La storia di Dorothy di Radhanatha Swami

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La storia di Dorothy

di S.S. Radhanatha Swami

Attendevamo e attendevamo. Era un’afosa giornata estiva nella sottile lingua di terra della Florida.
Il sole del mattino abbagliava attraverso le ampie vetrate dell’imbarco aereoportuale. Qui, una
giovane donna bionda, che indossava una perfetta uniforme con un gilè blu su una camicia bianca ben
stirata abbinata a dei pantaloni blu, si presentò al banco, timidamente dette uno sguardo intorno,
poi annunciò un’ora di ritardo. I passeggeri sospirarono, contrariati per non poter fuggire da
quella calura e andare al nord. Con i cellulari appiccicati alle orecchie, continuavano a guardare
con insistenza l’orologio. Tra loro c’era una signora di mezza età. Si era acconciata con grazia i
capelli castano-rossicci. Il suo abito e il suo aspetto denotavano che era una signora benestante e
di buon gusto.

Improvvisamente, diventò rossa, gettò via la sua carta d’imbarco gridando: “No! Non puoi farmi
questo.” La sua indignazione fece sobbalzare tutto il gruppo. Tutti la fissavano mentre camminava
con passo pesante verso il banco e puntava il dito sulla faccia dell’impiegata gridando: “Ti
avverto, non farmi arrabbiare. Mettimi subito su quell’aereo!” La hostess della compagnia
indietreggiò. “Ma signora, non posso farci niente. Il sistema di aria condizionata dell’aereo è
guasto.” Le labbra della donna tremavano. I suoi occhi erano fiammeggianti. Strillò ancora più
forte: “Non discutere con me, stupidina. Non sai chi sono. Maledizione, fai qualcosa. Ora! Non ce la
faccio più.”
Continuò a inveire e a inveire. Dopo aver finito di protestare era furiosa e scrutò con attenzione
la sala d’attesa. I suoi occhi si posarono su di me, che me ne stavo seduto solo in un angolo della
stanza con il mio abito color zafferano da swami. Si diresse infuriata verso di me mentre tutti ci
guardavano. Ora, in piedi, quasi sovrastandomi, con la faccia stravolta dalla collera, gridò: “Sei
un monaco?” O Dio, pensai, perché proprio io. In realtà non ne avevo proprio bisogno. Dopo una
faticosa settimana di conferenze e di incontri, volevo solamente essere lasciato solo. “Rispondimi,”
insisté. “Sei un monaco?” “Qualcosa di simile,” sussurai.

Tutti nella stanza ci guardavano, senza dubbio felici che fosse toccato a me fare da parafulmine e
non a loro. “Allora voglio una risposta,” mi provocò. “Perché il mio volo è in ritardo? Perché Dio
mi fa questo?” “Per favore, signora,” dissi. “Si sieda e parliamone un po’.” Si sedette accanto a
me. “Il mio nome è Radhanatha Swami,” dissi. “Lei può chiamarmi Swami. Per favore mi dica che cosa
ha nel cuore?” Avevo fatto questa domanda migliaia di volte senza sapere che cosa aspettarmi. Ella
rispose che il suo nome era Dorothy, che era una casalinga di settantacinque anni e abitava sulla
Costa Orientale. Viveva felice con la sua famiglia finché… allora cominciò a piangere. Tirava fuori
dalla borsa un fazzolettino di carta dopo l’altro, si soffiava il naso e piangeva di più. “E’ stata
una tragedia,” disse.

“All’improvviso ho perso mio marito di trent’anni di matrimonio e i miei tre figli. Ora sono sola.
Non sopporto più questo dolore.” Afferrò i braccioli della sua poltrona. “Poi sono stata
imbrogliata. La banca ha fatto pignorare la mia casa e mi ha buttato sulla strada. Vede questa
borsa? È tutto quello che mi è rimasto.” Guardandola in faccia più da vicino, notai che sotto un
aspetto esteriore ben curato, la sua pelle era pallida, le sopracciglia tirate e le sue labbra
piegate all’ingiù per la tristezza. Dorothy continuò a raccontare che, come se tutta quella
tristezza non fosse stata abbastanza, recentemente le era stato diagnosticato un cancro terminale.
Aveva solo un mese di vita. In un disperato tentativo di salvarsi, aveva scoperto una clinica in
Messico che assicurava di poterla curare, ma doveva essere ricoverata quel giorno stesso. Se avesse
perso il volo di coincidenza a Washington D.C., la sua possibilità di sopravvivenza sarebbe finita.

