di Jon Kabat Zinn
“Hai notato che la tua “consapevolezza” può proteggerti dal tuo
“dolore?” – (di Jon Kabat Zinn)
Avete mai notato che la vostra consapevolezza del Dolore non sente
dolore, anche se voi sì? Sono sicuro che l’avete notato. È
un’esperienza molto comune, specie da bambini, ma di quelle che di
solito non si prendono in esame e di cui. non si paria, perché è così
transitoria e il dolori invece, quando ci arriva addossò, è tanto più
pressante.
Avete mai notato che la Vostra consapevolezza della paura non ha
paura, anche se voi siete terrorizzati? O che la vostra consapevolezza
della depressione non è depressa? Che la consapevolezza che avete
delle vostre cattive abitudini non ne è schiava? O forse persino che
la consapevolezza che avete di chi siete non è ciò che pensate di
essere?
Potete mettere alla prova ognuna di queste proposizioni ogni volta che
volete, semplicemente osservando a fondo la consapevolezza: rendendovi
consapevoli della consapevolezza stessa. E facile, ma ci si pensa
molto di rado perché la consapevolezza, come il momento presente, è
una dimensione virtualmente nascosta della nostra vita, che la pervade
tutta e dunque piuttosto difficile da identificare in un punto
preciso.
La consapevolezza è immanente e sempre a disposizione, ma si nasconde
e si mimetizza come tin animale timido. Di solito ci vuole un certo
grado di sforzo c di calma, se non di furtività, anche solo per darle
un’occhiata, per non parlare di osservarla apertamente e a lungo,
anche se magari è interamente allo scoperto: bisogna essere attenti,
pronti, curiosi, motivati a vederla. Con la consapevolezza bisogna
essere disponibili a lasciare che la sua conoscenza vi arrivi vicino,
invitarla, in silenzio e con cura, nel mezzo di quello che state
sperimentando e pensando. Dopotutto state già vedendo; state già
ascoltando: c’è consapevolezza in tutto ciò che entra attraverso le
porte dei sensi, compresa la mente, proprio qui, proprio ora.
Se nel mezzo del dolore entrate nella pura consapevolezza anche per un
attimo brevissimo, in quel preciso momento la vostra relazione con il
dolore cambia. E impossibile che non cambi, perché il gesto stesso di
« mantenerla », anche se non a lungo, anche solo per uno o due
secondi, rivela sempre le proprie dimensioni più ampie. E quei
cambiamento della relazione con l’esperienza che vivete vi dà un grado
maggiore di libertà di atteggiamenti e di azioni, in quella data
situazione, quale che sia… anche se non sapete che cosa fare. Non
sapere è già un modo di sapere, quando si abbraccia lo stesso « non
sapere » in consapevolezza. Suona strano, lo so, ma con una pratica
costante è probabile che comincerà ad avere senso per voi a livello
viscerale, della pancia, che è un bel po’ più profondo di quello del
pensiero.
I,a consapevolezza trasfonda il dolore emotivo proprio come trasforma
il dolore che attribuiamo più al territorio delle sensazioni fisiche.
Quando siamo immersi in un dolore emotivo, se facciamo molta
attenzione notiamo che sul dolore che proviamo si sovrappone sempre
uno strato di pensieri e una pletora di sentimenti diversi; così di
nuovo possiamo dare il benvenuto all’intera costellazione di quello
che pensiamo essere dolore emotivo e abbracciarla con la
consapevolezza, per quanto folle possa sembrare di primo acchito. E
stupefacente quanto poco siamo abituati a fare una cosa del genere, e
quanto possa essere profondamente rivelatore e liberatorio affrontare
in questo modo emozioni e sentimenti, anche quando infuriano o ci
portano alla disperazione, specialmente quando infuriano o i portano
alla disperazione.
