LA SCIENZA DELL’AMORE O LA ‘METAFISICA CONCRETA’ DI PAVEL FLORENSKIJ

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LA SCIENZA DELL’AMORE
O LA ‘METAFISICA CONCRETA’ DI PAVEL FLORENSKIJ

di Tania Zakharova

Dopo oltre cinquant’anni di oblio, Pavel A. Florenskij (1882-1937), una delle figure più
significative e sorprendenti del pensiero religioso russo, viene riscoperto in gran parte d’Europa
come uno dei maggiori pensatori del Novecento. Florenskij si rivela come un filosofo della scienza,
fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologo, ma anche filosofo della religione e
teologo, teorico dell’arte e di filosofia del linguaggio, studioso di estetica, di simbologia e di
semiotica. Anche se con terminologia diversa le sue opere mostrano una sorprendente affinità con
varie dottrine filosofiche del patrimonio vedico, soprattutto con alcuni concetti riscontrabili
nella Bhagavad-gita (l’azione perfetta nel mondo sostanziata dalla giusta motivazione, la
transitorietà dell’esistenza nel mondo fenomenico, la pratica spirituale costante, il distacco
emotivo), delle Upanishad (la dottrina del dharma, quella del karma, l’unitarietà del tutto
esistente, micro e macrocosmo) e del Vedanta (l’Amore per Dio come fine ultimo). L’appassionata
ricerca nel campo scientifico, l’armoniosa sinergia tra filosofia, arte, teologia e scienza erano
infatti per Florenskij finalizzate alla scoperta della Verità nell’Amore Divino.

A poco a poco, in questi ultimi anni, sono tornate alla luce parti considerevoli della sua
vastissima eredità culturale, lasciando emergere la grandezza del suo pensiero filosofico, teologico
e scientifico. In effetti ciò che più sorprende dell’approccio scientifico di Florenskij è «la piena
assimilazione dell’oggetto di ricerca, lontana da ogni dilettantismo, unitamente all’ampiezza dei
suoi interessi scientifici, la sua rara ed eccezionale personalità enciclopedica la cui grandezza
non possiamo nemmeno stabilire per mancanza di capacità equivalenti».(1) Lo stupore non è suscitato
soltanto dall’incontro con la sua opera, che attraversa le molteplici forme dello scibile, ma
soprattutto dalla sua vita, dall’integrità umana e spirituale della sua persona. Come tanti
intellettuali russi della prima metà del XX secolo egli dovette condividere il tragico destino dei
filosofi religiosi, travolti dalla macchina dittatoriale del regime stalinista. Ma né le
persecuzioni, né la sua tragica fine potevano oscurare la nobiltà d’animo, le serenità interiore e
l’insaziabile anelito alla conoscenza di questo autentico ricercatore spirituale. All’inizio degli
anni venti Pavel A. Florenskij fu nominato responsabile della commissione per la tutela del
patrimonio artistico del Monastero della S.S. Trinità e docente di “Analisi della spazialità
nell’opera d’arte” presso gli Atelier superiori tecnico-artistici di Stato.

Oltre agli studi di filosofia del linguaggio, di teoria dell’arte e della spazialità, raccolti in
varie pubblicazioni di particolare rilevanza scientifica (cfr.Filo spartiacque del pensiero e il
trattato su Lo spazio e il tempo nell’arte), Florenskij compie una serie di invenzioni tecniche nel
campo della fisica (riguardanti in particolare le proprietà dei materiali elettrici ed isolanti) e
cura la realizzazione di alcuni volumi della grande Enciclopedia tecnica (dal 1927 al 1933). Il
lavoro scientifico che va dal 1920 all’arresto è molto vasto e comprende centinaia di voci: in esso
Florenskij mai rinuncia alla sua concezione cristiana del mondo. Interessante è lo scritto Gli
immaginari in geometria (Mnimosti v geometrii), che nella parte conclusiva si propone di rivalutare
la concezione dello spazio nell’interpretazione della Divina Commedia di Dante Alighieri, con il
sostegno teorico della teoria della relatività e della geometria non-euclidea. Alla decisione del
Politburo di censurare la pubblicazione del lavoro, Florenskij risponde con una lettera (13.9.1922)
nella quale afferma: «Elaborando una visione monistica del mondo, ed una concezione che richiede un
rapporto concreto e pratico nei confronti della vita, ero e sono ostile all’idealismo astratto come
alla metafisica astratta.

