La vera Saggezza – domande – Osho

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La vera Saggezza

di Osho

Tratto da: “Osho – La vera Saggezza” Bompiani Editori

DOMANDE:

1

Come mai ciò che dici mi sembra sempre così familiare? Sono cose già
sentite altre volte nei contesti più diversi, ma per me sono sempre
fonte di meravigliose rivelazioni.

2

Le parole “introverso” e “introspezione” hanno una connota­zione
morbosa. In che modo differiscono da una consapevo­lezza di sé e da un
volgersi all’interno che siano sani?

3

Perché ho paura degli altri?

4

Sono confuso a proposito della differenza tra individualità e
personalità. Che cosa rimarrà dell’individuo, se pure rimarrà
qualcosa, dopo la scomparsa dell’ego?

5

Non c’è niente che io desideri con maggiore chiarezza
dell’av­vicinarmi al tuo tempio interiore. È possibile mentre sono
an­cora preso dai miei impegni? O è forse un requisito indispen­sabile
quello di lasciar cadere tutte le attività e gli interessi che non
siano collegati con te e il tuo lavoro?

6

Hai detto che il giusto rapporto che la mente deve avere con la
coscienza è quello di un servitore. Come deve essere tratta­to il
servitore? Non dev’essere maltrattato? E come posso ac­corgermi se
questo accade?

7

Ascoltando le tue parole: “Sembra soltanto, ma in realtà in nessun
luogo il cielo tocca la Terra”, mi sono sentito avvolto dalla profonda
sensazione che il cielo stia toccando la Terra proprio attraverso di
me, che io sono l’orizzonte dovunque io sia. Questa sensazione, come
un nido d’ape privo di sostanza, solo il cielo aperto a penetrarne
ogni poro, è rimasta in me co­me una meditazione costante.

Esservi immerso mi dà un senso di leggerezza e di beatitudi­ne. Per
favore commenta.

8

Tutto ciò che accade nella propria vita, in particolare il livello di
evoluzione spirituale, è predestinato? Oppure la vita è una serie di
sfide e possibilità senza che si sappia nulla sull’esito?

9

Nell’antica mitologia ebraica la prima persona sulla Terra è Lilith,
non Adamo. Perché questa versione è andata perduta? Ce ne puoi
parlare?

Come mai ciò che dici mi sembra sempre così familiare? Sono cose già
sentite altre volte nei contesti più diversi, ma per me sono sempre
fonte di meravigliose rivelazioni.

Questa è la qualità della verità: non è né vecchia né nuo­va; o
meglio, è entrambe le cose. La verità è eterna.

In un certo senso l’hai ascoltata milioni di volte, in molti contesti.
Forse non l’hai compresa, ma l’hai udita e ne porti in te la memoria.
Non è la prima volta che sei qui, su questa Terra. All’epoca del
Buddha, all’epoca di Gesù, all’epoca di Krishna c’eri sicuramente.
L’hai udita, ma non l’hai compre­sa, ecco perché sei di nuovo qui. Il
giorno in cui comprendi, scompari. Comprendere è una grande morte,
morte da que­sto mondo di fantasia, di sogno, d’illusione.

Hai ragione. L’impressione che provi di averla sentita in precedenza,
è giusta. Ti sembra familiare, eppure rivela mol­to. Ti sembra
familiare perché è familiare. Ciononostante, ri­vela nuove dimensioni,
perché una nuova comprensione sta cominciando a farsi strada in te.

La verità non è né vecchia né nuova, perché non appar­tiene al tempo.
Tutto ciò che appartiene al tempo sarà inevi­tabilmente vecchio o
nuovo. Ciò che oggi è nuovo, domani sarà vecchio.

Ciò che oggi è vecchio, ieri era nuovo. Nuovo e vecchio sono due
aspetti del tempo. La verità è senza tempo, la verità è assenza di
tempo. È sempre presente: antica come l’esi­stenza e nuova come questo
istante.

Se comprendi, la familiarità porta, nascosti alle sue spal­le, misteri
profondi; perciò non lasciarti ingannare da essa.

Avrai forse ascoltato le parole ma non hai compreso la verità,

altrimenti ne saresti stato trasformato. La trasformazione è una
funzione della verità. Gesù dice: “La verità libera”. Nel

momento in cui comprendi, sei libero; successivamente, non resta
nient’altro da fare. La comprensione stessa è sufficien­te, è
liberazione.

