La tecnica della sedia vuota

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La tecnica della sedia vuota

Nella nostra memoria conserviamo solo una parte della realtà. I dettagli che inizialmente omettiamo
possono sembrare superflui. Tuttavia, sono spesso molto importanti per capire da dove provengono
alcune particolarità del nostro dialogo interiore. La tecnica della sedia vuota si rivela molto
utile in tal senso.

La tecnica della sedia vuota rappresenta un ottimo strumento per giudicarsi meno e capirsi, nonché
perdonarsi, di più in merito a quanto successo in passato. La struttura e il contenuto del nostro
dialogo interiore sono fortemente influenzati dagli eventi esterni che ci influenzano.

In esso sono incluse tutte quelle voci esterne che hanno qualcosa da dire sul nostro modo di agire e
su quanto può dire di noi; allo stesso modo, è influenzato da come vediamo trattarsi gli altri. I
livelli di autocompassione, di conseguenza, oscillano.

Così, nel nostro dialogo troviamo voci interne che una volta erano esterne e il cui contenuto
interiorizziamo. È facile per noi giudicarci come siamo stati giudicati, con la stessa durezza, con
la stessa mancanza di compassione. Proprio come abbiamo visto un’altra persona incolparsi per i
propri errori, anche noi lo faremo.

Perché un bambino che non ha paura di sbagliare diventa un adulto che ha paura di sbagliare? Perché
l’adulto, invece di trattarsi con affetto e autocompassione, fa parte di quel gruppo di persone che
non smettono di giudicarlo.

Spesso portiamo con noi pensieri e convinzioni del passato che ci definiscono, ma ci feriscono.

Costruire il concetto di sé

Quasi 50 anni fa, Shavelson (1976) includeva già nella costruzione delle percezioni che compongono
il concetto di sé le esperienze degli altri, con gli altri, e le attribuzioni sul sé.

Le prime esperienze con le figure di attaccamento sono fondamentali, poiché si sviluppano con noi,
dunque è facile pensare che facciano parte di noi.

Se una persona è stata costantemente criticata per i suoi errori, inizierà a imitare internamente
questo modello. Ciò è particolarmente vero se l’affetto delle sue figure di riferimento dipendeva
dal fatto che commettesse o meno un errore.

Dopo aver ricevuto apprezzamenti quando il corpo ha subito dei cambiamenti che hanno avvicinato ai
canoni di bellezza socialmente accettati, sarà facile associare il proprio valore all’aspetto
fisico.

Diversi studi avanzano l’ipotesi che il benessere di una persona è strettamente correlato al
concetto di sé e a quanto si accetta, che non possono verificarsi senza autocompassione.

Quando il dialogo interiore ritiene veri tutti i giudizi esterni -ormai interni-, possono comparire
problemi di dipendenza, difficoltà nei rapporti familiari o violenza domestica, tra gli altri
(García, Musitu e Veiga, 2006).

Autocompassione VS critica interiorizzata

Il senso di colpa e l’autocompassione sono strettamente correlati. Tutte le emozioni autocoscienti,
compreso il senso di colpa, appaiono attraverso una valutazione relativa al sé.

Queste sono talvolta considerate come emozioni sociali che sorgono a seguito dell’interiorizzazione
della cultura e ciò che è considerato giusto e sbagliato nel contesto sociale (Etxebarria, 2003).

La colpa consiste nell’interpretare un’azione come negativa e nell’adottarne un’altra correttiva per
porre fine al disagio che l’accompagna. Il problema compare quando:

Interpretiamo come azioni negative periodi vitali o emozioni che, sebbene nel modello morale o
nell’esperienza contestuale siano state etichettate come errate, in realtà non lo sono.

Dal momento che l’azione è correttamente etichettata come “sbagliata” nel nostro sistema di valori
rivisto, non abbiamo strumenti per correggerla – questo accade spesso con azioni/emozioni svolte in
passato.

Siamo allora condannati a convivere con la colpa di un rapporto conflittuale con un genitore, di
un’amicizia finita per un errore commesso, un’occasione persa.

Se applichiamo i meccanismi della nostra ipotetica eredità emotiva senza modificarla, potremmo
vivere condizionati da quell’emozione per anni. Tuttavia, ricevere una certa eredità emotiva in cui
la colpa è limitante e protagonista non ci condanna.

Per fortuna, abbiamo a disposizione diverse strategie che possono aiutarci a gestire la nostra
tendenza limitante. Le presentiamo a seguire.

Accettarsi per eliminare il senso di colpa

Risulta fondamentale coltivare una competenza chiave per ricostruire il concetto di sé:
l’autocompassione. Grazie a essa, è possibile vivere le emozioni senza giudicarle né rifiutarle.

Si tratta inoltre di uno strumento che apre uno spazio per poter avere un’idea meno critica della
situazione. Dà anche l’opportunità di comprendere le conseguenze di certe esperienze.

