La spiritualità dell’istante

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La spiritualità dell’istante

Il soffio dell’eternità nel fluire del tempo. La spiritualità dell’istante

(di Rodolfo Signifredi)

È la filosofia dell’istante. La teologia dell’immediatezza. Tutte le
religioni hanno un rapporto con il tempo, ma solo la vita interiore di
ognuno ha un rapporto con l’istante.

Lo sostiene un esperto di immediatezza come Robert Faure che insegna ad
eseguire di getto, senza ripensamenti, l’arte della calligrafia cinese e
della pittura giapponese sumi-e. L’apprendimento del gesto senza paura,
senza correzioni, presuppone un equilibrio interiore, un gusto della
ricchezza dell’unico istante in cui il segno riceve la potenza di uno
slancio creatore.

Robert Faure ha raccolto le sue impressioni “estemporanee” in un piccolo
trattato sulla “Spiritualità dell’istante”. Edito da Le Fennec, questo libro
francese è ricco di metafore vive che riaffermano le forze del cuore,
dell’intelligenza
e dell’anima per stimolare l’uomo nella sua avventura interiore.

Ma non è necessario imparare a scrivere o dipingere come un samurai per
conoscere il valore dell’istante. È possibile farne l’esperienza in ogni
campo. E Robert Faure, che è anche formatore di manager e quindi conoscitore
del tempo esteso, quello che si valuta in termini di denaro, suggerisce
varie angolazioni da cui osservare questo momento magico che è l’istante.

C’è il tempo che si misura e il tempo che si vive. E l’istante ci insegna a
restare sospesi tra i due versanti. All’incrocio tra le cose permanenti e
quelle che svaniscono. L’istante è il luogo sacro della trasformazione. Una
fiammata di eterno, una grazia inattesa, un fermo di immagine nello scorrere
della vita. Ecco l’istante, una breccia attraverso la quale filtra una
particella di eternità, un subitaneo sentimento di immenso. E l’immensità,
nella sua immediatezza, è il nutrimento dell’anima.

Ma cosa sappiamo noi dell’istante, se non che passa in questo preciso
momento, che l’avvenire è un passato in preparazione e che domani sarà ieri
già dopodomani? Sembra un gioco di parole o un indovinello. Invece è la base
di partenza per un viaggio nel tempo interiore, alla cerniera del divino e
dell’umano. Un viaggio che intraprendiamo, seguendo la pista tracciata da
Robert Faure. E che riassumiamo qui in un libero intreccio dei suoi pensieri
con le nostre emozioni.

DAL MOMENTO ALL’ISTANTE: L’ATTESA

L’istante non è il momento. Il momento ha una sua durata mentre l’istante è
atemporale. Il momento presente è lo scenario in cui, come un lampo, irrompe
l’istante. L’esperienza dell’istante è più rara di quella del momento e ci
fa accedere ad una potenza, una forza, una energia. Ogni volta è unico e
apre a un tempo rinnovato che contiene la genesi e il futuro dell’uomo.

Tutto è scritto nel tempo: il passato, l’avvenire e l’estasi fuggitiva. Ma
il presente è ciò che vive la coscienza quando è cosciente di se stessa. È
il lago calmo che riflette la luna, come rivela il saggio in meditazione. E
quando l’emozione si mescola al presente lo deforma come una immagine
riflessa su acque agitate. Se però l’emozione si incastona nell’istante lo
trasforma in un gioiello.

L’attesa è una componente dell’istante. È la tigre in agguato o l’ascolto in
preghiera. Attraversare l’istante è percorrere questo tempo che è l’attesa.
Come una lenta gestazione l’attesa è il tempo della memoria. Memoria delle
nostre cellule, delle nostre paure, dei nostri desideri millenari che,
d’improvviso,
arrivano alla superficie, in un istante della nostra coscienza.

Vicina allo stato della Creazione, l’attesa contiene questo fragile
equilibrio tra l’atto precedente e quello ancora da schiudersi. Tutto è
presente. Ogni atomo, ogni individualità ha in germe una perfezione e una
radicale incompiutezza.

Attendere è percepire le migliaia di anni che oggi scorrono nelle nostre
vene e ci rendono “figli dell’istante” Creare è vivere la propria attesa,
entrare in contatto con l’origine delle cose. Tra il fare e l’essere c’è un
invisibile va e vieni. L’attesa riuscita unisce la punta della freccia al
centro del bersaglio.

Siamo sempre legati all’istante della nostra creazione. Abbiamo nostalgia di
quell’età dell’oro vissuta nel grembo materno, una cosa sola con la madre.
Poi, in un istante, arriva la separazione, e la lotta comincia. Una lotta
tra lo spirito e il soffio, tra l’ordine e il caos, tra l’occhio del bimbo e
quello del mondo. Prima della separazione siamo l’insetto, il mare, il
vento, la dolcezza. Dopo si comincia a lottare. Per rifare il mondo a nostra
immagine. O per imparare ad accoglierlo.