Uno dei miei impegni è sovrintendere ai servizi spirituali in un ospedale in India. Avevo assistito
vittime di bombe dei terroristi, di terremoti, di tsunami, di stupri, di traumi, di malattie, di
povertà e di disgrazie di ogni genere, ma non ricordo un’angoscia umana più grande di quella scritta
sul volto di Dorothy. “E ora questo volo è in ritardo,” disse, “e la mia ultima possibilità di
vivere se ne va. Ho cercato di essere una buona moglie e una buona madre, vado in chiesa, dò in
carità e non ho mai fatto male a nessuno volontariamente. Ora però non c’è nessuno al mondo a cui
importi se vivo e se muoio. Perché Dio mi fa questo?”

Dallo Sconforto alla Simpatia

Pochi minuti prima il suo comportamento riprovevole mi aveva fatto rabbrividire. Com’è facile
giudicare le persone dalle apparenze esterne. Comprendendo quello che c’era sotto la superficie il
mio cuore si riempì di simpatia. Quando vide i miei occhi riempirsi di lacrime, la sua voce si
addolcì. “Mi sembra che te ne importi di me,” disse. Che cosa potevo fare? Mi sentivo troppo debole
per fare qualcosa. Con gli occhi chiusi, pregai di essere uno strumento per aiutarla. “Dorothy, mi
dispiace per te. Sei un’anima speciale.” “Speciale,” ansimò. “Sono stata gettata fuori come inutile
immondizia e sto per morire, ma ci credo che tu pensi che sono speciale e te ne ringrazio.” “Non
c’era niente che tu potessi fare per quello che è accaduto,” dissi, “ma puoi scegliere come reagire.
Quello che farai può influire sul futuro.”

“Che cosa intendi dire?” “Puoi lamentarti per come il mondo ti abbia ingannato crudelmente e
trascorrere i tuoi giorni maledicendo la vita, facendo sentire gli altri a disagio e avere una morte
insignificante. Oppure puoi approfondire quelle esperienze e crescere spiritualmente.” Ricordavo il
suo commento a proposito dell’andare in chiesa. “La Bibbia non dice ‘Cerca e troverai’ e anche
‘Bussa e ti sarà aperto’? Preferiresti morire nello sconforto o nella gratitudine? Questa è la tua
scelta.” La sua mano tremava e mi afferrò l’avambraccio. “Ho tanta paura, Swami. Ho tanta paura di
morire. Per favore dimmi che cosa è la morte.” Il suo volto aveva perso quasi completamente la sua
vitalità. Che cosa potevo fare? Mi sentivo impotente. Se solo avessi avuto il potere di guarirla
dalla sua malattia, ma non l’avevo.

Tuttavia, gli anni trascorsi nell’esercizio della bhakti mi avevano insegnato che tutti noi abbiamo
il potere di consolare il cuore di un’altra persona connettendoci all’amore che è dentro di noi. Mi
sentii come un chirurgo in una sala operatoria e in silenzio offrii una preghiera prima di
ricominciare a parlare. “Per comprendere la morte,” dissi, “dobbiamo prima comprendere la vita.
Rifletti su questa domanda: chi sei?” “Mi chiamo Dorothy, sono americana…” “Dorothy, quando eri una
bambina, prima che ti fosse dato un nome, non eri già una persona? Se oggi tu mi dovessi mostrare
una tua foto da bambina, diresti: ‘Sono io,’ ma il tuo corpo è cambiato. La tua mente, il tuo
intelletto e i tuoi desideri sono cambiati. Quando è stata l’ultima volta che hai desiderato il
latte di tua madre?

Tutto quello che ti riguarda è cambiato, eppure sei qui. Puoi cambiare il nome, la nazionalità, la
religione e con la tecnologia di oggi puoi cambiare perfino sesso. Allora quale parte di te non è
cambiata? Chi è il testimone di tutti questi cambiamenti? Quel testimone sei tu, il vero te.” “Non
sono sicura di capire quello che dici,” disse Dorothy. “Che cos’è il vero me?” “Tu sei la persona
cosciente, la forza vitale, l’anima dentro il corpo, che ha avuto le esperienze di questa vita. Vedi
con i tuoi occhi, gusti con la tua lingua, senti gli odori con il tuo naso, pensi con il tuo
cervello – ma chi sei, sei la persona che ha ricevuto tutte quelle impressioni? Quella è l’anima. Il
corpo è come una macchina e l’anima è l’autista. Non dovremmo trascurare i bisogni dell’anima.

