parte settima
“LA SCIENZA SACRA”
(parte settima)
SUTRA 12
La conoscenza dell’evoluzione, della vita e della
dissoluzione, porta così alla completa liberazione
dai legami di Maya, l’illusione. Contemplando il sé
nel Sé Supremo, l’uomo conquista la libertà eterna.
In questo modo l’uomo, possedendo tutti i
poteri frutto dell’ascesi (aisvarya) di cui si è parlato,
comprende pienamente che lo Spirito Eterno,
il Padre, la sola Sostanza Reale, è l’Unità, il
Tutto Perfetto, e che il suo Sé è soltanto un’idea
che riposa su un frammento della Luce Spirituale.
L’uomo allora abbandona completamente la
vana idea dell’esistenza separata del proprio Sé e
si unisce allo Spirito Eterno, Dio Padre. L’unione
con Dio (Kaivalya) è la mèta suprema dell’uomo,
come è stato spiegato in questo saggio.
“Il vincitore lo farò sedere presso di me sul mio
trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il
Padre mio sul suo trono”.
Apocalisse, 3, 21
Conclusione
La corte, l’armi e il bosco guida amore,
gli uomini in basso e tutti i santi in alto
perché l’amore è il cielo, e il cielo è amore.
In questa strofa (La ballata dell’ultimo menestrello,
di Sir Walter Scott, seconda strofa del canto terzo) il
poeta ha meravigliosamente espresso la forza dell’amore. Ne
La scienza sacra si è chiaramente dimostrato che
‘l’Amore è Dio’, non solo come il più nobile sentimento
del poeta, ma come un aforisma di una verità eterna.
A qualsiasi credo religioso appartenga, qualunque
possa essere la sua posizione nella società, se
l’essere umano coltiva questo principio fondamentale,
insito naturalmente nel suo cuore, troverà
sicuramente il sentiero giusto e non si smarrirà
più nella creazione delle Tenebre, Maya.
Nelle pagine precedenti è stato dimostrato come
l’amore possa essere coltivato e come si sviluppi
coltivandolo e come, una volta sviluppatosi,
costituisca l’unico mezzo in virtù del quale
l’essere umano può trovare il proprio Maestro
Spirituale; e come, grazie al suo aiuto, egli venga
battezzato nuovamente nella sacra corrente e, sacrificando
il suo Sé sull’altare di Dio, si unisca al
Padre Eterno per sempre. Questo piccolo libro
si conclude quindi con un ardente invito al lettore
a non dimenticare mai la grande mèta della
vita e a ricordare le parole di Sankaracarya, il
grande saggio illuminato:
“La vita è sempre incerta e instabile come una
goccia d’acqua su una foglia di loto. La compagnia
di un essere divino, anche per un solo istante, può
salvarci e redimerci”.
Sull’Autore
Lo Swami Sri Yukteswar, un esempio perfetto
degli antichi rsi illuminati dell’India, è venerato
come Jnanavatar, incarnazione della saggezza, da
coloro che in tutto il mondo si sono sentiti ispirati
dalla sua vita e dai suoi insegnamenti. Egli ha dimostrato
di aver raggiunto il dominio di se stesso e la
realizzazione divina, la più alta mèta di tutti i ricercatori
della Verità, che si sono succeduti nel corso dei secoli.
L’infanzia e la giovinezza
Nato a Serampore, vicino a Calcutta nel 1855, lo
Swami Sri Yukteswar (Priya Nath Karar) era l’unico
figlio di Kshetranath e Kadambini Karar. Il padre,
Kshetranath, era un ricco uomo d’affari e la famiglia
possedeva grandi proprietà in quella zona.
Fin da bambino, l’acuta intelligenza del giovane
Priya e la sua sete di conoscenza furono evidenti.
Tuttavia, come accade spesso alle grandi menti, egli
considerò la scuola un impedimento più che un aiuto
e, per questo, non approfondì particolarmente gli studi scolastici.
Kshetranath Karar morì quando il figlio era ancora
ragazzo e, di conseguenza, Priya dovette assumersi
molto presto la responsabilità di amministrare le proprietà
della famiglia. Nella prima giovinezza si sposò,
ma perse la moglie di lì a qualche anno; anche la loro
unica figlia morì ancora giovane, poco tempo dopo essersi sposata.
