La santa, miracolosa vita (Lila) di Mataji

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La santa, miracolosa vita (Lila) di Mataji

di Bhaiji

Tratto da:

Titoli originali delle opere tradotte in questo volume:
“Matri Darshan” – di Bhaiji.
“Words of Sri Anandamayi Ma”
– tradotto e compilato da Atmananda.
Traduzione italiana e
introduzione biografica
a cura delle
Edizioni Vidyananda.
1992 by Edizioni Vidyananda

IL LILA DI SRI ANANDAMAYI MA

Quando nel 1936 Paramhansa Yogananda incontrò Sri Anandamayi Ma e le chiese di
dire qualcosa della sua vita, Mataji rispose: “Padre, c’è poco da dire. La mia
coscienza non si è mai associata con questo corpo transitorio. Prima che venissi
su questa terra… ‘io ero la stessa’. Da bambina ‘io ero la stessa’. Divenni
donna, ma ‘io ero la stessa’. Quando la famiglia… predispose di far sposare
questo corpo, ‘io ero la stessa’. Ed ora di fronte a voi, Padre, ‘io sono la
stessa’. E per sempre in futuro, malgrado la danza della creazione cambi intorno
a me nello spazio dell’eternità, ‘io sarò la stessa’”.

Scrivere veramente qualcosa della vita di persone come Sri Anandamayi Ma è
decisamente impossibile. Quelli che si cimentano in questo tentativo corrono il
rischio di narrare solo una serie di fatti esteriori, senza riuscire a cogliere
l’Essenza che sta dietro l’apparenza. La vita di questi Grandi sfugge a ogni
tentativo di storicizzazione. Il fatto è che con loro non è possibile applicare
i comuni termini evolutivi di nascita, crescita, sviluppo e compimento, che
cadono sotto il dominio dello spazio e del tempo. Secondo gli Indù tutta la
creazione spazio-temporale è il Lila (gioco) di Dio. Col termine Lila si
definiscono pure le vicende terrene delle incarnazioni di Dio. Mataji allude
spesso al fatto di essere un osservatore distaccato che gioca volontariamente
nell’illusorio teatro del mondo di nomi e forme; per questo ci sembra corretto
parlare di ‘Lila di Sri Anandamayi Ma’.

Premesso questo, vediamo in breve quali sono stati i fatti salienti del suo
Lila. I suoi genitori erano dei devoti vaishnava. La madre, Mokshada, era il
sublime modello di tutte le donne indù. Dopo la nascita della prima figlia il
padre era partito per condurre vita ascetica, ma la morte improvvisa della
bambina gli fece riprendere la vita di capofamiglia. Pochi anni dopo, a Kheora,
un piccolo villaggio del Bengala orientale (oggi Bangladesh), il 30 aprile 1896,
dodici minuti prima che il sole si levasse, nacque loro un’altra bambina, che fu
chiamata Nirmala Sundari Devi. Dopo di lei nacquero altri quattro fratelli e due
sorelle.

Nirmala Sundari (che vuol dire Bellezza Immacolata) crebbe in un’atmosfera
d’estrema semplicità; sempre gioiosa e sorridente, era servizievole e amica di
tutti, Indù e Musulmani. Obbediva senza esitare alle parole dei grandi. La sua
istruzione scolastica durò poco meno di due anni, poiché la famiglia non poteva
fare a meno dei suoi servizi. La sua educazione religiosa fu scarsa, ma ben
presto accompagnò il padre nelle cerimonie religiose e cantava con lui gli inni
sacri. Ogni tanto aveva dei momenti di ‘assenza’: nel bel mezzo di un lavoro o
di un gioco la bambina diventava inerte, con lo sguardo fisso, e quando
riprendeva i sensi sembrava ritornare da molto lontano.