Come ho sempre pensato, una concezione del mondo deve avere delle salde radici, concretamente
vitali, e deve culminare in una incarnazione viva per mezzo della tecnica, dell’arte ecc.»(2) La sua
opera si compone di numerosi scritti che potremmo definire di filosofia della scienza nei quali si
moltiplicano i riferimenti ai più recenti sviluppi della matematica e della fisica, alla teoria
delle funzioni e della relatività, come pure alla meccanica quantistica, e dai quali affiora una
diversa considerazione scientifica della fisica teorica, della chimica e della matematica,
considerate come linguaggi simbolici che implicano superamento di ogni visione meccanicistica e
materialistica del mondo. Già dall’infanzia Florenskij adotta un approccio singolare nei confronti
dei fenomeni della natura, caratterizzato dalla percezione interiore di una particolare presenza del
mistero in ogni manifestazione naturale. Nel suo lavoro «Weltanschauung fiabesca»(3), l’attenzione
al fenomeno particolare non perde mai di vista la visione d’insieme; sotto la “maschera” del
visibile si cela sempre una realtà misterica invisibile. Florenskij era fermamente convinto che ogni
autentico atteggiamento scientifico avesse origine dalla percezione della realtà celata e
dall’interrogazione che questo suscita interiormente, verso la realtà conoscibile.

Scrive alla moglie dal lager delle Solovki: «Colgo l’occasione per dire a te e ai bambini che tutte
le idee scientifiche che mi stanno a cuore, scaturiscono dal mio sentimento per il mistero…Tutto ciò
che mi viene suggerito da questo, rimane vivo nel mio pensiero e diventa, prima o poi, oggetto di
uno sforzo scientifico»(4). Il mistero della natura è per Florenskij un sentimento attraverso il
quale accedere alle forme di “cristallizzazione del pensiero”. Dal confronto con il mistero e con lo
stupore da esso suscitato, egli avverte il vertiginoso senso dell’infinità e della trascendenza
nascosto nelle cose ordinarie, cogliendo l’invisibile “interrelazione sostanziale” che unisce l’uomo
alla natura e al mondo: «L’uomo è parte del mondo, ma allo stesso tempo l’uomo è complesso quanto lo
è il mondo. Il mondo è parte dell’uomo, ma anche il mondo è complesso quanto lo è l’uomo»
(Microcosmo e macrocosmo, III, pp. 440-441). La consapevolezza di questa invisibile interrelazione
stimola il grande filosofo a intraprendere un’esplorazione della natura del tempo e dello spazio per
uscire dai confini del mondo fenomenico. Questa ricerca lo porta alla scoperta di “uno spazio
quadridimensionale di un ordine più alto che giace nel cuore e al di là del nostro mondo
tridimensionale, la cui presenza è stata enunciata e studiata da molti filosofi, tra i quali
Platone, F.W.J. Schelling e J.W. Goethe.”

Già nella sua prima grande opera La colonna e il fondamento della Verità (1914), lo scienziato offre
la sua originale interpretazione della «molteplicità» temporale che, in fondo, rivela la sua idea
del tempo. È un’interpretazione che parte da un importante presupposto: la pluralità degli elementi
si trova nella Verità assoluta, in quanto l’alterità è solo l’espressione e la manifestazione
dell’identità dello “stesso essere”. Lo stesso presupposto vale nel caso della molteplicità
temporale: ogni «altro» momento di tempo, pur diverso da «questo di adesso», è anche lo stesso
momento «di adesso», poiché quello che si manifesta «come nuovo» è «vecchio» nella sua eternità.
Tutto questo è possibile perché la struttura interna delle «profondità noumenali» della Verità
(dell’Intero) è quella dell’Eterno e perciò sia «quello» che «questo», sia il «nuovo» che il
«vecchio» non sono che l’espressione o la manifestazione di un’unica Realtà.(5) Perché il tempo —
scrive Florenskij– è la forma della transitorietà dei fenomeni. Il tempo, chrónos, produce
fenomeni, ma come Chrónos, il suo archetipo mitologico, divora i propri figli. L’essenza stessa
della percezione sensoriale, di ogni manifestazione fenomenica sta nella transitorietà, cioè in una
specie di dimenticanza metafisica. (6) Una transitorietà e dimenticanza che, da parte dell’uomo,
vengono avvertite come un doloroso confronto con la sua fine sempre più prossima: la morte.

