La Sofferenza: quando è necessaria e quando non lo è?

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La Sofferenza: quando è necessaria e quando non lo è?

Scritto da Matsyavatara dasa il 18 Agosto 2012. Pubblicato in Riflessioni

Qualche giorno fa, di ritorno da Villa Vrindavana, ho risposto in auto ad una richiesta di
approfondimento che una delle care persone che viaggiava con me mi ha fatto relativamente alla
sofferenza e al libero arbitrio.
Le riflessioni che ho offerto in risposta, forse per il poco tempo a disposizione, non mi hanno però
lasciato completamente soddisfatto; pur essendo tecnicamente corrette e conforme agli Shastra,
sentivo che erano carenti di qualcosa di ulteriore e di importante.
Ieri sera mi sono addormentato con questo pensiero e stamani, dopo il canto del Mahamantra, mi si è
manifestato in maniera lucidissima quel che mancava. E’ per me l’ennesima conferma della potenza
della meditazione sui Nomi divini, che permette visioni ed intuizioni altrimenti inaccessibili.

Torniamo dunque alla questione della sofferenza e del libero arbitrio. Provo adesso sinteticamente a
spiegarvi quell’anello mancante nella mia risposta che penso sia rilevante. Lo potremmo definire:
l’insegnamento della sofferenza innecessaria.
Ieri mi ha scritto affranta una cara persona comunicandomi che è andato in rovina il suo non primo
matrimonio.
Quando alcuni anni fa mi aveva scritto preannunciando che si sarebbe sposata, avevo cercato di
metterla in guardia, tentando di farle capire che i disastri matrimoniali di cui era stata
protagonista, non sarebbero terminati se ancora non aveva compreso appieno gli errori che aveva
compiuto in prima persona e quelli fatti dalla sua controparte.
Ripensando adesso al nostro quesito, potremmo chiederci:
quanto ciò è dipeso dal proprio libero arbitrio o è stata volontà della divina provvidenza?
E la sofferenza che si è prodotta poteva essere evitata?
Se pensiamo che esista una sofferenza innecessaria, per rigor di logica dovremmo prevedere anche
l’esistenza di un’altra categoria di sofferenza, ovvero quella che potremmo invece definire
necessaria.

A cosa dovrebbe servire la sofferenza per essere valutata come necessaria?

Dovrebbe servire a farci capire quello che la nostra ragione continua a distorcere. La sofferenza ha
infatti la funzione primaria di aiutarci a correggere le nostre errate modalità di valutazione. Tali
errori o distorsioni non sempre sono visibili, e perché mai?
Perché ormai sono così radicati e strutturati in profondità da essere considerati normali e
purtroppo anche comuni ai più. Come diceva Platone: spesso l’illusione s’impone sulla realtà.
La sofferenza è necessaria quando ci è indispensabile per capire l’inconsistenza, l’inopportunità,
l’errore insito nel nostro desiderare – e di conseguenza operare – in una data maniera.
Dunque la sofferenza ci è utile per capire le falle nelle nostre valutazioni e nell’esercizio del
nostro libero arbitrio.

Quali sono invece i casi in cui si produce una sofferenza innecessaria?

Quando pur sapendo che non ci sono le condizioni idonee (sattviche) per fare qualcosa, noi decidiamo
comunque di farla. Quella sofferenza non è necessaria perché noi già avevamo capito che quella cosa
non si doveva fare, che quella persona o compagnia non erano adatte a noi, che quell’attaccamento
era morboso e costituiva un ostacolo alla nostra evoluzione e al nostro benessere spirituale.
La sofferenza innecessaria si produce in tutti quei casi in cui consapevolmente veniamo meno al
nostro interesse e ci pieghiamo ai capricci della mente, quando soccombiamo a pulsioni sensoriali,
mentali e intellettuali e omettiamo di seguire gli insegnamenti che pur conosciamo degli Shastra,
del Guru o delle persone sagge che abbiamo preso come punto di riferimento.

Ma qual è il ruolo di Dio e della Provvidenza in tutto ciò?

Dio ci ama e dà ad ognuno l’opportunità di capire, di evolvere, ma non diventa il padre padrone o il
tutore della nostra vita; ci mette a disposizione tutto quello che ci serve per avvicinarci a Lui,
ma ci lascia liberi di agire, e anche di sbagliare, perché l’Amore non può sussistere senza la
libertà. Se così non facesse, nessuno avrebbe meriti nel compiere passi evolutivi, nessuno potrebbe
dimostrare invero di amare, nessuno potrebbe provare quell’alta soddisfazione che viene dal buon
utilizzo delle proprie risorse, dall’applicazione consapevole del principio discernente, tattva
viveka.

Matsyavatara dasa (Marco Ferrini)

matsyavatara.com

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