La ricerca della Verità condusse Priya Nath fino al
grande Maestro Lahiri Mahasaya di Benares, il primo
nei tempi moderni ad avere insegnato senza restrizioni
il Kriya Yoga, affermando che questa antica scienza
di meditazione era il mezzo più efficace per ottenere
la realizzazione di Dio. Con la guida di Lahiri
Mahasaya e attraverso la personale pratica del Kriya,
Sri Yukteswar raggiunse il più alto livello spirituale
in cui, come egli stesso spiega ne La scienza sacra: “si
abbandona completamente la vana idea dell’esistenza
separata del proprio Sé e si diventa una cosa sola con
Lui, lo Spirito Eterno, Dio Padre. Questa unione con
Dio, Kaivalya, è la mèta suprema dell’uomo”.
Scrive “La scienza sacra”
Sri Yukteswar si rese conto che una sintesi dell’eredità
spirituale orientale e della scienza e della tecnologia
occidentali avrebbe notevolmente contribuito ad
alleviare le sofferenze materiali, psicologiche e spirituali
del mondo moderno. Egli era sicuro che si sarebbero
potuti fare progressi straordinari, sia sul piano
individuale sia su quello internazionale, grazie allo
scambio delle caratteristiche migliori di entrambe le
culture. Queste idee si concretarono nel 1894 durante
l’eccezionale incontro con il Mahavatar Babaji, il guru
di Lahiri Mahasaya. Sri Yukteswar narrò la storia di
quei memorabili momenti con queste parole (descritto da
Paramahansa Yogananda nell’Autobiografia di uno Yogi):
“Benvenuto, Swamiji”, disse Babaji affettuosamente.
“Signore”, risposi decisamente, “non sono uno Swami”.
“Coloro ai quali, per divina ispirazione, concedo
il titolo di Swami; non lo rifiutano mai”. Il santo si
rivolgeva a me con molta naturalezza, ma nelle sue
parole risuonava la forza della verità; mi sentii
immediatamente avvolgere da un’onda di benedizioni
celestiali. Sorridendo per la mia subitanea elevazione
all’antico ordine monastico, m’inchinai ai piedi
di quell’essere grande e angelico dalla forma umana,
che così mi aveva onorato…
[Sri Yukteswar fu più tardi iniziato ufficialmente
nell’Ordine degli Swami dal Mahanta (superiore del monastero)
di Buddha Gaya, nel Bengala. In quella occasione
prese il nome monastico di Swami Sri Yukteswar (unito a
Dio) rinunciando al suo nome secolare].
“Ho notato che ti interessi tanto all’Occidente
quanto all’Oriente!”. Il volto di Babaji risplendeva
di approvazione. “Ho percepito l’angoscia del tuo
cuore, un cuore così grande da accogliere tutti gli
uomini. Ecco perché ti ho fatto venire qui.
“L’Oriente e l’Occidente devono trovare un’aurea
via di mezzo fra l’attività e la spiritualità”, aggiunse.
“L’India ha molto da imparare dall’Occidente nel
campo del progresso materiale; a sua volta l’India può
insegnare i metodi universali mediante i quali l’Occidente
potrà basare le proprie convinzioni religiose
sulle fondamenta incrollabili della scienza dello Yoga.
“Swamiji, tu avrai un ruolo da svolgere in quello
scambio armonioso che si determinerà in futuro tra
l’Oriente e l’Occidente. Fra qualche anno ti invierò
un discepolo che preparerai affinché possa diffondere
lo Yoga nel mondo occidentale. Le vibrazioni di
molte anime protese verso la ricerca spirituale mi
raggiungono da quelle terre lontane come una marea.
Sento che in America e in Europa sono numerosi i
santi potenziali che aspettano di essere risvegliati…”.
Poi il grande Babaji mi disse: “Ti prego, Swamiji,
vuoi scrivere un breve saggio che metta in evidenza
l’armonia esistente tra le Scritture cristiane e quelle
indù, la cui unità fondamentale è ora oscurata dalle
differenze settarie create dagli uomini? Dimostra, ricorrendo
ad opportuni parallelismi, che i grandi figli
di Dio sono stati ispirati ad enunciare le stesse verità”.