Ascolta, ma non paragonare; ascolta, ma non far interve­nire la
memoria. Altrimenti la tua memoria e la tua sensazio­ne che si tratti
di qualcosa di familiare diventeranno una fon­te di distrazione.

Nel momento in cui la tua mente dice che si tratta di una verità
familiare, ti sta dicendo che non c’è niente di nuovo da capire. C’è
moltissimo, ci sono un’infinità di cose da capire!

Non guardare attraverso la memoria e non paragonare, guarda
direttamente, guarda con immediatezza, guarda sen­za memoria.

Fa’ che ci sia una chiarezza di percezione: non paragona­re con nulla
di ciò che hai udito prima. Ripeto, potrai averlo udito in precedenza,
ma non l’hai compreso. A che serve dunque averlo udito? E se ti lasci
troppo prendere da que­st’idea di familiarità, ancora una volta non
coglierai il punto. E di nuovo, ogni volta che l’ascolterai, nascerà
l’idea che si tratti di una cosa familiare.

Il paragonare è una vera malattia, ed è d’ostacolo, non d’aiuto.
Perciò, anche quando provi un senso di familiarità, senti che al tempo
stesso stanno sbocciando i fiori di una nuova comprensione. Essi
sbocciano malgrado tu stia para­gonando.

Se il confronto viene lasciato cadere completamente, sei libero. Se
sei in grado di ascoltarmi nel modo giusto, non c’è altro da fare. Un
istante d’ascolto totale sarà sufficiente: sarai risvegliato. E un
istante è sufficiente, perché diventa la porta verso l’eternità.

Le parole “introverso” e “introspezione” hanno una conno­tazione
morbosa. In che modo differiscono da una consapevo­lezza di sé e da un
volgersi all’interno che siano sani?

Nella consapevolezza di sé non c’è un interno e un ester­no, non ti
volgi all’interno. Nella consapevolezza di sé l’in­terno e l’esterno
sono scomparsi: esiste soltanto l’uno. Inter­no ed esterno sono frutto
della divisione della mente, della divisione della mente analitica.
Cosa è all’interno e cosa è al­l’esterno? Qual è la linea di
demarcazione?

Quando ti dico: “Volgiti all’interno”, sto solo usando il tuo
linguaggio per aiutarti, perché se io dicessi: “Volgiti oltre
l’interno e l’esterno”, ti sarebbe praticamente impossibile ca­pire
cosa voglio dire. Ma questo è precisamente ciò che vo­glio dire.

Consapevolezza di sé è una totale unità di interno ed esterno, di ciò
che è più in alto e di ciò che è più in basso, della valle e della
vetta. Tutte le dualità si incontrano e si fon­dono. È vero,
“introverso” ha una connotazione morbosa, è una morbosità. Una persona
introversa è una persona che non è capace di muoversi verso l’esterno.
È confinata, chiu­sa, un fiore che non riesce ad aprirsi, una canzone
che non riesce a espandersi, un fiume che non riesce a scorrere verso
il mare aperto. L’introverso è morboso. Non riesce a relazio­narsi, ad
amare, a muoversi nel mondo, a espandersi, è privo di vastità.
Confinato… chiuso… come un seme, non assomi­glia a un albero.

Ma ricorda, anche l’estroverso è morboso. Nella psicolo­gia
occidentale l’introverso è morboso, mentre l’estroverso è ritenuto
sano. Ciò dimostra soltanto che questo tipo di pen­siero psicologico è
stato sviluppato da estroversi, nient’altro. Pensano di essere sani e
che l’opposto sia segno di malattia.

In Oriente c’è una scuola opposta. La psicologia orienta­le pensa che
l’introverso sia sano e l’estroverso malato. Ma per me entrambe le
condizioni sono morbose, malate, perché entrambe sono confinate in una
direzione e sono incapaci di muoversi verso quella opposta.

Per me salute vuol dire la capacità di muoversi in tutte le direzioni.
Essere sani vuol dire essere interi. La parola “salu‑

te” (health in inglese) viene dalla stessa radice della parola
“intero”(whole). Essere sani vuol dire essere interi, integri; essere
interi vuol dire essere tutto contemporaneamente. Perciò essere sani è
la dimensione in cui gli opposti si incon­trano e non sono più
opposti, sono trasformati in comple­mentari.

