26 marzo 2016
Alcuni esperti di intelligenza artificiale profetizzano che il futuro dell’umanità sarà la
Singolarità, cioè l’integrazione della psiche umana nei computer. Ma i neuroscienziati sottolineano
tutte le lacune di questa previsione, dato che nessuno sa bene in che modo la mente possa scaturire
dal cervello: il codice neurale, grazie a cui gli impulsi nervosi vengono interpretati come
percezioni, ricordi, significati e intenzioni, sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione
di John Horgan
visto su lescienze.it
Quella che segue è una versione modificata e aggiornata di un articolo originariamente scritto per
la rivista IEEE Spectrum.
Ho 62 anni, con tutto ciò che comporta. Capelli grigi, un ginocchio poco affidabile e una memoria
che lo è ancora meno. Posso ancora giocare discretamente a hockey, ma l’entropia cresce sempre di
più. Quindi, una parte di me vorrebbe fortemente credere che ci stiamo rapidamente avvicinando alla
Singolarità.
Come il paradiso, la Singolarità si può declinare in molte versioni, ma la maggior parte di esse
presuppone che si acceleri sulla strada del cervello bionico. In una prima fase diventeremo cyborg,
e saranno i chip cerebrali a modificare la nostra percezione, la nostra memoria e la nostra
intelligenza, eliminando la necessità di fastidiosi telecomandi per la TV. Alla fine, abbandoneremo
del tutto il nostro Io in carne e ossa e caricheremo la nostra psiche digitalizzata nei computer. E
abiteremo felicemente e per sempre nel cyberspazio, dove, per parafrasare Woody Allen, non avremo
mai bisogno di cercare un parcheggio.
Gli appassionati di Singolarità, o Singolaritariani, sono per lo più esperti di computer, come
l’imprenditore Ray Kurzweil. Citando i progressi esponenziali dell’informazione, codificati dalla
legge di Moore, Kurzweil profetizza una fusione d’intelligenza biologica e non biologica che
culminerà in esseri umani basati su software immortali. E l’avvento della Singolarità non è
previsto nell’arco di un millennio, o di un secolo, ma di decenni.
Gli specialisti di cervelli reali trovano questi scenari ridicolmente ingenui, poiché siamo ancora
molto lontani dalla comprensione di come una mente possa scaturire da un cervello. Nessuno ne ha la
più pallida idea, dice il premio Nobel Eric Kandel. Al momento, tutto ciò che si può fare è
raccogliere opinioni intelligenti e ben argomentate.
Ai neuroscienziati manca una teoria generale e unificante che dia senso ai loro risultati sparsi e
sconnessi, che riguardano, per esempio, la scoperta fatta da Kandel dei processi chimici e genetici
che sono alla base della formazione della memoria nelle lumache di mare.
Spesso, e a buon diritto, il cervello è chiamato il fenomeno più complesso noto alla scienza. Un
tipico cervello adulto contiene circa 100 miliardi di cellule nervose, o neuroni. Un singolo neurone
può essere collegato tramite assoni (le connessioni in uscita) e dendriti (connessioni in entrata) e
attraverso le sinapsi (gli spazi che separano assoni e dendriti) a ben 100.000 altri neuroni. Basta
combinare questi numeri per scoprire che un tipico cervello umano ha milioni di miliardi di
connessioni tra i suoi neuroni.
La complessità aumenta ulteriormente se si considera che le connessioni sinaptiche si formano, si
rafforzano, s’indeboliscono e si sciolgono incessantemente. I vecchi neuroni muoiono, e ne nascono
di nuovi per tutta la vita, come emerso da recenti studi che hanno smentito un dogma che durava da
decenni.