Non occorre certo che ci infliggiamo un dolore solo per avere
l’occasione di mettere alla prova la singolare caratteristica della
consapevolezza di essere più grande del dolore, e di natura diversa;
basta che siamo attenti all’arrivo del dolore quando si affaccia, in
qualunque sua forma. La nostra prontezza fa nascere la consapevolezza
al momento stesso del contatto con l’evento scatenante, che sia una
sensazione o un pensiero, uno sguardo, una cosa detta, qualcosa che
accade in un momento qualsiasi. La saggezza si applica proprio lì. al
punto di contatto, nel momento del contatto, che vi siate appena
pestati il pollice con il martello o che il mondo di colpo si sia
messo a girare in un modo inaspettato e voi vi siate ritrovati di
fronte a una delle tante facce della catastrofe e all’improvviso vi
sembra che il dolore, il lutto, la rabbia, la paura abbiano preso
dimora permanente nel vostro mondo.
È in quel momento, e in quelli successivi, che possiamo portare
consapevolezza allo stato in cui ci troviamo, lo stato del corpo e
della mente e del cuore; e poi facciamo un giro in più: prendiamo
consapevolezza della consapevolezza stessa, notando se la nostra
stessa consapevolezza provi dolore, o sia arrabbiata o spaventata o
triste.
Non lo sarà. Non può esserlo. Ma bisogna sperimentarlo da sé. Non c’è
alcuna libertà nel limitarsi a pensarlo. Il pensiero serve solo a
ricordarci di osservare, di abbracciare quel momento particolare in
consapevolezza e poi a portare la consapevolezza sulla nostra
consapevolezza. E lì che facciamo la prova. Si potrebbe dire
addirittura che è la prova stessa, perché la consapevolezza conosce
all’istante: può durare solo un attimo, ma in quell’attimo si trova
l’esperienza della libertà. La porta della saggezza e della pienezza,
le qualità naturali del nostro essere quando sperimentiamo la libertà,
si apre proprio in quell’attimo. Non c’è altro da fare: la
consapevolezza l’apre e vi invita a gettare uno sguardo dentro, anche
solo per un secondo, e a verificare di persona.
Tutto questo non vuole suggerire che la consapevolezza sia una
strategia fredda e senza sentimenti per voltare le spalle alla
profondità del dolore nei momenti di angoscia e di perdita, o nei
tempi lunghi che seguono. Perdita e angoscia, deprivazione e lutto,
ansia e disperazione, come anche tutta la gioia che ci è disponibile
stanno al nocciolo stesso della nostra umanità; ci chiamano a
incontrarli a viso aperto, quando sorgono, e a conoscerli e accettarli
quando ci sono. Quello che occorre cercare di fare, ciò che la
consapevolezza rappresenta, è precisamente volgersi verso i
sentimenti, abbracciarli, invece di voltare loro le spalle o negarli o
reprimerli. La consapevolezza magari non ridurrà l’enormità del nostro
dolore proprio in tutte le circostanze, però ci fornisce un canestro
più ampio nel quale contenere con tenerezza e conoscere intimamente la
nostra sofferenza in tutte le circostanze, e questo, si scopre, ha un
potere trasformante e può fare la differenza tra restare all’infinito
prigionieri nel dolore e nella sofferenza ed essere liberi dalla
sofferenza stessa, sia pure non immuni dalle varie forme di dolore a
cui, in quanto esseri umani, siamo inesorabilmente soggetti.
Naturalmente abbondano le occasioni, grandine piccole, di portare
consapevolezza a tutto ciò che accade nella nostra vita quotidiana, e
così la nostra vita nel suo insieme può diventare un unico
incomparabile campo per la coltivazione della consapevolezza. Il fatto
di accogliere la sfida di risvegliarci alla nostra vita e di lasciarci
trasformare dallo stato di risveglio è di per sé una forma di yoga, lo
yoga della vita quotidiana, applicabile in ogni singolo momento: al
lavoro, nelle relazioni, allevando i figli se si è genitori, nelle1
relazioni con i genitori, che siano vivi o morti, nella relazione con
i nostri pensieri sul passato e sul futuro, nella relazione con il
nostro corpo. Possiamo portare consapevolezza a tutto ciò che avviene,
ai momenti di conflitto e ai momenti di armonia e ai momenti così
neutri da passare inosservati. In ogni momento potete verificare da
voi stessi se, portandovi sopra la consapevolezza, il mondo si apre o
no in risposta al vostro gesto di consapevolezza, per dirla con la
bella frase della poetessa Mary Oliver se « si offre alla vostra
immaginazione », se vi fornisce o no modi nuovi e più ampi di vedere e
di essere con ciò che è; questo forse vi può liberare dai pericoli di
una visione parziale, e anche dall’attaccamento solitamente forte che
poneste nutrire per qualunque modo parziale di vedere le cose,
semplicemente perché è il vostro e quindi siete parziali nei suoi
riguardi. Come sempre affascinato da quella storia di me stesso che
vado creando di continuo, senza volerlo, per pura abitudine, anche se
in preda a grande dolore ho un’opportunità, ho infinite opportunità di
vederla svolgersi e fermarmi, smettere di alimentarla (se necessario
formulando una diffida formale), girare quella chiave che era sempre
stata nella toppa e uscire dalla prigione e incontrare il mondo in
modi nuovi e più espansivi e più appropriati, abbracciandolo
pienamente invece di contrarmi, di arretrare o di voltargli le spalle.