Una persona sana quando desidera muoversi verso l’in­terno, lo fa, non
c’è alcun ostacolo. Non ha una coazione a essere estroversa, e
viceversa. Se sei introverso in modo coat­to, quando cominci a
muoverti verso l’esterno, incontri degli ostacoli. Devi lottare, non
riesci a fluire, devi forzare. Allora sei malato.

Una persona sana, un essere sano, un’energia sana sono sempre pronti a
muoversi in tutte le direzioni. Non c’è una coazione a essere in un
luogo in particolare. Un’energia sana è un’energia in continuo fluire.
Quando vai nel mondo, ti muovi verso l’esterno. Nessuno dentro di te
condanna: “Muoversi verso l’esterno è mondano, materialista”. Nessu­no
condanna. Quando vai al tempio, ti muovi verso l’inter­no. Nessuno
condanna: “Muoversi verso l’interno è morbo­so. È per gente sciocca,
cosiddetta spirituale, sempliciotta. In questo modo perdi tutto,
perché le ricchezze sono all’ester­no. Dove potrai arrivare chiudendo
gli occhi e guardandoti l’ombelico? Ti stai comportando come uno
sciocco”.

In Occidente quando si vuole condannare l’Oriente, le persone vengono
definite “mangiatori di loto” o “gente che si guarda l’ombelico”. Non
si può vivere soltanto mangiando fiori di loto, quella gente
dev’essere matta. E quando in Oriente si vuole condannare l’Occidente,
le persone sono chiamate “gente fissata con il denaro”,
“materialisti”, “mon­dani”.

Ma entrambe queste psicologie sono malate, morbose. Una vera
psicologia deve ancora nascere… una psicologia della persona nella
sua interezza, una psicologia del fluire, dell’assenza di coazione, di
ossessione.

Un uomo dovrebbe essere capace di muoversi verso l’interno e verso
l’esterno, come si è capaci di entrare e di usci­re dalla propria
casa. Quando il tempo è bello, esci. Ti siedi in giardino, sotto un
albero. Quando il sole si alza e fa trop­po caldo, cerchi un riparo,
entri in casa. Di giorno esci, di notte rientri.

È necessario un profondo equilibrio. E per un profondo equilibrio, gli
opposti non dovrebbero essere considerati op­posti, poiché non lo
sono; sono complementari, yin e yang, uomo e donna, giorno e notte,
estate e inverno, samsara e nirvana.

Ricorda, io do un’importanza fondamentale all’incontro degli opposti.
In quel caso non sei confinato, non hai limitisei illimitato e per te
non esistono confini. E questo è anche ciò su cui mette l’accento il
hasidismo.

Un saggio hasidico è mondano come chiunque altro, e un saggio hasidico
è spirituale come chiunque altro. Egli vive nel mondo, ma non
appartiene al mondo. Si muove nel mon­do ma senza esserne toccato.
Egli è al di là. È questa l’autentica religione.

La religione che tu chiami religione non è autentica, è so­lo in
opposizione al mondo. È una scelta. Ecco perché se sce­gli quel tipo
di religione forse potrai cambiare, ma fonda­mentalmente rimarrai lo
stesso. Il cambiamento sarà soltan­to in superficie, sarà come se ti
fossi spostato da una prigio­ne a un’altra. Una prigione è da questo
lato della strada, l’al­tra è dall’altra parte. Vivi in una prigione e
pensi all’altra co­me se lì ci fosse la libertà. È solo sul lato
opposto: lì le cose sono differenti, ma è solo un altro tipo di
confinamento. Tra queste due prigioni c’è la strada aperta: la via
delle nuvole

bianche. Esattamente al centro, tra i due opposti, è la via. Per me un
estroverso è morboso; anche un introverso è morboso. Quando non sei
nessuno dei due, sei sano. Ricorda la parola “fluire”. Più l’energia
fluisce, più è sa­na. Puoi raggiungere la vetta più elevata e puoi
scendere nel­la più infima realtà… e non c’è alcun problema. Puoi
meditare e puoi amare.