IL PRESENTE E L’ISTANTE

Anche il presente non è l’istante. E non è lo spazio ristretto tra passato e
avvenire. Il presente è l’immenso territorio del tempo. Tutto è eternamente
presente, come affermano i profeti e i poeti. Ma il presente non è
l’istante.
Il presente noi lo perdiamo tra delusioni e speranze, tra rimpianti e
slanci, colpe e desideri.

L’uomo evolve tra due istanti della vita. A volte cerca un piacere veloce
nelle situazioni inquiete. È l’uomo del tempo che fugge e si crea due sole
alternative: vive in rapporto al passato e alle referenze del mondo o si
proietta nell’avvenire da conquistare e promuovere. Ma durante questo tempo,
a sua insaputa, il presente scorre nelle vene, la speranza attende le scelte
e la gioia freme per poter esistere.

L’uomo dell’Istante, invece, occupa una situazione mediana di pacificazione,
di libertà gratuita. Come un respiro appena trattenuto prima di riprendere
il soffio della vita quotidiana. Si ferma nel corso dello slancio e respira
il tempo gratuito. L’uomo dell’istante si sente fatto per una felicità senza
clamori, per una leggerezza mai delusa, una gratuità senza obblighi.

Solo l’istante del dono e del desiderio ci mantiene svegli attraverso una
vita che in tanti si danno da fare per rendere soporifera. Il quotidiano,
per alcuni, è pesante e il solo modo di viverlo è fuggirlo, nel sogno o
nella realtà. Fuggire la fatica, la rivolta, la ripetizione. Altri
preferiscono affrontare se stessi, animati dallo spirito di combattimento.

Ma il combattimento quotidiano passa dall’apprendistato della pazienza, dal
faccia a faccia con le paure che ci lasciano nudi, ma non senza difese e
speranze. Alcuni, al di là del tumulto delle folle, ascoltano la loro anima
respirare.

Siamo dei nomadi dello spirito, dei viaggiatori da una realtà all’altra.
Siamo fatti per l’inatteso. La perdita del gusto dell’avventura è il primo
sintomo del male di vivere. Ma alcuni esseri hanno gettato dei ponti tra i
nostri desideri di vita e le nostre delusioni. Niente è separato. Al di là
della sua solitudine, l’uomo torna sempre a far parte della grande carovana
umana quando non sa più leggere le stelle. Ogni società resa fragile ritorna
alla potenza della sua origine.

UN FRAMMENTO DI ETERNITA’

L’istante è come un frammento d’eternità caduto nello spessore del nostro
inconscio, una briciola di paradiso. È qui che, ogni notte, l’anima torna
come un uccello per sorvolare il tempo superando i nostri limiti mentre il
corpo si abbandona alla pesantezza del sonno.

All’inizio era il caos. E ci siamo ancora. Ogni momento della nostra vita è
un tempo di caos nel quale tentiamo di portare un poco di ordine. Niente è
stabile. E tuttavia “lo spirito di Dio plana sulle acque”. O “danza”. È il
luogo della trasformazione. È l’istante dell’uomo. Simultaneamente abitiamo
il caos e, al tempo stesso, evolviamo nello spazio, al di sopra del caos.
Nell’istante di ogni inizio.

L’istante è il superamento avvenuto. Non è una evasione, una uscita di
emergenza del tempo, un rifugio per chi non vuole combattere. È nel cuore
dell’uomo, eternamente presente nel profondo dell’anima. È il fuoco del
rischio nell’audacia e nel ritorno all’innocenza. L’istante non conosce
rimpianti. E mette in relazione tutti gli estremi e tutti gli imprevisti.

L’istante non si impone mai. Questa esperienza dell’immediato è una forza e
una delicatezza insieme. Ecco perché l’esperienza dell’istante è così rara.
La condizione umana è troppo abituata ai due estremi della dualità: la forza
o la precarietà. Mentre l’istante riunisce i due aspetti in una tenera
immediatezza. Tiene insieme la gioia della presenza e il timore della
rottura.

Nell’istante, niente è separato da niente. Siamo condotti con forza verso la
non-dualità, dove le cose opposte si incontrano e coesistono. Nell’istante
gli opposti si riassorbono. Particella di eternità, contiene la successione
degli avvenimenti, attraversa le emozioni senza lasciare traccia, tocca e
feconda l’effimero.

Ciò che chiamiamo la realtà quotidiana non è altro che un rivestimento. La
vera battaglia è la pazienza risvegliata. È essa che riceve i preziosi
istanti di grazia.

L’avventura interiore è fare un passo solo in uno spazio dove nessuno è
sicuro di sé. È più facile interrogarsi che scoprirsi. L’uomo scopre i suoi
passi camminando. E l’energia del primo passo lo unisce alla sorgente.

