La spiritualità e l’alcoolismo – di Virginia Salles

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La spiritualità e l’alcoolismo

di Virginia Salles

L’io e l’infinito

Un’antica leggenda indù racconta di quando tutti gli uomini erano dei.
Questi, però, abusarono tanto della loro divinità che Brahma decise di
privarli del potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse
impossibile trovarlo.

Fu così che il Signore degli dei, riunitosi a consiglio con le divinità
minori, disse:

”Ecco ciò che faremo della divinità dell’uomo: la nasconderemo nel suo Io
più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà in mente
di cercarla”.

A partire da quel tempo, conclude la leggenda,

-“l’uomo ha fatto il periplo della terra, ha scavato, esplorato, scalato
montagne e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che si trova
dentro di lui”.

I grandi sistemi spirituali sostengono che tale stato di “amnesia cosmica”
abbia inizio prima ancora della nascita. La separazione dalla nostra natura
divina, dal nostro “Sé profondo” secondo queste antiche tradizioni è la
nostra ferita esistenziale, il nostro “peccato originale”, che va lentamente
trasformandosi in un dolore senza nome, una sete insaziabile di infinito, un
anelito verso un’esperienza non ben definita di unità e di libertà.

Jung, in molti suoi scritti, descrive questo profondo desiderio che ci
travaglia e vede in questa sete di totalità l’elemento propulsivo del
processo di individuazione, la forza dinamica che tende a unire l’Io e l’
inconscio.

Durante gli stati non ordinari di coscienza, provocati con vari mezzi, tra i
quali la respirazione olotropica, alcune persone rivivono la propria
nascita, la lotta nel canale del parto, oppure lo stato intrauterino, che
viene descritto come “un’esperienza di beatitudine oceanica”, un momento di
benessere, libertà ed espansione.

Altri riescono persino a mettersi in connessione con ciò che viene chiamato
“memoria cellulare del concepimento” e descrivono una particolare, intensa
emozione: il profondo e diffuso dolore che si prova nel prendere forma
umana.

Il momento del concepimento viene vissuto come la perdita della libertà e
unità originari e il dolore di essere “incarnati”, intrappolati in un corpo
individuale e materiale.

Secondo quanto emerge da questi vissuti l’attraversamento del canale del
parto accresce sempre di più il senso di delimitazione e confinamento in una
dimensIone corporea. La nascita è quindi un passaggIo, un “portale” che
dalla dimensione spirituale (transpersonale) si apre sul mondo materiale
(personale).

Questa sete dell’anima per la totalità, di cui parla Jung; quest’immensa
nostalgia per qualcosa che non ha nome, descritta dalle varie tradizioni
spirituali, è un impulso a ri-conoscere la nostra vera identità.

La santa indiana Mirabai si esprime con queste parole:

“Il mio corpo soffre, il mio respiro brucia. Vieni (O Signore) ed estingui
il fuoco della separazione”.

Quest’impulso può assumere le più svariate forme: da un diffuso “mal di
vivere” e dalla perdita del senso della vita fino a una sua estrema
manifestazione: la dipendenza da alcol, droghe, cibo, relazioni, gioco d’
azzardo, brama di potere.

Spesso, chi sperimenta per la prima volta la sostanza, o l‘oggetto della
propria dipendenza, descrive quest’incontro come un “colpo di fulmine”, un
incontro con tutto ciò che avevano sempre cercato: “sono finalmente a casa“.
A volte questo primo momento viene vissuto come un‘esperienza pseudomistica,
un “barlume di assoluto”, un’espansione infinita fino all‘identificazione
con l‘intero universo.

Secondo quanto afferma William James nel suo libro ‘Le varietà
dell’esperienza religiosa’:

“La sobrietà sminuisce, discrimina e dice no, l‘ebbrezza espande, unisce e
dice sì”.

Christina Grof, nel suo libro ‘Guarire della dipendenza’, definisce
alcolisti e tossicomani “ricercatori spirituali” e analizza alcune tappe
della terapia “I dodici passi”, utilizzata dagli Alcolisti Anonimi nella
cura della dipendenza da alcol, percorso da lei stessa intrapreso.

Christina Grof traccia un parallelo tra le tappe principali della
“guarigione” e i momenti fondamentali dei percorsi spirituali, cosi come
sono descritti dalle diverse tradizioni. Queste sono alcune parole del suo
racconto autobiografico:

“In quei momenti ho intravisto i bagliori di uno stato di completezza in cui
ciascun filo della mia esperienza sembrava improvvisamente congiungersi agli
altri: tutto, allora, pareva andare a posto, ogni cosa acquistava
significato. Ho trovato ciò che cercavo anche nell’oblio delizioso
dell’alcol: i miei confini sparivano, la sofferenza svaniva e pensavo di
essere libera. Finche l’alcol mi si rivoltò contro”.

Il programma terapeutico dei ‘Dodici Passi’ utilizzato dagli Alcolisti
Anonimi riconosce, dietro la brama dell’alcol, questa aspirazione alla
trascendenza.

Il programma definisce “malattia dell’anima” l’esperienza di chi è afflitto
da qualche dipendenza e “bancarotta spirituale” quel momento in cui si tocca
il fondo del proprio comportamento distruttivo e autodistruttivo.

Nella sua famosa lettera inviata il 30 gennaio 1961 a William G. Wilson,
conosciuto come Bill Wilson, l’ideatore del “Programma dei Dodici Passi”,
Jung scriveva:

“In latino alcol si dice “spiritus”. La stessa parola, dunque, viene usata
per la più elevata esperienza religiosa e per il più corruttore dei veleni.
Una formula utile quindi è: ‘Spiritus contra spiritum’”.

La proposta di Jung, il percorso spirituale come antidoto alla devastazione
dell’alcol, può essere applicata anche ad altre forme di dipendenza: droghe,
relazioni, cibo, potere ecc.

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