Le cellule possono anche essere riprogrammate per diversi scopi, passando dal controllo delle
espressioni facciali a quello della flessione di un dito, dall’elaborazione della percezione visiva
del colore rosso a quella uditiva degli scricchiolii. Lungi dall’essere forgiati da un modello
comune, i neuroni mostrano un’incredibile varietà di forme e funzioni. I ricercatori ne hanno
scoperte numerose solo nell’apparato visivo. Anche i neurotrasmettitori, che trasportano i segnali
attraverso la sinapsi tra due neuroni, sono di diversi tipi, così come altre sostanze chimiche, come
i fattori di crescita neurale e gli ormoni, che entrano ed escono dal cervello, modulando la
cognizione in modi sottili e profondi.
Quanto più si conosce il cervello, tanto più ci si meraviglia del suo funzionamento. Ma spesso non
funziona: può essere colpito da schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, morbo di Alzheimer e
molti altri disturbi che non possono essere spiegati né trattati. I Singolaritariani, comunque,
insistono sul fatto che i cervelli sono solo computer complessi, e in effetti questa analogia ha un
suo fondamento.
I neuroni assomigliano a transistor, poiché assorbono, trasformano e riemettono gli impulsi
elettrochimici noti come potenziali d’azione. Con un’ampiezza di un decimo di volt e una durata di
un millisecondo, i potenziali d’azione sono molto uniformi, e non si dissipano neppure quando
corrono lungo assoni lunghi un metro. Chiamati anche picchi (spike), in riferimento alla loro forma
sullo schermo di un oscilloscopio, nel cervello i potenziali d’azione servono, presumibilmente, come
unità di base dell’informazione.
Si supponga, come fanno molti Singolaritariani, che i potenziali d’azione siano equivalenti alle
operazioni di un computer. Se il cervello contiene un milione di miliardi di sinapsi, che elaborano
in media 10 potenziali d’azione al secondo, allora il cervello esegue 10 milioni di miliardi di
operazioni al secondo, o 10 petaflop. Alcuni supercomputer hanno già superato quel tasso di
elaborazione. Da qui la convinzione dei Singolaritariani che i computer presto ci lasceranno
indietro in quanto a capacità cognitiva, a meno che non ci integriamo con loro, grazie a una
convergenza bionica o a un upload psichico.
A sbarrarci la strada verso il cyber-paradiso, però, c’è il codice neurale. Questa espressione si
riferisce ai software, o agli algoritmi, che trasformano i potenziali d’azione e altri processi
fisiologici in percezioni, ricordi, significati e intenzioni.
Il codice neurale è il più profondo e più significativo problema della scienza. Se i ricercatori
decifrassero il codice, potrebbero dare una risposta a enigmi filosofici rimasti irrisolti
dall’antichità, come il problema mente-corpo o quello del libero arbitrio. Una soluzione al codice
neurale potrebbe anche darci, in linea di principio, un potere illimitato sul nostro cervello e
sulla nostra mente. Alcuni classici della fantascienza, tra cui il controllo della mente, la lettura
del pensiero, il potenziamento bionico e anche upload psichico, potrebbero diventare realtà.
Ma il problema più profondo nella scienza è anche di gran lunga il più difficile da risolvere. I
neuroscienziati non hanno ancora idea di cosa sia il codice neurale. Questo non vuol dire che non
abbiano alcun candidato. Niente di più falso. Come elettori nelle primarie presidenziali degli Stati
Uniti, i ricercatori hanno un eccesso di candidati, ciascuno dei quali con una pecca profonda.
A citare per la prima volta il codice neurale fu nel 1930 il neurobiologo britannico Edgar Adrian.
Dopo aver isolato neuroni sensoriali di rane e anguille, Adrian mostrò che quando l’intensità di uno
stimolo aumenta, aumenta anche la frequenza di scarica di un neurone, che può arrivare a 200 picchi
al secondo. Nei decenni successivi, gli esperimenti sembravano confermare che il sistema nervoso di
tutti gli animali utilizza questo metodo di trasmissione delle informazioni, battezzato codice di
frequenza (rate code).