Altre volte la vedevano parlare con le piante e con esseri apparentemente
invisibili. Queste cose erano comunque piuttosto rare, e i suoi genitori non se
ne preoccupavano. Nel 1909 questi disposero il matrimonio della figlia con il
brahmino R. M. Chakravarti, che in seguito sarà conosciuto come Bholanath (un
nome di Shiva). Secondo la consuetudine, dopo la cerimonia la sposa ritornò a
vivere coi propri genitori. Bholanath, che era molto più grande d’età, cambiò
spesso lavoro, spostandosi continuamente per tutto il Bengala orientale; così la
coppia non si riunì che dopo cinque anni. Un anno dopo la cerimonia Nirmala andò
a vivere con la famiglia del marito, per prepararsi ai suoi futuri doveri di
moglie. Anche qui stupì tutti per la sua obbedienza, per la precisione e la
rapidità con cui lavorava e soprattutto per la sua gaiezza.

La vita coniugale con Bholanath cominciò nel 1914, quando lei lo raggiunse nel
suo nuovo posto di lavoro. Fin qui egli pensava di aver sposato una ragazza come
tante, ma dovette presto accorgersi quale compagna gli avesse riservato il
destino. Quando all’inizio cercò d’avvicinarla fisicamente, ricevette una scossa
elettrica talmente forte da fargli passare ogni idea di relazione fisica. Sembra
ch’egli pensasse che quella fosse solo una situazione temporanea, che la moglie
era ancora troppo giovane, e sperava che in seguito sarebbe diventata ‘normale’.

Ma il matrimonio non fu mai consumato. A questo riguardo, la stessa Mataji disse
a Didi nel 1938, dopo la morte di Bholanath: “Non vi fu mai l’ombra di un
pensiero mondano nella mente di Bholanath. Egli non faceva differenza tra me e
la piccola Maroni (la nipote di sua sorella), quando la notte giacevamo vicino a
lui. Ricorderai che spesso, quando la notte andavi via, tu mi stendevi vicino a
lui quando questo corpo era nello stato di bhava (estasi). Egli non fu mai
turbato dalla coscienza del corpo. . . guardava e si prendeva cura di questo
corpo altruisticamente, senza pensare a sé. Una volta o due, quando in lui vi
era qualche barlume di pensiero mondano ancora così informe da non essere sul
piano della sua coscienza, questo corpo manifestava tutti i sintomi della morte.
Egli s’impauriva e faceva japa, sapendo di poter ristabilire il contatto con me
solo in quel modo”.

È chiaro che le benedizioni della moglie aiutarono il marito a liberarsi da ogni
desiderio terreno; il suo autocontrollo divenne eccezionale. Tuttavia dal punto
di vista sociale il loro matrimonio era anomalo. La tradizione indiana vuole la
moglie sottomessa al marito, che dev’essere considerato come un dio. E sebbene
Mataji giocasse dapprima il ruolo della moglie obbediente man mano che si
diffuse la fama del suo stato spirituale sorsero nuovi problemi che vennero a
turbare la relazione tradizionale tra moglie e marito. Alla luce degli
avvenimenti è comunque chiaro che Mataji modellò impercettibilmente il
marito-discepolo, finché questi non fu in grado di risolvere ogni problema.
Sicuramente egli deve aver sentito che la ricca mietitura spirituale lo
ricompensava abbondantemente della mancanza di una normale vita familiare.
Durante questo periodo le estasi di Sri Ma cominciarono ad accadere anche al di
fuori dell’intimità della loro casa; così la sua fama cominciò a diffondersi.
Nel 1916 Mataji si ammalò gravemente e fu condotta in casa dei suoi genitori,
dove rimase fino al 1918, quindi raggiunse Bholanath a Bajitpur, dove questi
aveva trovato lavoro.

I sei anni che seguirono (fino al 1924) sono considerati quelli del ‘gioco della
sadhana’. Nelle sue parole: “Un giorno, a Bajitpur, andai a fare il bagno nello
stagno vicino alla casa dove vivevamo. Mentre aspergevo l’acqua sul mio corpo,
improvvisamente mi venne il kheyala: ‘Come sarebbe se giocassi il ruolo di una
sadhika (una che pratica sadhana)’. E così cominciò il Lila. Più in là dichiarò:
“Posso dirvi che ciò che sono, lo sono stata fin dall’infanzia. Ma quando le
diverse fasi della sadhana si manifestarono attraverso questo corpo ci fu come
una sovrapposizione d’ajnana (ignoranza). Ma che tipo d’ajnana? In realtà era
jnana (conoscenza) mascherata d’ajnana”. Disse anche: “In genere un velo separa
l’uomo dal suo Sé, ed è questo velo che dev’essere gradualmente assottigliato
con la sadhana; ma in questo caso non si è interposto nessun velo. È stato
prodotto per gioco, per poi essere ritirato”.

