La tua ansia…il tuo stress…

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L’ansia e lo stress

del Dr. Prof. Robert Westermeier

L’ansia e’ un’emozione odiosa: quando la sperimentiamo in maniera intensa,
ci consuma. E’ meno simile alla depressione, che si instaura lentamente, e
piu’ simile alla rabbia, che si impadronisce di noi nel giro di pochi
istanti. La componente emotiva e’ quella con cui siamo piu’ famigliari: la
sensazione di apprensione, paura, fino al vero e proprio terrore. I sintomi
fisici includono l’aumento della frequenza cardiaca, respiro rapido,
tremito, e perfino giramenti di testa. Per natura, l’ansia e’ intensa e
rapidamente ingravescente.

Chiunque abbia conosciuto l’ansia conosce i deficit nel pensiero e
nell’attenzione che ad essa si accompagnano. L’ansia sembra causare
automaticamente un restringimento del campo di attenzione. Gli ansiosi
dicono in genere di essere “bloccati”, di non riuscire a pensare. In
realta’, pensano a tutta velocita’, ma pensano solo a cio’ che sta causando
ansieta’! La quantita’ di informazione che puo’ essere processata al
cervello in un dato momento non e’ infinita, e, quando sono presenti forti
emozioni, esse tendono a prendere il sopravvento, occupando tutte le
capacita’ disponibili.

Per esempio, una persona afflitta da ansia da prestazione puo’ essere
talmente consumata dalla preoccupazione, durante una conferenza, da
dimenticarsi quello che deve dire, anche se il soggetto della conferenza e’
per lei una “seconda natura”.

Come per la depressione, le distorsioni cognitive hanno un ruolo
fondamentale nella genesi dell’ansia cronica.

Dal punto di vista cognitivo, l’ansia ha sempre a che fare con la
vulnerabilita’. Tipicamente, gli ansiosi sopravvalutano il potenziale
pericoloso degli eventi e sottovalutano la loro capacita’ di farvi fronte.

Tornando all’esempio della persona affetta da ansia da prestazione durante
una conferenza, essa tende ad esagerare lo “scrutinio” da parte del pubblico
ed a sottovalutare le proprie capacita’ oratorie.

“La signora in terza fila continua a guardare l’orologio: si sta annoiando a
morte. Tutti si stanno annoiando. Sto facendo un disastro.” Questo tipo di
distorsioni naturalmente non fanno che perpetuare e peggiorare lo stato
ansioso. Come nel caso della depressione, l’ansia puo’ precipitare in un
circolo vizioso. L’ ansia genera sintomi fisici, che peggiorano le
distorsioni del pensiero, che generano nuovi sintomi fisici, eccetera.
Questi sintomi fisici portano facilmente la persona ansiosa a cercare una
via di scampo, una qualche scappatoia.

Scegliendo la fuga, si genera un forte rinforzo negativo grazie alla rapida
diminuzione della sintomatologia ansiosa. Quindi, ogni volta che in futuro
insorgera’ un attacco ansioso, la spinta verso il comportamento di
fuga/evitamento che ha funzionato in passato sara’ sempre piu’ forte. Per di
piu’, il ciclo ansia/comportamento di difesa/evitamento possono rendere
l’ansioso letteralmente prigioniero.

L’ansia e’ tipicamente un fattore precipitante di comportamenti adittivi. In
particolare, alcuni comportamenti sono perfetti per la situazione
dell’ansioso, in quanto hanno un effetto rapido e misurabile su uno, o piu’
sintomi della sindrome ansiosa. La riduzione di uno qualsiasi dei sintomi
(fisiologici, emotivi o cognitivi) indebolira’ il circolo vizioso e finira’
per diminuire anche tutti gli altri sintomi.

Molti comportamenti adittivi “consumano” le capacita’ di pensiero, e quindi
riducono l’ansia.