Astenendosi dall’etichettare le emozioni come positive o negative, la necessità di correggerle
scompare. Man mano che questa viene meno, possiamo concentrarci sul viverla così come viene, senza
sentirci in obbligo di modificarla.

La tecnica della sedia vuota: diglielo in faccia

La tecnica della sedia vuota può essere un buon strumento per iniziare a smantellare quel sistema di
convinzioni interiorizzato in cui risiede la colpa. È utile anche per lavorare sull’autocompassione
e sulla comprensione, tornando a situazioni lontane che possiamo vedere con occhi diversi.

In più occasioni abbiamo ripetuto: “Sono stupido/a, non avrei dovuto farlo”, “Come ho fatto ha
portare avanti quella relazione”, “Mia madre non è più con me e mi pento di come l’ho trattata da
adolescente “, “Come non ho fatto a lasciare quel lavoro? Che debole!”.

La tecnica della sedia vuota può essere eseguita in presenza o tramite la terapia a distanza.
Possiamo anche provare a eseguirla da soli se lo desideriamo.

In essa troveremo uno spazio (sedia, letto, etc) in cui far sedere una persona. Quella persona
saremo noi, ma dovremo scegliere un momento temporaneo.

Voglio sedermi con il me che non andava d’accordo con sua madre? Il mio Io che ha fallito e non ha
intrapreso la carriera che desiderava? L’Io che è rimasto in una relazione abusiva? Sceglieremo
un’età specifica.

Una volta seduti, descriveremo quell’Io: tutto ciò che possiamo riportare dai nostri ricordi.
L’acconciatura che portavamo, i vestiti che avremmo sicuramente indossato quel giorno della
settimana, un capo molto caratteristico, occhiali diversi, la musica che ascoltavamo. Qualsiasi
dettaglio utile per trasportarci in uno scenario che non potremo giudicare equamente perché più si
allontana, meno lo capiamo.

Trovandoci di fronte a noi stessi in un altro tempo, l’esercizio è molto semplice: rivolgerci tutti
i rimproveri del passato. “Come hai fatto a essere un tale idiota?”, “Ero inutile!”, “Ho meritato
tutto quello che mi è successo”. Presentiamo tutti quegli aggettivi, quelle critiche, quelle
affermazioni alla persona seduta di fronte a noi.

La tecnica della sedia vuota viene utilizzata per gestire il senso di colpa.

La tecnica della sedia vuota e il coraggio di non arrendersi

Lo scopo è recuperare dettagli che sono stati dimenticati per molto tempo. Riconnettersi con la
persona del passato e con tutte le emozioni e circostanze di cui non teniamo conto perché ci siamo
allontanati da quella situazione.

L’autocompassione è ancora più importante della compassione esterna. Solo noi abbiamo le
informazioni complete poiché siamo stati noi a vivere le diverse situazioni.

Riusciamo ancora a incolpare la ragazza che eravamo che non andava d’accordo con sua madre tenendo
conto della solitudine che provava? Potremo ancora dire a quel ragazzo che è inutile perché ha
portato avanti una relazione tossica considerando l’isolamento e la disperazione che provava quel
mercoledì pomeriggio con i suoi jeans dopo essere tornato dall’università? Riusciremo a dire a
quella persona che non merita nulla quando ha ricevuto solo rifiuto?

O forse inizieremo a capire senza giudicare, perché a chi ci giudicava era ignaro della carica
emotiva dell’esperienza. La tecnica della sedia vuota può essere un buon inizio per sostituire il
giudizio personale con l’autocompassione e accettare il Sé di diversi anni fa, il Sé di dieci minuti
fa.

Bibliografia

Auserón, G., Viscarret, R., Fuertes, C. i, Güeto, V., Pascual, P. & Galdeano, E. (2018). Evaluación
de la efectividad de un programa de mindfulness y autocompasión para reducir el estrés y prevenir el
burnout en profesionales sanitarios de atención primaria,

Atención Primaria, Volume 50(3),141-150.

Etxebarria, I. (2003). Las emociones autoconscientes: culpa, vergüenza y orgullo. En E. G.
Fernández-Abascal, M. P. Jiménez y M. D. Martín (Coor.). Motivación y emoción. La adaptación humana
(pp. 369-393). Madrid: Centro de Estudios Ramón Areces.

García, J. F., Musitu, G., & Veiga, F. (2006). Autoconcepto en adultos de España y Portugal.
Psicothema, 18(Número 3), 551-556. Recuperado a partir de
reunido.uniovi.es/index.php/PST/article/view/8471

Martínez, A. I., & Viejo, C. R. M. (2014). Autoconcepto y rendimiento académico en adolecentes.
International Journal of Developmental and Educational Psychology, 2(1), 555-564.

en.wikipedia.org/wiki/Richard_Shavelson

da lista mentem gg

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