Di notte la Madre si sedeva in un angolo della stanza, assumeva spontaneamente
asana complicatissimi e pronunciava diversi mantra. Spesso cantava per ore,
ripetendo il nome di Hari. Ciò dispiacque a Bholanath, che essendo uno shakta
chiese all’estatica Madre di cantare i nomi di Shiva o di Kali. Lei acconsentì
immediatamente consapevole che tutti i nomi di Dio si equivalgono. All’inizio
Sri Ma faceva sadhana solo di notte; ben presto, però, mantra e strofe sanscrite
cominciarono ad uscire dalle sue labbra anche in presenza di estranei. Durante
quel periodo si manifestarono diversi vibhuti (poteri soprannaturali) e fenomeni
strani.

Mataji non ha mai avuto un Guru nel senso comune del termine. La notte della sua
iniziazione (3 agosto 1922), dopo aver preparato il pasto al marito, sedette
come al solito, quando ricevette l’ispirazione a rappresentare nello stesso
tempo il ruolo del Guru e del discepolo. In un attimo le sue dita disegnarono
sul terreno uno yantra; dal più profondo Sé le venne spontaneamente il bija
mantra, che scrisse all’interno del segno mistico, e cominciò a ripeterlo con la
realizzazione che Guru, discepolo e mantra sono un’unica cosa.

Nei mesi che seguirono la sua sadhana crebbe d’intensità. Le funzioni normali
del suo corpo si fermarono e solo raramente toccava cibo o sentiva il bisogno di
dormire. Nel dicembre del ’22, contravvenendo ad ogni convenzione, nel giorno e
nell’ora stabilita Mataji iniziò Bholanath secondo le regole delle Scritture,
pur senza conoscerle. Dopo questa iniziazione ella rimase in silenzio per circa
tre anni, interrompendolo solo raramente per pronunciare un mantra o confortare
qualcuno in grande bisogno. Nel 1924, mentre la Madre era ancora in silenzio,
Bholanath perse il lavoro e si trasferì con la moglie a Dacca, dove trovò
occupazione come intendente dei giardini del nawab. Qui, in una piccola casa, il
Lila di Mataji continuò. Le estasi divennero sempre più frequenti, al punto che
il marito ritenne pericoloso lasciarla sola in casa. La sua fama si diffondeva
sempre più e un numero sempre crescente di persone andava a trovarla.

Nel 1924 Bholanath e Mataji vanno a Siddheshwari, un posto sacro nei dintorni di
Dacca dove ci sono le rovine di un antico tempio a Kali. Da settembre in poi,
accompagnata dal marito o dal padre, Sri Ma passa frequentemente le sue notti in
questo tempio quasi inaccessibile. Nell’aprile del ’25 suggerì a Bholanath di
costruirvi una tettoia, e una settimana dopo vi ritornò con numerosi discepoli e
chiese che vi si celebrasse la festa di primavera in onore di Durga. Qualche
anno dopo Mataji acconsentirà che a Siddheshwari sorga un ashram. Quando il
silenzio di Sri Ma ebbe termine, nell’ottobre del ’25, Bholanath permise che i
devoti le parlassero liberamente. Alla fine del silenzio, Mataji cominciò un
lungo digiuno: “Per quattro o cinque mesi questo corpo ha vissuto con pochi
chicchi di riso al giorno… Il fatto è che noi non abbiamo bisogno di tutto ciò
che mangiamo. Il corpo non assimila che la quintessenza del cibo, e rigetta il
resto. Il risultato dell’ascesi fu che questo corpo, al posto del cibo, prese
dall’ambiente tutto ciò che gli era necessario. Può anche nutrirsi d’aria, e
allora otteniamo l’essenza delle cose… e il corpo si trova in samadhi. Vedete
che con l’ascesi tutto è possibile”. Gradualmente Mataji perse l’abitudine di
portare il cibo alla bocca e da allora venne imboccata da altri, dapprima da
Bholanath, poi principalmente da Didi.