Questa disponibilità ad abbracciare ciò che è e poi di utilizzarlo per
lavorarci sopra richiede grande coraggio e molta presenza mentale.
Dunque in ogni momento, qualunque cosa accada, possiamo sempre
verificare da noi stessi. La consapevolezza si preoccupa? La
consapevolezza si perde nella rabbia, nell’avidità, nel dolore? O non
si limita piuttosto, quand’è portata su ogni momento, anche il più
minuscolo, a conoscere e, nella conoscenza, a liberarci? Verificatelo.
La mia esperienza è che la consapevolezza ci restituisce a noi stessi.
E l’unica forza che conosco a esserne in grado. È la quintessenza
dell’intelligenza fisica, emotiva e morale. Sembra che abbia bisogno
di essere evocata, ma in realtà è sempre disponibile, tutto il tempo,
deve solo essere scoperta (alla lettera: dis-coperta), ritrovata,
abbracciata, abitata. È qui che entra in causa il processo di
raffinazione, nel ricordarsi e poi nel lasciar andare e nel lasciar
essere,.nel rimanervi tranquilli, per dirla con le parole del grande
poeta giapponese Ryokan: «Solo questo, solo questo». Questo è ciò che
si intende con pratica di consapevolezza.
Come abbiamo visto, la sfida è duplice; primo, portare consapevolezza
nei momenti che viviamo al meglio delle nostre possibilità, anche se
in modo sottile o transitorio. Secondo, mantenere la nostra
consapevolezza e arrivare a conoscerla meglio e a vivete nella
sua-interezza più ampia che non conosce riduzioni. Quando lo facciamo
vediamo che i pensieri si liberano, anche nel mezzo del dispiacere,
come quando allunghiamo un dito e tocchiamo una bolla di sapone: puff,
è andata. Vediamo il dolore che si libera da solo, anche quando
facciamo qualcosa per alleviarlo negli altri, e ci fermiamo
nell’intensità di ciò che è.
In questa libertà possiamo andare incontro a qualsiasi cosa con
apertura maggiore; possiamo affrontare le sfide che ci troviamo
davanti con maggiore solidità, pazienza e chiarezza. Viviamo già in
una realtà più ampia, una volta che riusciamo ad abbracciare il dolore
e il dispiacere che sorgono con una presenza amorevole e saggia, con
la consapevolezza, con gesti spontanei di gentilezza e di rispetto per
noi stessii e per gli altriche non vanno più perduti cadendo nel
baratro immaginario tra il « dentro di noi » e il « fuori di noi ».
In pratica, per agire così nel corso di tutt’una vita di solito
occorre una cornice d’insieme che ci dia un punto di partenza;
occorrono ricette da provare, mappe da seguire, saggi segnali di
richiamo alla memoria a cui ricorrere, tutto quel che di utile ci può
venire dall’esperienza e dalla conoscenza che altri si sono
conquistati a caro prezzo. E questo include anche, quando necessario,
svariate vie d’accesso alla consapevolezza e alla libertà che sono a
nostra disposizione in ogni momento e che pure, paradossalmente, alle
volte ci sembrano lontanissime e al di là della nostra comprensione.
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