La complessa elaborazione richiesta dal riconoscimento facciale è in realtà suddivisa tra l’emisfero
sinistro – deputato all’elaborazione dell’input fisico esterno, rappresentato su una scala continua
– e l’emisfero destro, a cui spetta decidere se si tratta o meno di un viso. È questa la conclusione
di uno studio che ha integrato tecniche di imaging cerebrale con una misurazione quantitativa degli
stimoli visivi (red)
La dicotomia tra emisfero destro ed emisfero sinistro del cervello che secondo la vulgata
sarebbero, rispettivamente, la sede del pensiero creativo e di quello analitico – ha colpito molto
l’immaginario collettivo, così come l’analisi delle microespressioni facciali e del riconoscimento
dei visi. Un nuovo studio di Ming Meng professore del Department of Psychological and Brain Sciences
del Dartmouth College e colleghi offre adesso un possibile trait d’union fra i due argomenti
gettando luce su alcuni aspetti dell’organizzazione del cervello, che hanno inoltre forti
implicazioni per disturbi quali l’autismo.
Nella visione tradizionale, l’elaborazione dell’informazione visiva avverrebbe secondo una sequenza
ordinata. Nei primi stadi, l’emisfero destro elaborerebbe le informazioni provenienti dall’emicampo
visivo sinistro e viceversa, mentre negli stadi successivi i due emisferi elaborerebbero l’intero
campo visivo in parallelo.
Ho sempre trovato poco efficiente una simile organizzazione, in cui entrambi gli emisferi devono
elaborare essenzialmente la stessa cosa: se fosse così, si tratterebbe di uno spreco di risorse,
osserva Meng. Lo studioso, basandosi su una nuova sperimentazione, propone invece un modello in cui
vi sarebbe una suddivisione dei compiti, con i due emisferi che si occupano di aspetti diversi.
Secondo quanto riportato sulla rivista “Proceedings of the Royal Society B”, Meng e colleghi hanno
utilizzato un inedito approccio, che integra l’imaging di risonanza magnetica funzionale (fMRI) con
metodiche di computer vision (lo studio dell’acquisizione ed elaborazione di immagini mediante il
computer) e con la psicofisica (che studia la relazione tra input definiti e misurabili e la
risposta del soggetto), per analizzare quali parti del cervello si attivino, e in quale ordine,
durante il riconoscimento dei volti.
Siamo riusciti a quantificare in modo sistematico il grado di ‘facciosità’ degli stimoli visivi:
questo è stato un passaggio importante, perché in caso contrario avremmo avuto una distinzione
ipersemplificata a due valori ‘viso-non viso’ che sarebbe stata poco significativa al fine
dell’individuazione delle aree cerebrali attivate durante la percezione, ha commentato Meng. I
nostri risultati mostrano come l’emisfero sinistro sia coinvolto nella graduale analisi degli
stimoli visivi, ovvero nell’elaborazione dell’input fisico esterno che viene rappresentato in una
scala continua mentre all’emisfero destro spetta la decisione se si tratta o meno di un viso.
Secondo gli autori, questa metodologia di studio tripartita mostra differenze che potrebbero servire
da modello per studiare i disturbi che coinvolgono deficit di elaborazione dei visi, come avviene
per esempio nell’autismo. I volti costituiscono infatti una sfida particolarmente ardua per i
bambini autistici, che tipicamente evitano il contatto visivo e distolgono lo sguardo dal viso di
un’altra persona. Una delle ipotesi è che i problemi di interazione sociale siano correlati a un
deficit nella percezione dei visi, ha concluso Meng.
rspb.royalsocietypublishing.org/content/early/2012/01/03/rspb.2011.1784.abstract?sid=758a5d75
-942f-4a29-8afd-2393a631a626
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