Ritornato a Serampore, Sri Yukteswarji dette inizio
alle sue fatiche letterarie. “Nel silenzio della notte
confrontavo la Bibbia e il Sanatana Dharma” (Letteralmente
‘religione eterna’, è il nome dato al corpus degli insegnamenti
vedici che costituiscono la base dell’induismo), raccontò più
tardi. “Citando le parole del benedetto Signore
Gesù ho dimostrato che l’essenza dei suoi insegnamenti
è del tutto simile alle rivelazioni dei Veda.
Grazie al mio paramguru (il guru del proprio guru; in questo
caso il Mahavatar Babaji) il libro ebbe termine in breve tempo”.
La formazione spirituale dei discepoli
Col passare degli anni, lo Swami Sri Yukteswar
cominciò ad accettare i primi discepoli allo scopo di
educarli spiritualmente. La casa avita di Serampore
divenne il suo eremitaggio. Più tardi costruì un altro
asram sulla riva del mare a Puri, 300 miglia a sud di Calcutta.
Nel 1910 Sri Yukteswar incontrò il discepolo che
Babaji aveva promesso di mandargli per diffondere
lo Yoga in Occidente: Mukunda Lal Gosh, a cui Sri
Yukteswar conferì il nome monastico di Yogananda
e, più tardi, il titolo spirituale di Paramahansa.
Nell’Autobiografia di uno Yogi Paramahansaji ha descritto
minuziosamente gli anni trascorsi accanto al suo
guru – durante i quali lo Swami Sri Yukteswar gli
impartì la sua disciplina spirituale – fornendo un affascinante
ritratto del Maestro:
“La vita quotidiana nell’asram si svolgeva tranquillamente
e variava di rado. Il mio guru si svegliava
prima dell’alba. Disteso o seduto sul letto, entrava in
samadhi… (letteralmente ‘dirigere insieme’; è uno stato
supercosciente di estasi in cui lo yogi percepisce l’identità
fra l’anima individualizzata e lo Spirito Cosmico).
“Non facevamo subito colazione, ma prima andavamo
a passeggiare a lungo sulle rive del Gange. Come
mi sembrano ancora vive e reali quelle passeggiate
mattutine col mio guru! Nei ricordi che tanto facilmente
riaffiorano alla mente, spesso mi ritrovo accanto
a lui mentre il primo sole riscalda il fiume e la
sua voce risuona alle mie orecchie vibrante di autentica saggezza.
“Dopo il bagno seguiva il pranzo, preparato diligentemente
dai giovani discepoli secondo le istruzioni
giornaliere del maestro. Il mio guru era vegetariano,
tuttavia, prima di diventare monaco si era nutrito
anche di uova e di pesce. Ai suoi studenti consigliava
di seguire una dieta qualsiasi, purché semplice e
adatta alla loro costituzione”.
“Nel pomeriggio arrivavano i visitatori in un flusso
continuo, che si riversava dal mondo nella tranquillità
dell’eremitaggio. Tutti venivano trattati dal
mio guru con gentilezza e cortesia. Un Maestro, ossia
un uomo che ha realizzato se stesso come anima onnipresente
e non come corpo o ego, percepisce in
tutti gli uomini una sorprendente affinità”.
“Talvolta gli ospiti si trattenevano oltre le otto di
sera, l’ora della cena. Il mio guru non si permetteva
di mangiare da solo; nessuno lasciava il suo asram
affamato o insoddisfatto. Sri Yukteswar non era mai
colto impreparato dalla presenza di ospiti inattesi.
Pochi, semplici alimenti diventavano un banchetto
sotto la sua guida piena di risorse. Eppure era economo.
I suoi modesti fondi duravano a lungo. Molte
volte diceva: ‘Non spendete più di quanto non possiate
permettervi. Lo sperpero vi creerà solo disagi’.
Il Maestro dava prova di tutta l’originalità del suo
spirito creativo quando, fin nei minimi particolari, si
prendeva cura dell’andamento dell’asram, dei lavori
di riparazione dell’edificio, nonché di tutti i vari
aspetti della vita pratica.