n seguito altre discepole più giovani ebbero quest’incarico. La Madre dice:
“Considero mie tutte le mani; in realtà mangio sempre con la mia mano”. Nutrire
Sri Ma è stato problematico. All’inizio accettava quantità insignificanti di
cibo o rifiutava completamente di mangiare. Una volta si astenne da cibo e
bevanda per 23 giorni. Un’altra volta che non mangiava da giorni, Bholanath si
lamentò per la sua salute; il giorno dopo ella mangiò tutto il pane disponibile,
esaurendo completamente la scorta di burro e farina della casa.

E aggiunse: “Ce ne fosse stato ancora, l’avrei mangiato. Non disponete le cose
per me. Se cominciassi veramente a mangiare nessuno di voi, per quanto ricco,
sarebbe in grado di provvedere a me”. Mataji è contraria all’accumulo delle
vivande. Una volta, in casa di un devoto di Calcutta, saputo di un certo
quantitativo di cibo immagazzinato, andò nel magazzino e fece distribuire i
generi alimentari tra le famiglie del vicinato.

La prima apparizione pubblica di Sri Ma avvenne in occasione del Kali puja del
1925, che ella accettò di condurre con riluttanza. Durante la cerimonia ella
pose sulla propria testa i fiori e la pasta di sandalo che dovevano essere posti
sulla statua di Kali. Si produsse un cambiamento, la sua carnagione si scurì, i
suoi occhi s’ingrandirono smisuratamente, tutti i presenti la videro sotto i
tratti di Kali. Permise il sacrificio di una capra, secondo la tradizione, ma
fece intendere che nei prossimi Kali puja ai quali avrebbe partecipato non
voleva che si sacrificassero animali. Spiegò che il vero significato del
sacrificio animale è quello di sacrificare la propria natura inferiore o
animale, vivendo in maniera tale da innalzarsi alla vera natura Divina
dell’uomo.

Nell’ottobre del ’26 le fu di nuovo chiesto di celebrare il Kali puja. Ancora
una volta ella deviò dal rituale tradizionale; nel momento dell’offerta del
sacrificio (che non permise), suggerì di conservare il fuoco sacrificale per un
mahayajna (sacrificio in favore di tutti gli esseri). Quel fuoco si conserva
ancora negli ashram di Benares, Dehradun e Naimisharanya. Secondo la
consuetudine, alla fine del puja la statua della dea viene immersa nell’acqua.
Su richiesta di una devota la Madre diede istruzioni affinché la statua fosse
conservata; in seguito fu installata nell’ashram di Ramna. Nel corso di queste e
altre cerimonie, Mataji si trasforma e appare sotto i tratti gloriosi di Durga o
quelli terrificanti di Kali. Il giorno dell’anniversario di Krishna apparve come
lo stesso Krishna. I suoi tratti si trasformano completamente.
Su consiglio della madre, nel giardino del nawab si organizzarono kirtan e
cerimonie religiose, senza incontrare opposizione da parte dei musulmani.

Mataji si meritò il rispetto e la stima della famiglia del nawab e della
comunità musulmana. Spesso ella manifestò apertamente la sua reverenza per
l’Islam. La Madre si considera nello stesso tempo cristiana, musulmana, indù,
“tutto quello che volete”. Tuttavia la maggior parte dei suoi devoti sono indù.
Tra il ’25 e il ’26 arrivarono alcuni tra i suoi più grandi devoti: Gurupriya
Devi, chiamata Didi (sorella), che si oppose al piano dei genitori che volevano
sposarla, e che Sri Ma accolse con le parole “Dove sei stata tutto questo
tempo?”, come se si trattasse di una vecchia conoscenza. Didi divenne la persona
più intima di Sri Ma, aiutandola prima nei doveri di casa e poi nella direzione
dei vari ashram che le si crearono intorno. A lei dobbiamo la registrazione più
completa del Lila di Mataji. Un altro grande devoto fu Bhaiji (fratello
maggiore), che nel suo magnifico libro “Matri Darshan” ci ha lasciato una
preziosa testimonianza degli anni trascorsi con la Madre.

