La societa’ della produttivita’: siamo schiavi della performance?

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La societa’ della produttivita’: siamo schiavi della performance?

Essere produttivi, performanti e ambiziosi può farci ammalare. Scoprite come vivere nella società
della produttività che tanto ci influenza.

Quante volte vi è sembrato di non aver avuto un attimo di riposo alla fine di una giornata? La
giornata finisce e, nonostante siate stati in continuo movimento, sentite che non è bastato, che non
siete riusciti a far tutto. L’auto-domanda è sempre presente nella mente. Pensate di dover essere
migliore, di dovervi sforzare di più, che non vi siete impegnati abbastanza. Vi è successo? Questo
perché viviamo immersi nella società delloa produttività.

È un concetto proposto da Byung-Chul Han, filosofo sudcoreano esperto di studi culturali. Essendo
una delle figure di spicco della filosofia contemporanea, espone e critica come oggi siamo schiavi
del nostro ego e vittime dell’autosfruttamento. Nella sua opera The burnout Society affronta i
fattori culturali che danno origine a questo male così tipico della nostra epoca. E oggi vogliamo
parlarvene.

Attualmente, l’auto-domanda ci impedisce di divertirci perché siamo più concentrati sulla produzione
che sul riposo.

Cos’è la società della produttività?

Questo è il termine usato per descrivere il modo in cui viviamo nelle società moderne. In un momento
in cui non ci sono più pressioni esterne che ci rendono schiavi e siamo apparentemente liberi di
raggiungere l’autorealizzazione.

Non siamo più oppressi da forze esterne a noi, non siamo limitati o sfruttati sul lavoro. Abbiamo
sperimentato grandi progressi scientifici e tecnici e abbiamo acquisito diritti. Eppure, quella
presunta libertà è solo un’illusione, perché ora siamo noi stessi a prefissarci standard
irraggiungibili che ci fanno sentire frustrati e ci sfiniscono.

Non è una situazione particolare, ma un fenomeno collettivo. In modo sottile e appena percettibile,
la società, i media, le aziende, il modo in cui si costruiscono l’ambiente e la cultura ci portano a
pretendere sempre di più da noi stessi, a rinunciare, a progredire e a rincorrere instancabilmente
quell’ideale che, sebbene autoimposto, soffoca e impoverisce le nostre risorse.

Per capire meglio come funziona questa società della performance, possiamo guardare a diversi
fattori e dinamiche che la alimentano:

Positivismo tossico

Negli ultimi tempi va di moda la positività, e non sempre è ben compresa. Certo, un atteggiamento
ottimista è un punto di forza che favorisce la salute e il benessere, ma non possiamo commettere
l’errore di diventare vittime di questo concetto.

Insistiamo sul fatto che tutto è possibile, che tutto è nelle nostre mani, che siamo capaci (e
dovremmo) stare sempre bene e raggiungere i nostri obiettivi. E questo può essere estenuante.

Confronto con gli altri

Allo stesso modo, siamo in un confronto costante alimentato in gran parte dai social network.
Viviamo guardando gli altri invece di guardare i nostri progressi. E, in molte occasioni, quelle
vite che prendiamo a modello sono false o vengono mostrate solo in parte.

Così, mentre quegli altri sembrano essere la perfezione, la produttività e il successo che
pretendiamo tanto da noi stessi e che non otteniamo, ci sentiamo estremamente inferiori e frustrati.
Ci puniamo mentalmente per non essere all’altezza di quei risultati.

L’apparente libertà

La base di tutto quanto sopra è l’idea di fondo che siamo liberi e che sta a noi cercare la
realizzazione personale. Ci hanno detto che possiamo essere tutto ciò che vogliamo, che non c’è
niente oltre la nostra portata. E, per lo stesso motivo, ci fissiamo standard irrealistici e ci
spingiamo fino all’esaurimento per soddisfarli.

Se non vengono soddisfatti, e dal momento che apparentemente siamo gli unici coinvolti e
responsabili del nostro benessere, ci sentiamo totalmente falliti. Ebbene, a quanto pare possiamo
esercitare una totale autonomia, non c’è nessuno dall’esterno a farci pressioni, ma siamo diventati
i nostri giudici e capisquadra più severi, puniamo noi stessi con rimproveri e autolesionismo.