“Spesso, nelle tranquille ore della sera, il guru
parlava a lungo e le sue parole erano un tesoro che il
tempo non avrebbe distrutto. Ogni sua espressione
era cesellata dalla saggezza. Una sicurezza sublime
caratterizzava il suo modo di esprimersi: era unico.
Parlava come non ho mai udito nessun altro parlare.
Pesava attentamente i suoi pensieri su una sensibilissima
bilancia di discernimento prima di tradurli in
parole. L’essenza della verità, che permea perfino il
corpo, emanava da lui simile a un fragrante profumo
dell’anima. Ero sempre consapevole di trovarmi alla
presenza di una manifestazione vivente di Dio. La
grandezza della sua divinità mi induceva a inchinarmi
spontaneamente dinanzi a lui”.
“Ad eccezione delle Sacre Scritture, Sri Yukteswar
non leggeva molto. Eppure era sempre al corrente
delle ultime scoperte scientifiche e dei progressi
in altri campi della conoscenza. Brillante conversatore,
amava intrattenersi con i suoi ospiti su argomenti
di vario genere. Lo spirito arguto del mio guru
e le sue allegre risate animavano la conversazione. Il
Maestro talvolta era austero, ma mai tetro. ‘Per cercare
Dio non è necessario sfigurare la propria faccia’,
osservava citando la Bibbia (Matteo, 6, 16). ‘Ricordate che
trovare Dio significa seppellire tutti i dolori’.
“Fra i filosofi, i professori, gli avvocati e gli scienziati
che frequentavano l’eremitaggio, alcuni arrivavano
per la prima volta credendo di trovare un religioso
molto ortodosso. Un altezzoso sorriso o uno
sguardo di divertita sufficienza rivelavano che si
aspettavano soltanto poche trite e pie banalità. Ma,
dopo aver parlato con Sri Yukteswar e aver scoperto
che egli comprendeva a fondo i loro specifici settori
di interesse, i visitatori erano restii ad andarsene”.
“Il Maestro contava molti medici fra i suoi discepoli.
‘Coloro che hanno studiato fisiologia dovrebbero
poi dedicarsi allo studio più profondo della scienza
dell’anima’, diceva loro. ‘Una sottile struttura spirituale
si nasconde proprio dietro il meccanismo del corpo’”.
“‘Esiste una legge che governa tutta la creazione’,
diceva Sri Yukteswar. ‘I princìpi che agiscono nell’universo
esteriore e che gli scienziati possono scoprire,
vengono definiti leggi naturali. Ma vi sono leggi
assai più sottili che governano i piani spirituali nascosti
e i reami interiori della coscienza. Tali princìpi
possono essere conosciuti mediante la scienza dello
Yoga. Non è lo scienziato, ma il maestro che ha realizzato
il Sé colui che comprende la vera natura della
materia. Grazie a questa comprensione il Cristo riuscì
a riattaccare l’orecchio del servo che uno dei suoi
discepoli aveva mozzato'”.
“Il Maestro interpretava la Bibbia con stupenda
chiarezza. Dal mio guru indiano, sconosciuto alla
massa dei fedeli cristiani, ho imparato a percepire
l’essenza immortale della Bibbia… Non ho mai conosciuto,
né in Oriente né in Occidente, qualcuno che
commentasse le Scritture cristiane con la sua profonda
intuizione spirituale”.
“Il mio guru consigliava ai suoi studenti di diventare
legami viventi fra le virtù dell’Occidente e quelle
dell’Oriente. Sri Yukteswar, in pratica un occidentale
nelle abitudini esteriori, era interiormente e spiritualmente
un orientale. Apprezzava il progresso, l’iniziativa,
le abitudini igieniche dell’Occidente e gli ideali
religiosi che da secoli illuminano l’Oriente”.
“Il suo comportamento era riservato e realista. In
lui non vi era nulla del visionario vano o sciocco.
Aveva ‘i piedi per terra’ e la mente ancorata nel porto
del cielo. Ammirava la gente concreta. ‘La santità
non è sinonimo di ottusità. Le percezioni divine non
rendono inetti’, diceva. ‘Mettere in pratica la virtù fa
sviluppare un’acutissima intelligenza’”.