Intorno a questo periodo (1926) la gente cominciò ad andare regolarmente da
Anandamayi Ma, aspettandosi la guarigione dei mali fisici. Ella fece però capire
che avrebbe curato solo quando era portata a farlo, secondo il suo kheyala. I
miracoli si moltiplicarono. Di questo periodo Mataji disse: “Avevo il kheyala di
essere come un sadhaka; era perciò naturale che si manifestassero spontaneamente
le caratteristiche proprie ad un’intensa ascesi. Il vero sadhaka non attribuisce
alcuna importanza ai poteri che si sviluppano in lui, e può non farne un uso
deliberato. Tuttavia le persone possono trarre grande profitto dall’abbondanza
che straripa dal suo sforzo cosciente”.

Gradualmente la vita di Mataji ritornò ‘normale’, e i fenomeni strani
scomparvero quasi del tutto. Alla fine del 1926 il “gioco della sadhana” era
terminato. Fu allora che la Madre permeata di Gioia abbandonò la vita
sedentaria, viaggiando incessantemente per tutta l’India del centro-nord.
All’inizio del 1927 Sri Ma e il suo seguito visitarono Rishikesh e Hardwar.
Mentre erano in quest’ultima città, Ella ordinò a Didi e al padre di questa di
rimanervi tre mesi e praticare tapas in solitudine. Prima di ritornare a Dacca,
Sri Ma si fermò a Mathura, Vrindaban e Benares. In aprile, in occasione del
trentunesimo anniversario della Madre, Bhaiji suggerì che in suo onore si
facessero puja e kirtan. Da allora, ogni anno si celebra il compleanno di
Mataji, con festeggiamenti che durano più di una settimana e ai quali
partecipano grandi folle di devoti.

Ci si potrebbe chiedere perché Mataji permetta queste celebrazioni. Nel 1956, in
occasione del suo sessantesimo compleanno, un devoto le chiese quale fosse il
significato di quella festa. La risposta fu che è vero che lei non è mai nata,
come neanche Il Signore Krishna, eppure si celebra la Sua nascita. Queste feste,
di carattere unicamente religioso, servono a focalizzare l’attenzione della
gente sul Divino, aumentandone così la devozione e la ricettività spirituale. A
Bhaiji si deve anche l’aver incluso come parte integrale dei kirtan i canti
devozionali rivolti a Sri Ma. All’inizio del 1928 Bholanath perse il posto di
lavoro. Nel settembre dello stesso anno, durante una visita a Benares, Mataji
incontrò M. Gopinath Kaviraj, uno dei più grandi studiosi di sanscrito. Egli
divenne uno dei suoi più ardenti devoti, e pubblicò parecchi libri su di lei.

A Benares le folle si accalcavano per avere il darshan di Sri Ma. Ciò che era
rimasto della sua vita ‘privata’ venne sostituito dai suoi doveri verso coloro
che cercavano in lei un rifugio spirituale. Bholanath dovette adattarsi a una
vita che aveva poco o niente della normale esistenza familiare. Nel dicembre del
1928 Mataji vide che era venuto il tempo d’intensificare la sadhana di
Bholanath, così gli disse di andare a praticare la meditazione solitaria a
Tarapith, un luogo sacro caro agli asceti.

Quando i devoti vollero celebrare il compleanno di Sri Ma del 1929, si accorsero
che l’ashram di Siddheswari non bastava più a contenere tutti. Le celebrazioni
furono dunque spostate nell’ashram appena completato di Ramna, a Dacca. Alla
fine della festa, Sri Anandamayi Ma annunciò la risoluzione di lasciare Dacca
quella stessa notte. A Bholanath chiese il permesso di partire, premettendo che
se avesse rifiutato Ella avrebbe lasciato immediatamente il corpo. Il
pellegrinaggio la portò nell’Himalaya, ad Ayodhya e a Benares. Dopo il ritorno a
Dacca non fu più in grado di tenere in mano gli utensili da cucina, e dovette
abbandonare tutti i lavori di casa. Bholanath protestò e cadde malato. Nelle
parole di Mataji: “Per alcuni giorni provai a cucinare con l’aiuto di mia
madre… non avevo obiezioni e per me non faceva differenza… ma dopo pochi
giorni Bholanath cadde malato e quindi m’ammalai anch’io. Così, dopotutto, non
s’arrivò a niente”. Evidentemente il Lila familiare era terminato.