Ma un codice di frequenza è un modo rozzo e inefficiente per trasmettere informazioni: sarebbe un
po’ come cercare di comunicare esclusivamente canticchiando suoni di diverse altezze. I
neuroscienziati hanno sospettato a lungo che il cervello impiegasse codici più raffinati. Una
possibilità è la codifica temporale, in cui l’informazione non è rappresentata solo dalla frequenza
di attivazione di una cellula, ma anche dalla precisa sequenza temporale dei picchi.
Per esempio, un codice di frequenza tratterebbe le sequenze di un picco 010101 e 100011 come se
fossero identiche perché hanno lo stesso numero di 0 e di 1. Invece, un codice temporale potrebbe
assegnare significati diversi alle due stringhe perché le sequenze di bit sono differenti. La
codifica temporale potrebbe spingere la capacità di elaborazione delle informazioni del cervello
verso il limite di Shannon, il massimo teorico che la teoria dell’informazione permette a un
sistema fisico dato.
Alcuni neuroscienziati sospettano che i codici temporali predominino nella corteccia prefrontale e
altre strutture cerebrali associati alle funzioni cognitive “superiori”, come per esempio il
processo decisionale. In queste regioni, i neuroni tendono ad attivarsi in media solo una o due
volte al secondo.
A un livello più macroscopico, i ricercatori sono alla ricerca di codici di popolazione che
coinvolgono l’attivazione coordinata di molti neuroni. Il defunto Gerald Edelman ha sostenuto uno
schema chiamato darwinismo neurale, in cui per esempio la nostra capacità di riconoscere un animale
emerge dalla competizione tra grandi popolazioni di neuroni che rappresentano diversi ricordi: Cane?
Gatto? Donnola? Ratto? Il cervello fa affidamento rapidamente sulla popolazione che più si accorda
con lo stimolo in entrata. Forse perché Edelman utilizzava un gergo incomprensibile, il darwinismo
neurale non si è mai affermato.
Un codice di popolazione chiamato oscillazioni sincrone coinvolge molti neuroni che si attivano
con la stessa frequenza e con la stessa scansione temporale. Nel 1990, Francis Crick e Christof Koch
proposero che le oscillazioni sincronizzate alla frequenza di 40 hertz avessero un ruolo chiave
nella coscienza. Crick era ovviamente famoso per aver scoperto la struttura del DNA e aver
dimostrato che essa fa da supporto a un codice genetico sorprendentemente semplice che regola
l’eredità di tutti gli organismi.
Koch tuttavia dubita che il codice neurale “sarà qualcosa di semplice e universale come il codice
genetico. I codici neurali sembrano variare tra le diverse specie, osserva, e anche in diverse
modalità sensoriali nella stessa specie. “Il codice per l’udito non è lo stesso di quello per
l’olfatto”, spiega, “in parte perché i fonemi che compongono le parole cambiano all’interno di una
piccola frazione di secondo, mentre gli odori aumentano e diminuiscono molto più lentamente”.
“Potrebbe non esserci alcun principio universale a regolare l’elaborazione neurale
dell’informazione, oltre a quello secondo cui il cervello è incredibilmente adattabile e in grado di
estrarre ogni bit d’informazione possibile, inventando nuovi codici, se necessario”, spiega Koch. Si
sa così poco su come il cervello elabora le informazioni che in questo momento è difficile escludere
uno qualsiasi degli schemi di codifica.
Infatti, Koch ha contribuito a far tornare in auge uno schema di codifica da tempo scartato come
implausibile. Questo schema è stato denigrato come l’ipotesi della “cellula nonna”, perché portata
all’estremo implica che i nostri banchi di memoria dedicano un singolo neurone a ogni persona, luogo
o cosa che abita i nostri pensieri, come la nonna.