“L’intuito di Sri Yukteswar era così penetrante da
consentirgli di rispondere, incurante dei commenti,
ai pensieri inespressi… Le rivelazioni della divina intuizione
suonano penose alle orecchie poco spirituali;
il Maestro non godeva di molta popolarità tra gli studenti
superficiali. I più saggi, per altro sempre poco
numerosi, lo veneravano profondamente. Oso dire
che Sri Yukteswar sarebbe stato il più apprezzato
guru dell’India se le sue parole non fossero state tanto schiette…”.
“Era sorprendente vedere come un Maestro dotato
di una indomabile volontà potesse essere interiormente
così calmo. Egli rispondeva alla definizione
Vedica dell’uomo di Dio: ‘Più delicato di un fiore
nell’esprimere la gentilezza, più forte del tuono nel
difendere i princìpi'”.
“Pensavo spesso che il mio augusto Maestro sarebbe
facilmente potuto essere un imperatore o un mitico
guerriero, se la fama o gli interessi terreni fossero
stati il suo obiettivo. Invece egli aveva scelto di prendere
d’assalto la cittadella interiore dell’ira e dell’egotismo,
il cui crollo significa l’ascesa dell’uomo”.
Nel 1920 lo Swami Sri Yukteswar inviò Paramahansa
Yogananda in America per compiere la
missione di cui molti anni prima gli aveva parlato il
Mahavatar Babaji: far conoscere ai ricercatori della
Verità di tutto il mondo la scienza liberatrice del
Kriya Yoga. A questo scopo Sri Yogananda ha fondato
la Self-Realization Fellowship, un’associazione
internazionale con sede a Los Angeles. Nel corso dei
successivi trent’anni passati in Occidente, Yoganandaji
ha tenuto nelle più importanti città americane
numerosi cicli di conferenze, seguiti da migliaia di
persone; ha scritto vari libri, nonché un’esauriente
serie di lezioni sullo Yoga per lo studio individuale, e
ha istruito personalmente alcuni discepoli, appartenenti
all’Ordine monastico della Self-Realization Fellowship,
affinché perpetuassero l’opera spirituale e
umanitaria che il Mahavatar Babaji e lo Swami Sri
Yukteswar gli avevano affidato.
Sri Yukteswar scrisse in varie occasioni al suo discepolo
Yogananda per ringraziarlo della fedele dedizione
e dei risultati che aveva ottenuto in America.
I brani seguenti, tratti da due lettere scritte verso la
metà degli anni Venti, esprimono in modo commovente
l’amicizia divina e l’affetto che esisteva fra queste due grandi anime.
Yogananda, figlio del mio cuore!
Guardando le fotografie dei tuoi studenti di Yoga
provenienti da diverse città provo un’intensa
gioia. Non posso trattenermi dal ringraziarti dal
profondo del cuore per i metodi che stai usando: le
affermazioni, le vibrazioni risananti e le divine preghiere
di guarigione.
Sono così felice nel vedere la foto di Mount Washington,
(l’edificio principale della Casa Madre della Self-Realization
Fellowship che Paramahansa Yogananda aveva acquistato
pochi mesi prima sulla collina di Mount Washington,
Los Angeles) che non riesco a trovare le parole per
esprimere la gioia che provo. La mia anima vorrebbe
volare laggiù per vederlo. Hai lavorato tanto per
poter essere lo strumento di Dio e creare tutto questo.
Vai avanti secondo i tuoi desideri. Fra noi non
potranno mai esserci divergenze di opinioni…
Quando ritornerò a Serampore forse cercherò di
richiedere un passaporto per fare il giro del mondo;
ma, date le mie condizioni, non credo che sia possibile.
Vorrei poter abbandonare il corpo in America,
proprio dove sei tu, e questo pensiero mi rende molto felice.
Per quanto riguarda Puri, scegli qualcuno che
possa prendersene cura. Per grazia del Guru io sono
in buona salute, ma sto lentamente lasciando l’amministrazione
dei vari centri. Non posso più seguire
il lavoro nei minimi dettagli. Questi sono i miei ultimi
sforzi… Ti attendo ansiosamente.
…
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