La realtà della morte ricorda all’uomo il suo esistere nel tempo: “L’esistenza nel tempo è per
natura sua un morire, un’avanzata lenta ma ineluttabile della morte. Vivere e andar morendo è la
stessa cosa, e la morte non è altro che un tempo diverso, più teso, più effettivo, che attira
maggiormente l’attenzione su di sé. La morte è un tempo istantaneo, il tempo una morte prolungata…
La nascita e la morte sono i poli di un’unica realtà”. Secondo il teologo, queste esperienze
confermano che per conoscere una cosa fino in fondo, nella sua integrità, occorre entrare nel suo
«spazio quadridimensionale», dove viene vinta la suddivisione del tempo sensoriale, spazio che
permette di vedere che tutto è correlato a tutto e che ciascuna parte viene determinata dalla
totalità. Florenskij è convinto che questo non significa che l’uomo debba rinunciare alla conoscenza
concreta, per rifugiarsi in un idealismo astratto. Perché se, da una parte, è vero che una realtà
può essere contemplata empiricamente solo in successione, come una serie di momenti separati, è
altrettanto vero che bastano questi momenti a fornire un concetto di un tutto unico di essa, di cui
i momenti contemplati non sono che l’immagine. L’esistenza della Realtà divina presuppone o implica
l’esistenza di una sfera di vita che ha una sua propria coordinata temporale, diversa da quella che
normalmente adoperiamo per misurare la successione temporale.

Il fatto che l’uomo possa almeno in parte assaporare una tale misura viene confermato dalla
percezione del tempo che a volte si può fare nel sogno. Scrive il filosofo: “…non tutti, e nemmeno
molti, hanno meditato sulla possibilità che il tempo trascorra a una velocità infinita. Ma intanto
il tempo davvero può essere istantaneo e fluire dal futuro al passato, dagli effetti alle cause,
teleologicamente, e ciò avviene appunto quando la nostra vita passa dal visibile all’invisibile”.(7)
Questo passaggio, però, con il cambio della percezione del tempo si può sperimentare non solo nel
sogno, ma anche in un’esperienza mistica. Colui che viene rapito verso le misteriose cime
dell’Invisibile non pensa più di essere entrato in un mondo immaginario o capovolto. Trovandosi
nella dimensione del mondo trascendente, che si lascia scoprire come più autenticamente reale di
tutta la realtà, il mistico entra in una nuova dimensione di vita, quella di Dio. Il quale «è
transtemporale», è «Colui che è nell’Eternità». Per Dio «il tempo è un unico «adesso» dato
immediatamente in tutti i suoi momenti». (8) Ecco perché nell’esperienza mistica il tempo appare –
come viene lucidamente colto già da Platone – come «un’immagine mobile dell’eternità». Per
Florenskij la riflessione sul tempo scaturisce da una riflessione molto più ampia: quella
riguardante il rivelarsi dell’Intero (Celoe), cioè della Verità, della Vita, nel mondo empirico.