Produttività come sinonimo di valore personale

Questa società della performance è anche alimentata e sostenuta dalla convinzione che “fare di più”
sia sempre meglio. La maggior parte di noi tiene i nostri programmi pieni di attività e ogni secondo
della giornata è dedicato a lavorare per raggiungere un obiettivo, sia esso lavorativo o personale.

Il riposo, il silenzio, la noia e la riflessione non hanno posto nella nostra routine e ci sentiamo
persino in colpa per tenerci inattivi. In qualche modo sentiamo che essere produttivi è ciò che ci
rende preziosi e quindi non possiamo fermarci.

Il consumismo nella società della produttività

Infine, il consumismo ci viene presentato come la via di fuga da quella routine estenuante e come il
premio per la nostra produttività. Ma genera un circolo vizioso che non ci permette di andare
avanti, poiché tutto ciò che viene generato viene sprecato e ci ritroviamo al punto di partenza:
dover rinunciare, lavorare e produrre di più per poter sostenere questo stile di vita malsano.

Il consumismo è stato installato come via di fuga, ma allo stesso tempo è una trappola che ci lega
alle dinamiche della produttività.

Il riposo per uscire dalla società della produttività

Anche se abbiamo normalizzato questo stile di vita, la verità è che è molto dannoso per noi. Lo
stress costante, il nervosismo e l’iperattività ci esauriscono, generano ansia e depressione e ci
portano a uno stato di esaurimento e mancanza di motivazione.

La nostra salute si deteriora, il nostro umore peggiora e anche le relazioni ne risentono. Ed è che
siamo così concentrati su noi stessi, sul fare, sul progredire, sulla competizione, che finiamo per
soffrire di isolamento.

Come affrontare la società della produttività?

Cosa possiamo fare al riguardo? Bene, la chiave può essere trovata nell’iniziare a valutare e dare
priorità al riposo e distaccarci da quegli standard di prestazione autoimposti. Per fare ciò,
possiamo apportare piccole modifiche, come:

Permettere a noi stessi di sentire l’ampia gamma esistente di emozioni umane, senza rifiutare o
negare quelle che ci mettono a disagio. Smettetela di ricorrere al “fare per non sentire”.

Riducete l’auto-domanda e stabilite obiettivi e standard realistici per voi stessi, quelli che non
vi soffocano.

Confrontate voi stessi con le vostre versioni passate e osservate i progressi individuali invece di
confrontarvi con gli altri.

Rallentate e imparate a vivere nel presente, godendovi con calma ogni attività e ogni persona.
Praticate la mindfulness come stile di vita.

Inoltre…

Date priorità al silenzio e al riposo nella routine quotidiana. Smettete di percepire questi spazi
come qualcosa di negativo e, al contrario, imparate a capire che la noia e la riflessione sono
necessarie affinché la creatività e il benessere possano fiorire.

Imparate a godervi il processo e non il risultato. Ciò significa essere flessibili e gentili con voi
stessi, accettare le battute d’arresto e la frustrazione come parte naturale del viaggio e non
punirle o lasciarsi scoraggiare da esse.

Insomma, la società della produttività che ci è stata imposta ci esaurisce fisicamente, mentalmente
e spiritualmente, ed è importante prenderne coscienza e distaccarsi da questo ritmo frenetico.

Non siamo preziosi per ciò che produciamo o per quanto rendiamo, e abbiamo il diritto di riposare,
divertirci e connetterci con gli altri. La vita non dovrebbe essere una corsa incessante verso il
successo, ma un piacevole percorso da percorrere al proprio ritmo.

Bibliografia

Han, B. C. (2015). The burnout society. Stanford University Press.

Quintero Camarena, G. (2017). De la sociedad de los locos a la sociedad de los cansados. Culturales,
1(2), 321-328. www.scielo.org.mx/pdf/cultural/v5n2/2448-539X-cultural-5-02-00321.pdf

bit.ly/3DIAE3y

da lista mentem gg

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