L’avventura interiore è una questione vitale. È forse attraversare il
quotidiano senza cercare di abbandonarlo. È anche accettare di prendere
radici dove si è, senza soffocare il gusto del lontano e dell’innocenza
nella propria anima. In questa marcia l’uomo invecchia, ma non si logora.
Chi è salito sulla cima di un monte non ha vinto la montagna. Ma ha fatto
l’esperienza
indicibile della leggerezza.

LA PAZIENZA DELL’ESSERE

L’istante è il cammino iniziatico della coscienza: rapido, concreto,
immenso. È l’unità di misura della coscienza lucida. La coscienza nuova di
ogni giorno. Se l’intelligenza attraversa il sapere, la coscienza percorre
la conoscenza. L’istante si esprime nella bellezza, nella meraviglia e nella
nuda semplicità.

Giorno dopo giorno l’uomo è nelle sue tre dimensioni: avere, agire, essere.
La ricerca dell’avere prolunga l’istinto di proprietà. La spinta ad agire ci
rende divoratori dell’istante. Il desiderio di essere segna una pausa di
silenzio. Così si entra nell’intelligenza dell’istante.

Attraversare l’istante è morire all’esitazione e al dubbio, offrire un senso
ai segni. I rumori delle cose non sono le cose. I segni ci fanno intuire le
cose prima di comprenderle. Ogni avvenimento può essere un segno. E cessa di
essere banale quando è rivestito di presente. Ma percepire le cose come
segno non è dato in partenza. Questa qualità dello sguardo viene da una
visione altamente umana di cose non umane. L’istante abita
contemporaneamente tutti i livelli dell’uomo.

Noi pensiamo ancora secondo lo spazio, ma dovremmo pensare secondo il tempo.
La visione del tempo risale la corrente delle cose, va alla sorgente.
L’intelligenza
del cuore è secondo il tempo. E la visione del mondo secondo il tempo è
tessuta di immensità, libera da urgenze, profonda come l’anima.

Affrettiamoci ad inventare il silenzio. Alcuni vedono già, secondo il tempo,
ciò che gli altri ancora non comprendono. Quando ci inquietiamo nel nostro
quotidiano perdiamo il richiamo dell’istante. Tutto avviene come se
dovessimo imparare per prima cosa la lenta pazienza dei secoli. Pazienza
inaccessibile ad un cuore sempre inquieto, preoccupato del proprio
ben-avere.

La pazienza, modellata dall’attesa senza limiti, la cui unità si conta in
milioni di anni, è la prima lezione delle cose. L’oggi non si comprende che
con la forza dei secoli. E l’istante non si dona che avvicinando la genesi
del tempo.

I poeti e i profeti sono quella razza di uomini che hanno girato a lungo
intorno all’origine delle cose. E quelli che ancora oggi ci trasmettono una
conoscenza vera, ci invitano a riconsiderare la distanza dei secoli per
sapere che siamo “figli dell’istante” come ci insegna la tradizione
mussulmana ma “concepiti dall’eternità” come ci ricorda il messaggio
evangelico.

I PROFETI DI DOMANI

“Niente manca dove c’é totalità”, dice Bernardo di Chiaravalle. Alcuni
uomini hanno lasciato entrare delle particelle di eternità in un momento
della storia. Alla cerniera del tempo e dell’eternità, alcuni profeti
dell’assoluto
hanno lasciato traccia.

Nella fragilità delle cose impermanenti, malgrado la riuscita apparente
della morte e dell’usura del corpo, essi hanno vissuto in questo luogo del
tempo dove non manca nulla, dove la paura non esiste più, dove Dio continua
segretamente a farsi uomo.

Perché certi uomini fanno irruzione nell’effimera fragilità del mondo e vi
lasciano traccia? Essi hanno offerto qualche istante della loro vita alla
ricerca del luogo autentico. Questo luogo dell’anima è alla congiunzione
della coscienza di Dio e della storia dell’uomo.

Dopo secoli dal loro passaggio, questi uomini ci sollevano fuori dalla
prigione delle nostre paure. Essi non sono usciti dalla storia perché non
sono usciti dalla nostra silenziosa e tenace ricerca d’amore e di verità. I
profeti nascono in un’epoca di paradossi. Un’epoca che ricerca i valori
fondamentali.

Oggi la nostra chiassosa modernità cerca i suoi profeti. Aspetta una
ispirazione, una audacia, un soffio che la renda capace di accogliere una
briciola di totalità. Ogni parola “secondo l’istante” è una parola
profetica. E ogni parola profetica rompe i pregiudizi, scuote i torpori,
sveglia le coscienze in sonno.