Un rivelarsi che ha come effetto la rifrazione dell’Intero nella moltitudine dei frammenti che, pur
essendo da una parte indissolubili, sono dall’altra diversi al punto che, nei casi limite, due di
essi possono apparire come due poli completamente antinomici, ma nel mondo “sovraempirico” i due
poli raggiungono una coincidentia oppositorum. Seguendo il pensiero del filosofo : «nonostante il
suo apparire nello spazio e nel tempo come un semplice frammento, l’Intero è, in realtà, un’unità
compatta, permeando di sé le sfere sopra il tempo e sopra lo spazio, non avendo, in questo modo, né
inizio né fine».(9) La vera conoscenza è la conoscenza essenziale della verità che avviene
attraverso la partecipazione ontologica alla verità stessa; ciò implica, secondo Florenskij,
l’accoglimento dell’Amore quale sostanza divina. La conoscenza non è un percorso puramente
intellettualistico, «non è vorace possesso di un oggetto morto da parte di un soggetto gnoseologico
predace, ma un atto che coinvolge la persona nella sua interezza, nella scoperta della sua natura
divina, implicando un’autentica partecipazione alla vita di Dio-Amore”. Attraverso l’esperienza
dell’amore, si esce dall’empirico per entrare nel Regno della Verità ontologica. L’intera filosofia
florenskijana è dischiudimento della vera Sapienza, nata dall’Amore divino nel suo incontro con
l’esistenza umana, generando nella creatura il desiderio insopprimibile di riscoperta del suo cuore
che risplende di quella Luce di Verità e Bellezza. Florenskij è tra i pochissimi pensatori cristiani
del Novecento che è riuscito in questa delicatissima impresa di assumere l’esperienza teorica e
pratica dell’amore come cardine di un nuovo pensare, evitando il rischio dei costrutti
intellettualistici o delle fughe spiritualistiche. La filosofia della religione di padre Pavel ha
infatti la sua chiave nell’amore come fulcro dell’esperienza rivelativa e della conoscenza.

La filosofia per P.Florenskij va intesa come traduzione “di esperienze di realtà in esperienze di
significato” e coinvolge tutto l’essere verso la ricerca della conoscenza integrale. Per il filosofo
russo, la filosofia non è mai ornamento esteriore della vita, ma interiore bellezza, autentico
richiamo alla persuasione, che fiorisce dall’intelligenza dell’amore, dall’incontro sempre nuovo e
sorprendente tra l’esistenza e la “metafisica concreta”, nella quale – come egli sottolinea – «tutto
è significato incarnato e visibilità intelligibile» (Porte regali, p. 174). Tutto è saldamente
radicato nell’esperienza religiosa viva, nella quale confluiscono il rigore dell’interpretazione e
lo stupore della contemplazione. Nel 1933 il teologo viene arrestato, condannato a 10 anni di lager
e trasferito in Siberia nelle isole Solovki, ove al posto dell’antico monastero era stato allestito
il primo gulag sovietico. Anche in questa penosa condizione riesce a trovare la forza per
intraprendere accurate ricerche sul gelo perpetuo, sull’estrazione dello iodio e dell’agar-agar
dalle alghe marine, giungendo persino a brevettare una decina di importanti scoperte scientifiche, a
partire dal liquido anticongelante. Dopo una prima resistenza, padre Pavel accetta le false
imputazioni, liberamente sceglie di sacrificare se stesso e di donare la propria vita per rendere
possibile la salvezza di altri fratelli. Così viene fucilato l’8 dicembre 1937, in un luogo rimasto
sconosciuto nei pressi di Leningrado. In una delle sue ultime lettere (22/24.11.1936) alla figlia
Olga, rivela: “Il passato non è passato, in qualche modo continua ad essere reale e ad agire; a
seconda delle circostanze, esso si rivela di nuovo come eterno presente… Come scrisse un poeta del
XVII secolo: Die Rose, welche hier dein äußres Auge sieht, die hat von Ewigkeit in Gott also
geblüht. La rosa che il tuo occhio esteriore vede, è fiorita in Dio dall’eternità.” (10)

(1) (Bulgakov, 1971, p. 128)
(2) V politotdel [Alla sezione politica] tr. it. in Dantismo russo e cornice europea, Firenze 1989,
vol. II, p. 274.
(3) Ai miei figli, Moskva 1992, pp. 62.
(4) 1936, tr. it. “Non dimenticatemi”, p. 261
(5) P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, in russo, Moskva 1990, p. 46.
(6) P.A. Florenskij, La colonna…, p. 54.
(7) P.A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, a c. di E. Zolla, Milano 1977, p. 21.
(8) P.A. Florenskij, La colonna…, p. 389.
(9) P.A. Florenskij, Sezione aurea applicata…, p. 470. cfr. La lettera del sacerdote P. Florenskij
all’ieromonaco Antonio (Bulatovic), in Opere…, vol. 3 (1), p. 319.
(10) P.A. Florenskij, Opere in quattro volumi, vol. 4, in russo, Moskva 1998, p. 237.

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