Ci occupiamo con grande cura dei bisogni del corpo e della mente, ma se trascuriamo quelli
dell’anima resteremo esclusi dalla vera bellezza della vita umana.” “Continua,” disse Dorothy. “Gli
animali e altre specie non umane reagiscono alle situazioni seguendo il loro istinto. I leoni non
decidono di diventare vegetariani per motivi etici e le mucche non diventano carnivore.
Sostanzialmente gli esseri diversi dagli uomini sono portati a soddisfare i propri bisogni di
mangiare, di dormire, di fare sesso e di difendersi seguendo l’istinto della loro specie. A un
essere umano viene consegnato un dono prezioso, che può essere usato per creare i più grandi
benefici o i disastri peggiori. Quel dono è il libero arbitrio. “Ma con la benedizione del libero
arbitrio c’è un prezzo da pagare, che si chiama responsabilità. Possiamo scegliere di essere santi o
criminali o qualsiasi altra cosa e siamo responsabili delle conseguenze di quelle scelte.”

La Grazia per curare la Colpa

“Allora che cosa ne dovrei dedurre?” chiese Dorothy. “Se tutto quello che mi è accaduto è colpa mia,
è il mio karma, non vedo come posso evitare di annegare nella colpa.” Dorothy era affamata di
emozioni ed io sentivo che averla incontrata era una prova per la mia stessa realizzazione
spirituale. “Invece di annegarti nella colpa, hai una preziosa opportunità di bagnarti nella grazia.
La filosofia del karma vuole elevarci e incoraggiarci a fare le scelte giuste sia nella gioia che
nella sofferenza. La depressione ostacola il nostro avanzamento. In qualsiasi situazione ci troviamo
abbiamo l’opportunità di trasformarla secondo il modo in cui la vediamo. La vita devozionale non fa
sparire ogni crisi, ma può aiutarci a vederla con occhi nuovi e spesso questa visione più profonda
ci porta a uno stato mentale più felice. Io la pratico da molti anni e so che mi ha aiutato a vedere
la mano di Dio in tutte le cose.

“Noi umani creiamo il nostro destino. Siamo liberi di scegliere, ma quando agiamo, siamo legati alle
conseguenze karmiche di ciò che abbiamo fatto. Puoi scegliere di andare in aereo a Washington D.C.,
ma appena l’aereo prende quota non puoi più scegliere dove arrivare.” Improvvisamente
dall’altoparlante si udì la voce della hostess della compagnia aerea che annunciava il ritardo di
un’altra ora. Dorothy piagnucolò. Le sorrisi con simpatia. “Ecco di nuovo la possibilità di
scegliere, o concentrarsi sulle sofferenze provocate dal nostro destino o trasformare la visione del
nostro destino. La maggior parte di noi ha un enorme miscuglio di semi karmici del destino in attesa
di germogliare. Ma l’insegnamento più importante dellaBhagavad-gita è che siamo anime eterne,
trascendenti a tutte le reazioni karmiche. Questa è una cosa molto rassicurante da sapere.

Anche in mezzo alla più grande sofferenza, le persone che vivono con la consapevolezza della loro
natura eterna possono essere felici. La Bibbia ci dice che il regno di Dio è dentro di noi. La vera
felicità è un’esperienza del cuore. Che cosa desidera ardentemente il cuore?” Gli occhi tristi di
Dorothy cercarono i miei. “Il mio cuore desidera ardentemente l’amore,” disse. “Tutti noi lo
desideriamo,” risposi. “Il nostro bisogno di amare e di essere amati ha origine dal nostro amore
innato per Dio.” Citai le parole che Madre Teresa mi aveva detto anni prima. “Il più grande problema
di questo mondo non è la fame dello stomaco ma la fame del cuore. In tutto il mondo sia ricchi che
poveri soffrono. Sono soli e sono affamati d’amore.

Solo l’amore di Dio può soddisfare la fame del cuore.” “La bhakti, il mezzo per accedere all’amore
per Dio, non fa necessariamente scomparire la nostra situazione materiale,” dissi, “ma quantomeno ci
dà qualcosa di più della nostra amarezza su cui concentrarci. E cosa ancora più importante, quando
ci apriamo alla possibilità di qualche altra spiegazione oltre al fato crudele, possiamo trovare che
c’è un Essere Supremo amorevole che vigila su di noi. Nella tua condizione attuale, Dorothy, puoi
rivolgerti a Dio come praticamente nessun’altro.”