L’istante di chiaroveggenza, di visione anticipata delle cose, non è un
avvenimento raro o eccezionale. Ognuno possiede il lampo dell’istante. Come
la scintilla capace di accendere un fuoco, l’istante di chiaroveggenza è
altrettanto rapido, fugace e inafferrabile. Questo istante di grazia
profetica, che viene comunemente chiamato “intuizione”, arriva solo a chi ha
lungamente accettato tutte le dimensioni del tempo. Chi, poco a poco,
incarna il tempo contenuto in lui, attira l’istante.

Più l’uomo è umano, più accede a questa scorciatoia di eternità. L’essere di
domani, alla ricerca profonda di se stesso, riconcilierà la sua storia
personale con l’amorevole riconoscenza delle leggi fondamentali della
natura. E lo scienziato poserà su questa creazione il suo sguardo rigoroso e
obbiettivo insieme all’interrogazione delle più antiche saggezze.

Il momento è giunto in cui, di fronte alle miserie della vita, non ci si può
accontentare di una corta visione delle cose. Chi offrirà il suo entusiasmo
ad una sola convinzione, una sola fede, un solo metodo di avvicinamento
della realtà resterà addormentato nell’inverno del mondo. Senza capire il
tempo che prepara all’istante, né l’istante che apre al futuro. Il profeta
penetra l’anima di questo mondo e quella del mondo che verrà. Egli sa e si
guarda bene dal trarne profitto.

L’istante fa sobbalzare la nostra attenzione mostrandoci in quale presente
noi “mettiamo i piedi” e verso quale futuro rischiamo di finire. Più lontano
dell’apparente monotonia del nostro respiro, al di là della ripetizione dei
nostri gesti quotidiani, l’istante resta la nostra vocazione.

Mentre i secondi del nostro tempo si accumulano come uno spesso tappeto di
foglie morte, l’istante è sempre pronto a germogliare. Se l’età è il tempo
che si accumula, l’istante è il luogo eternamente nuovo che sorprende e
rianima, spoglia e risuscita. Bisognerebbe avere l’audacia di dire che ogni
istante di scoraggiamento è un vuoto in attesa di gioia. L’inverno di ogni
desiderio è una pazienza di pienezza.

Messo da parte ogni compiacimento, l’uomo si fortifica esponendosi, si
arricchisce nell’alleanza con i propri passi, si afferma con il tocco della
felice precarietà delle cose. Ad ogni istante lo spogliamento invernale non
è più un vuoto assoluto.

L’UOMO PLANETARIO

Un’era di mutazioni è il risultato di un tempo collettivo preparato a lungo.
Se l’essere umano si lascia ridurre al tempo collettivo viene portato dalle
mode, dalle potenze, dai sussulti dell’insieme, ma non dalla sua coscienza
individuale. L’impostura è il tempo forzato, imposto all’uomo. Non esiste
l’istante
collettivo.

L’istante è, sulla trama del tempo, un dono personale, il contatto diretto,
senza l’intermediazione delle masse umane. È l’inatteso, l’incanto nella
miseria, la gioia nelle bidonville, la speranza del morente e lo sguardo
amoroso di chi si sente amato.

In qualche modo noi stiamo vivendo una fine. Con tanta nostalgia e tanto
entusiasmo. È finito un secolo e inizia un nuovo codice genetico della
società. La nostra epoca ci parla. Per ora sussurra ma domani griderà. A
voce bassa ci parla di una memoria, la nostra, che contiene l’origine e la
fine di ogni cosa.

La nostra epoca ci dice che la nostra paura e il nostro incanto camminano
insieme e che la diversità del mondo è una forza. Essa ci ricorda che
l’energia
del tifone è uguale a quella del grano di frumento, ma il disordine fa
sempre più rumore della crescita.

Un’era di mutazione ha sempre l’apparenza del disordine. E dove c’è
disordine c’è rischio. Ma è solamente quando c’è rischio che l’uomo si
sveglia alla sua vocazione di essere umano.

L’istante è l’assenza di distanza. Non ci sono spazi lontani per l’istante.
C’è solo il qui. Per giungere alla nostra coscienza si è creato un cammino
attraverso tutte le nostre contraddizioni, le nostre domande, le nostre
inquietudini. È per natura senza frontiere, senza abitudini e senza giudizi.
È la parola dello Spirito, l’armonia nella forma, il silenzio nel rumore.
L’istante
non si prenota, non si contratta, non si acquista. Sorge, come la grazia.
Quella che non conosce nessun ostacolo.

L’uomo planetario non ha più rifugi in questo nuovo tempo. Cosciente
dell’effimero
e dell’umore mutevole della gente, cerca di vivere il suo tempo più che
costruire imperi e sicurezze. Ciascuno è l’essere di domani, ricco di
ricordi ma non appesantito dal passato. Dal big bang al nuovo giorno,
l’avventura
dell’uomo è la stessa del cosmo.

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