In termini semplici, qualsiasi comportamento che distragga finisce per per
avere un effetto “benefico” sulla spiacevole sintomatologia ansiosa. L’
alcol, per esempio, ha un effetto diretto sull’attenzione: le persone molto
concentrate su se stesse, ipercritiche ed ansiose, spesso hanno problemi di
alcolismo, in quanto hanno scoperto che il bere permette di distrarsi da se
stessi e dai propri problemi.

Diverse terapie si indirizzano alle tre classi di sintomi dell’ansia,
fisiologici, emotivi e cognitivi.

I farmaci ansiolitici inducono uno stato di sedazione che di fatto riduce i
sintomi fisiologici, permettendo al circolo vizioso di “sciogliersi”. Le
tecniche di rilassamento fanno la stessa cosa. La terapia
cognitivo-comportamentale dell’ansia include sempre tecniche di
rilassamento.

Imparare a rilassarsi e molto importante per l’ansioso, in quanto gli
permette di ridurre i sintomi senza bisogno di ricorrere a comportamenti
adattivi di evitamento/fuga. Altre forme di trattamento si occupano delle
componenti emotive. Ci sono farmaci che modificano il bilancio di
neurotrasmettitori nel cervello, agendo in particolare su quelli che si
ritengono implicati nella genesi dell’ansia.

Un modo particolarmente efficace per controllare l’ansieta’ e’ quello di
modificare il pensiero distorto che ne e’ componente fondamentale. Le
tecniche cognitive sono molto utili, in quanto la loro pratica puo’
diventare praticamente automatica.

Tra quelle che provocano ansia, la distorsione cognitiva piu’ comune e’
l'”esagerazione catastrofica”. Questo avviene quando il potenziale
catastrofico di un evento (in particolare un evento che avverra’) viene
esagerato. Pensieri disastrosi, di “tutto o nulla” accompagnano quasi
regolarmente l’attacco ansioso. I pensieri catastrofici possono essere a
proposito di eventi della vita, oppure, come e’ il caso del disturbo da
attacchi di panico, a proposito del proprio stato di salute (lo stato di
agitazione e’ visto come il prodromo o la manifestazione di una malattia
acuta e grave).

L’identificazione dei pensieri catastrofici e la loro modificazione puo’
avere effetti molto molto marcati sull’ansia, certamente altrettanto macati
che quelli delle tecniche che si concentrano direttamente sui sintomi fisici
o emotivi.

Per esempio, ho lavorato con un paziente che era stato disoccupato per un
certo periodo. Il giorno prima di un colloquio di lavoro venne da me in
preda ad una forte ansieta’. I suoi pensieri comprendevano affermazioni del
tipo: “sono stato senza lavoro per mesi… faro’ una pessima figura durante
il colloquio… non avro’ mai il lavoro… sara’ orribile… non potro’
sopportarlo… probabilmente e’ meglio che al colloquio non ci vada
nemmeno”.

Un dialogo di decatastrofizzazione, in questi casi, puo’ avere un effetto
molto benefico. Nel caso specifico, l’ansia del mio paziente si ridusse
notevolmente cosi’ che pote’ sostenere il suo colloquio. Bisogna ricordare
che decatastrofizzare non significa solamente considerare l’evidenza
contraria a predizioni completamente negative, ma anche considerare quale
sarebbe il problema reale se le predizioni peggiori si dovessero avverare
(in questo caso, non avere il posto).

Ecco che cosa ci siamo detti:

Terapeuta: allora, qual’e’ il problema se non avra’ questo posto?

Paziente: cosa vuol dire? Sarebbe orribile. Non so cosa farei.

T: cosa significherebbe il fatto di non avere questo posto?

P: che sono un buono a nulla. Uno scemo che nessuno assumerebbe mai.

T: mi pare che avesse detto che ci sono venti persone che hanno fatto
domanda per questo posto.

P: si, e’ vero.

T: allora tutti gli altri diciotto che non avrebbero il posto sarebbero
degli idioti buoni a nulla.