A quel tempo risale il primo incontro di Sri Ma con la comunità accademica,
convenuta a Dacca per un congresso di filosofia indiana. Gli studiosi andarono a
trovarla e l’interrogarono per ore sulle questioni più profonde e difficili.
Ella rispose spontaneamente, con serenità e precisione, libera da ogni pastoia
metafisica. Il numero dei devoti crebbe sempre più. Seguì un periodo di viaggi
apparentemente a caso per tutta l’India del nord. Nell’agosto del 1930 Sri Ma,
assieme a Bholanath, intraprese il suo primo viaggio nell’India del sud, fino a
Capo Comorin.

Nel 1932, dopo le celebrazioni per il suo compleanno, la Madre manifestò
l’intenzione di lasciare Dacca per sempre. A tarda notte fece chiamare Bhaiji,
che con Bholanath fu l’unico ad accompagnarla, e quasi senza niente i tre
partirono da Dacca e andarono nell’Himalaya. Dal 1932 ad oggi il Lila della
Madre Permeata di Gioia è stato un interminabile susseguirsi di feste religiose,
puja, kirtan e satsanga. Ognuno vorrebbe che Sri Ma santificasse la propria casa
con la sua presenza. A Calcutta i devoti sono innumerevoli. La Madre continua a
muoversi per tutta l’India del nord circondata dai discepoli più intimi e attesa
sempre da migliaia di devoti che sperano di beneficiare della sua presenza.
Ovunque lei vada, la concentrazione viene sempre rivolta al Divino. Mataji
chiama continuamente l’umanità a risvegliarsi dal sonno dell’ignoranza alla
realizzazione dell’Uno.

Dei suoi devoti più intimi, Bhaiji morì ad Almora nel 1937, poco dopo aver preso
sannyasa dalla Madre. Bholanath morì di vaiolo nel 1938. L’anno successivo la
madre di Sri Ma, Didima, prese sannyasa col nome di Swami Muktananda Giri e
servì al fianco della figlia fino alla morte (1970). Didi Gurupriya Devi, la
grande compagna della Madre, ha lasciato il corpo nel 1981.

Dato il grande numero di devoti in tutta l’India (come pure in Europa e in
America) e il formarsi di più di venti ashram intorno alla Madre, nel 1950 fu
stabilita a Benares la Sri Sri Anandamayi Sangha. La Madre non è in alcun modo
coinvolta nell’amministrazione o nel controllo del Sangha. L’unica cosa di cui
lei è personalmente responsabile è l’annuale Samyam Vrata, cominciato nel 1952.
Si tratta di una settimana di ritiro, nel corso della quale si pratica
un’intensa disciplina spirituale sotto la guida diretta di Sri Ma. Sollecitando
l’uomo a rinunciare al mondo almeno per una settimana Anandamayi Ma gli chiede
di praticare almeno un po’ quella rinuncia che è il suo modo di vivere da più di
mezzo secolo.
A quelli che si rattristano nel vederla partire continuamente, la Madre Permeata
di Gioia risponde: “Io non vado da nessuna parte, sono sempre qui. Non c’è né
andare né venire, tutto è Atman”.

O ancora: “Ovunque voi siate, io sono sempre con ciascuno di voi, ma voi vi
lasciate prendere dalle cose materiali e non vi resta molto tempo per rivolgere
i vostri pensieri e le vostre azioni verso questo corpo. Che ci posso fare? Ma
sappiate che qualsiasi cosa diciate o facciate, che mi siate vicini o lontani,
niente mi sfugge. Come la vostra figura può uscire subito dall’ombra accendendo
una luce, così m’appaiono tutte le espressioni del vostro viso allorché meditate
su di me, parlate di me o m’invocate”.

Sri Sri Anandamayi Ma entrò in Mahasamadhi (l’uscita finale di uno yogi dal
corpo) nell’estate del 1982.

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