Un Mantra per Meditare

Il nostro dialogo continuò a lungo. Dorothy mi rivolse molte domande intelligenti e importanti ed io
le risposi basandomi su ciò che avevo appreso dal mio amato guru Srila Prabhupada e dai miei oltre
trent’anni di esperienza come guida spirituale. Alla fine ella chiuse gli occhi e chiese: “Nella tua
tradizione c’è una meditazione che ci aiuta a rivolgerci a Dio?” “Ci sono molte forme di
meditazione,” le risposi. “Me ne è stata data una che fin dai tempi più antichi, viene praticata per
risvegliare l’amore dormiente dell’anima. Posso insegnartela? “Per favore, fallo.” “È un mantra. In
sanscrito, man significa mente e trasignifica liberare. La mente è paragonata a uno specchio. Per un
numero incalcolabile di nascite abbiamo permesso alla polvere di coprire lo specchio della mente,
polvere nella forma di innumerevoli dubbi, desideri e paure.

In questa condizione tutto ciò che vediamo è la polvere pertanto è quella con cui ci identifichiamo.
Il canto di questo mantraè un metodo che pulisce lo specchio della mente e riportarlo alla sua
naturale chiarezza cosicché possiamo vedere chi siamo realmente: anime pure, parti di Dio, eterne,
piene di conoscenza e di felicità. A mano a mano che la mente diventa più pulita emergono le qualità
divine del sé mentre l’ignoranza e tutti i suoi effetti svaniscono. Quando ci avviciniamo a questo
stato, possiamo sperimentare l’amore innato per Dio dentro di noi. Quando l’amore di Dio si
risveglia, si manifesta spontaneamente un amore incondizionato per tutti gli esseri viventi.
Realizziamo che ogni persona è nostra sorella o nostro fratello e una parte del nostro amato
Signore.”

L’altoparlante gracchiava e tutti i presenti nella stanza si rianimarono, guardando la hostess della
compagnia aerea quasi come prigionieri che guardano la commissione per la libertà condizionata col
desiderio ardente di essere liberati. “Sono spiacente,” disse, “ma non hanno ancora riparato il
condizionatore d’aria e ci sarà un’altra ora di ritardo.” Dorothy si batté la fronte. “Swami,
insegnami il mantra.” “Ripeti per favore ogni parola dopo di me,” le chiesi. “ Hare… Krishna… Hare…
Krishna… Krishna… Krishna… Hare… Hare… Hare… Rama… Rama… Rama… Hare… Hare…” Dorothy scosse la
testa e mi scacciò con la mano. “Non me lo ricorderò mai.” “Vuoi che te lo metta per iscritto?”
Cercò nella borsa e ne estrasse un pezzetto di carta e una penna. Dopo che ebbi annotato il mantra
per lei, ella iniziò a meditare.

Infine, quando finalmente, dopo aver preso il volo che aveva avuto così tanto ritardo, atterrammo,
ci aspettava una visione sorprendente. C’era Dorothy seduta su una sedia a rotelle da lei richiesta,
che sorrideva e salutava con la mano tutti quelli che le passavano accanto. I passeggeri erano
sbalorditi nel vedere uno di loro così felice. Mi fermai a salutarla. “Swami,” disse “ho cantato
ininterrottamente il mantra durante tutto il volo. Non ricordo di essere stata così felice da tanto
tempo.” Mi porse il foglietto di carta con il mantra. “Vuoi scrivere un messaggio perché possa
ricordarmi di te?” Presa la penna, le scrissi il mio apprezzamento e una breve preghiera. Ella
strinse il foglio sul cuore e sorrise mentre lacrime scorrevano sulle sue guance. Poi disse qualcosa
che non dimenticherò mai. “Ora vivere o morire,” disse “è solo un dettaglio. So che Dio è con me.
Grazie.”

Mi affrettai verso il terminal e guardai il monitor. La mia compagnia aerea faceva un ultimo volo
per Hartford. Mancavano dieci minuti alla partenza da un altro terminal. C’era ancora una
possibilità. Avete mai visto uno swami che galoppa lungo i corridoi di un aeroporto? Un uomo mi
gridò: “Perché non usi il tuo tappeto magico?” Mentre correvo, mi venne in mente che avevo
dimenticato di prendere il numero del cellulare di Dorothy. Come avrei potuto sapere che cosa le
sarebbe accaduto? Anche oggi mi rammarico per la mia stupidità. Arrivai al gate proprio mentre
chiudeva. Cinque secondi ancora e sarebbe stato troppo tardi. Al centro culturale di Hartford, i
miei ospiti avevano variato il programma ritardando l’ora d’inizio. Chiesi se c’era un argomento
particolare su cui dovevo parlare. “Qualsiasi cosa desideri” fu la risposta. “La conferenza di
oggi,” annunciai “s’intitola ‘Perché Sono Così in Ritardo Per la Conferenza.’”

Radhanatha Swami è un GBC Iskcon dal 1996

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