P: no… credo di no…

T: perche’?

P: be’, e’ un posto difficile da avere, ci sara ‘ un sacco di competizione,
con parecchia gente qualificata che avra’ fatto domanda.

T: e lei, che qualificazioni ha?

P: ho avuto una posizione nel marketing per dieci anni.

T: okay, allora qual’e’ il vero motivo per cui lei non dovrebbe avere questo
posto?

P: immagino che sia perche’ c’e’ un solo posto e qualcuno finira’ per avere
qualcosa in piu’ degli altri.

T: se le cose stanno cosi’, cosa succederebbe se non dovesse avere il
lavoro?

P: almeno potrei capire che cosa ci si aspetta da qualcuno in questa
posizione.

T: e poi?

P: poi probabilmente potrei fare domanda per un altro posto.

T: pensa che potrebbe farcela? Domani, dico…

P: si, credo di si. In effetti potrebbe anche essere un buon allenamento. E’
un bel pezzo da quando ho fatto un colloquio per l’ultima volta, un po’ di
pratica mi fara’ bene.

In questo esempio, la decatastrofizzazione non solo ha portato ad una
diminuzione dell’ansia, ma anche ad una visione piu’ positiva (e
probabilmente ad una migliore performance durante il colloquio). Discutere i
passi necessari per reagire nel caso lo scenario peggiore si verifichi e’
molto diverso dal semplice preoccuparsi. Chi si preoccupa, in genere, teme
le conseguenze disastrose di un certo evento, e spende enormi energie
mentali nel cercare di evitare che questo evento si verifichi.
Decatastrofizzare significa considerare il caso peggiore, e rendersi conto
che vi si puo’ far fronte. Se si riesce a convincersi che ce la si potrebbe
fare nel peggiore dei casi, tutti gli altri casi, automaticamente, diventano
gestibili.

Ma non e’ tutto. Dopo aver compreso che si potrebbe far fronte anche alle
conseguenze peggiori, il livello di ansia diminuisce considerevolmente.
Allora si puo’ prendere in considerazione anche il caso migliore, e,
soprattutto, ci si rende conto che sono gli scenari realistici, a meta’
strada tra il tutto bene e il tutto male, che hanno la probabilita’ maggiore
di verificarsi.

Cosi’, essendosi calmati, avendo aperto quello che tecnicamente si chiama
“spazio cognitivo”, si possono applicare alcune delle tecniche di
disputazione di cui abbiamo parlato nella depressione, come il chiedersi
“dove sono le prove che questa cosa orribile si verifichera’?” oppure “c’e’
un modo piu’ equilibrato, meno “tutto o nulla” per considerare gli eventi?”.

L’ultimo sintomo della sindrome ansiosa di cui si occupa la terapia
cognitivo-comportamentale e’ il comportamento di fuga/evitamento.
Fintantoche’ si utilizzano risposte maladattive di evitamento, il ciclo
dell’ansia si perpetua. L’esposizione agli stimoli ansiosi non e’ mai
piacevole, cosi’ la terapia cognitica fa fare al paziente passi graduali,
per evitare che egli sia sopraffatto ed abbandoni gli sforzi di cambiamento.

E’ importante pero’ che I passi verso il cambiamento non siano troppo
“facili”: il paziente deve imparare a tollerare un certo livello di ansia, e
capire che questo stato puo’ rimanere tale (leggero o moderato) senza
necessariamente sfociare in un vero e proprio attacco di panico. La
desensibilizzazione sistematica e’ una tecnica di esposizione graduale per
il trattamento delle fobie, in cui si insegnano al paziente tecniche di
rilassamento e gli si fanno applicare queste tecniche esponendolo a stimoli
ansiogeni crescenti. Naturalmente, non si incoraggia l’esposizione ad un
livello di stimolo maggiore finche’ il paziente non ha imparato a gestire il
livello precedente.

Approfondimento >> www.sublimen.com

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