Insieme all’eminente neurochirurgo Itzhak Fried, Koch ha identificato i neuroni che rispondono a
immagini di persone specifiche, da Bill Clinton a Sylvester Stallone. I neuroni sono stati scoperti
negli epilettici nei quali Fried aveva impiantato alcuni elettrodi a scopi clinici.
I risultati suggeriscono che un singolo neurone, lungi dall’essere un semplice interruttore, può
possedere un enorme potenza di calcolo. Messaggi significativi potrebbero essere veicolati non solo
da orde di neuroni che urlano all’unisono, ma da piccoli gruppi di cellule che bisbigliano, forse in
un codice temporale conciso.
Il neurobiologo inglese Steven Rose sospetta che il cervello elabori le informazioni a scala sia più
grande sia più piccola di quella dei singoli neuroni e delle singole sinapsi, tramite processi
genetici, ormonali e di altro tipo. Egli quindi mette in dubbio un presupposto fondamentale dei
Singolaritisti, e cioè che i picchi rappresentano la somma totale dell’output computazionale del
cervello. La potenza di elaborazione delle informazioni del cervello potrebbe essere superiore di
molti ordini di grandezza rispetto a quanto suggeriscono i soli potenziali d’azione.
Inoltre, decodificare i segnali neurali da singoli cervelli sarà sempre straordinariamente
difficile, sostiene Rose, perché il cervello di ogni individuo è unico e in continua evoluzione. Per
sottolineare questo punto, Rose cita un esperimento mentale che coinvolge un “cerebroscopio”, in
grado di registrare tutto ciò che accade in un cervello, a livello microscopico e macroscopico, in
tempo reale.
Ipotizziamo che il cerebroscopio registri tutte le attività neurali di Rose mentre osserva un
autobus rosso che percorre una certa strada. Potrebbe il cerebroscopio ricostruire ciò che Rose sta
sentendo? No, perché la sua risposta neurale anche al più semplice stimolo ha origine da tutta la
storia precedente del suo cervello, anche, per esempio, da un incidente avvenuto nell’infanzia,
quando un autobus per poco non lo ha investito.
Per interpretare l’attività neurale corrispondente a qualsiasi momento, argomento Rose, gli
scienziati avrebbero bisogno di accedere a tutta la mia storia di vita neurale e ormonale, così
come a tutte le sue esperienze corrispondenti. Gli scienziati avrebbero anche bisogno di conoscere
dettagliatamente il contesto sociale, costantemente in evoluzione, all’interno del quale Rose ha
vissuto; il suo atteggiamento verso gli autobus, per esempio, sarebbe diverso se un gruppo di
terroristi avesse recentemente attaccato un autobus.
Questa analisi implica che ogni psiche individuale è fondamentalmente irriducibile, imprevedibile e
inspiegabile. Certamente non è abbastanza semplice da poter essere estratta da un cervello e
trasferita su un altro supporto, come ipotizzano i Singolaritariani.
In definitiva, la singolarità è una visione religiosa, piuttosto che scientifica. Lo scrittore di
fantascienza Ken MacLeod l’ha soprannominata La beatitudine dei nerd, in riferimento alla profezia
apocalittica contenuta nella Bibbia, secondo cui Gesù, alla fine dei tempi, porterà i giusti in
paradiso, lasciando indietro i peccatori.
Tale desiderio di trascendenza, sia esso spirituale o tecnologico, è fin troppo comprensibile. Sia
come individui sia come specie, ci troviamo di fronte a enormi problemi, compreso il terrorismo, la
proliferazione nucleare, la sovrappopolazione, la povertà, la fame, il degrado ambientale, i
cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse, e le epidemie come l’AIDS. Gli ingegneri e gli
scienziati dovrebbero prendere di petto i problemi del mondo e trovare soluzioni, piuttosto che
indulgere in fantasie pseudoscientifiche d’evasione come la Singolarità.
(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 22 marzo.
Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
blogs.scientificamerican.com/cross-check/the-singularity-and-the-neural-code/
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