulso di luce.

Prima che le terapie optogenetiche diventino una realtà, la sfida principale è far sì che i geni per
le opsine possano essere usati come bersagli nei neuroni umani adulti. Nei roditori, i ricercatori
hanno utilizzato due strategie principali: la prima è transgenica, in cui i topi sono allevati per
produrre opsine in specifici neuroni, un’opzione inadatta per l’uso nell’uomo.

L’altro metodo si serve un virus per inserire un gene in un neurone. I virus attualmente sono già
utilizzati per altri tipi di terapia genica negli esseri umani, ma rimangono alcuni inconvenienti.
Devono penetrare neuroni maturi e consegnare il loro carico genico senza innescare una reazione
immunitaria. Inoltre, il neurone deve esprimere le opsine nel sito giusto e deve produrre la
proteina continuamente, in teoria per sempre.

Delp e altri hanno ottenuto effetti analgesici nei roditori con un vettore virale, attivando
un’opsina per interrompere un circuito in grado di produrre dolore. “Due settimane dopo una singola
iniezione nel nervo periferico di virus contenente un gene per un’opsina inibitoria, si osserva una
robusta espressione della proteina nei neuroni in tutto il tratto a monte, fino alla pelle”, spiega
Delp. “Siamo in grado di sopprimere la sensibilità al calore e alla stimolazione tattile dolorosa,
uno dei maggiori problemi nei pazienti con dolore cronico: tutto ciò che dobbiamo fare è illuminare
la pelle”. Resta da verificare se la tecnica potrà mai funzionare negli esseri umani.

Il secondo ostacolo è fornire luce ai neuroni contenenti opsine per attivare o disattivare il
circuito cerebrale desiderato. Negli esseri umani, far arrivare luce al cervello richiederebbe
interventi chirurgici importanti di chirurgia, ma silenziare i neuroni che trasmettono il dolore
sarebbe molto meno invasivo, per esempio applicando un dispositivo a emissione di luce.

Recentemente Gereau, in collaborazione con John Rogers, della University of Illinois a
Urbana-Champaign, ha sviluppato dispositivi, applicati ai roditori al termine dei nervi periferici o
del midollo spinale, che sono miniaturizzati, completamente impiantabili e alimentati in modalità
wireless da energia a radiofrequenza. Ada Poon, della Stanford University, in collaborazione con
Delp e Deisseroth, ha recentemente messo a punto un dispositivo impiantabile wireless simile per
l’uso nei roditori.

Anche se i neuroni esterni al cervello sono più accessibili, sono anche difficili da attivare con la
luce, perché, proprio come le persone, gli animali sperimentali sono raramente in quiete, e un
dispositivo emettitore di luce rigida potrebbero danneggiare il delicato tessuto nervoso. Ma i nuovi
dispositivi di Gereau sono flessibili ed estensibili, e possono così muoversi insieme con gli
animali. Il ricercatore è convinto che l’optogenetica per le terapie umane sia ora nelle prime fasi
di sviluppo.

“Sono certo che l’optogeneticaci ha un potenziale terapeutico”, conclude il ricercatore. Nel giro di
un decennio, disattivare i neuroni del dolore potrebbe essere come far scattare un interruttore
della luce.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su Scientificamerican.com il 5 gennaio.
Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

www.scientificamerican.com/article/revolutionary-neuroscience-technique-slated-for-human-clin
ical-trials/

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