Meditazione è andare all’interno, amare è andare all’e­sterno.
Meditazione è raggiungere il proprio essere, l’amore è uno sforzo per
raggiungere l’essere di un’altra persona.

Ci sono religioni che affermano che se mediti, non puoi amare. Ci sono
religioni che affermano che se ami, come puoi meditare?

Il cristianesimo è una religione estroversa. L’accento è sul servire
la gente, l’amore, la compassione. L’accento non è sul­la meditazione;
perché se mediti, sembrerà una cosa egoista: il mondo è immerso in una
tale miseria, la gente è affamata, malata, moribonda, e tu stai
meditando… la cosa sembra troppo crudele. Qualcuno sta morendo sulla
strada, un men­dicante, e tu stai seduto nel tuo tempio a meditare.
Sembra egoista. “Getta via la meditazione”, dice la religione
estro­versa. “Va’ e aiuta la gente, questo è l’unico modo per
rag­giungere Dio.”

Uno dei più grandi poeti indiani, Rabindranath Tagore, fu molto
colpito dal cristianesimo. Ha scritto una poesia in cui dice: “Non
cercarmi nel tempio. Io non sono lì. Se real­mente vuoi cercarmi va’
sulla strada, dove il tagliapietre sta martellando o dove il contadino
sta arando. Io non sono nei templi. Vieni nel mondo dove l’operaio sta
lavorando e il mendicante mendica. Lì sono io”. Questa è una religione
estroversa, una reazione contro troppa introversione.

In India sono esistite religioni introverse. Esse dicono che il mondo
è maya, illusione. I mendicanti sono sempre morti e continueranno a
morire, e tu non puoi cambiare le cose. Muoviti all’interno, chiudi
gli occhi. Nel centro più profon­do del tuo essere è Dio. All’esterno
esiste soltanto un mondo di sogno, non sprecarci il tuo tempo: la
realtà è all’interno.

Per me, entrambe le posizioni sono morbose. Una parte è sempre
morbosa, soltanto il tutto è sano. Perciò io ti dico: Dio è
dappertutto. Nel tempio quando chiudi gli occhi, Dio è lì. E anche
sulla strada, dove c’è il tagliapietre che lavora duramente sotto il
sole cocente: Dio è anche lì. Solamente e invariabilmente Dio è. Dio è
la totalità. Tuttavia la mente cer­ca sempre di scegliere una parte.

Ho sentito raccontare… probabilmente conoscete un fa­moso
cane-attore, Rin Tin Tin. Al suo allenatore fu chiesto di descrivere
Rin Tin Tin. Egli cercò di farlo, ma il cane aveva qualità talmente
meravigliose, qualità così indefinibili, che trovò difficile
descriverle. Alla fine, però, l’allenatore riuscì a trovare una
definizione; disse: “Rin Tin Tin è Dio nella for­ma di un cane”.

“Dio” (God in inglese) e “cane” (dog): le due parole han­no un
equilibrio simile. “Dio” potrebbe essere l’introversio­ne
dell’energia, “cane” potrebbe essere l’estroversione del­l’energia; ma
l’energia è la stessa, perché esiste soltanto un’e­nergia. Il mondo è
un’unità, è la mente a creare gli opposti.

Un giorno fu chiesto a un grande monaco zen, e chi do­mandava doveva
avere una mente molto scettica: “Continui a insistere che tutto è Dio
e tutto è il Buddha. Vuoi dire che anche un cane è un Buddha?” Rinzai
rise e non rispose. Saltò su, invece, e cominciò ad abbaiare. È
esattamente questa la risposta giusta: un Buddha che abbaia come un
cane. Egli mostrò il fatto invece di parlarne.

Sei morboso, se sei confinato a qualcosa, qualsiasi sia il suo nome.
Sei sano, se fluisci in tutte le direzioni contempo­raneamente. Se gli
opposti si incontrano in te, diventi perfet­to. Ecco perché un uomo
perfetto non può mai essere coe­rente, deve essere contraddittorio,
perché in lui gli opposti si incontrano. Soltanto le persone comuni
possono essere coe­renti. Un vero saggio non è mai coerente, non può
esserlo, perché dovrà muoversi in tutte le direzioni
contemporanea­mente.

Walt Whitman dice: “Io sono vasto. Ho in me delle con­traddizioni”.
Ebbene, che dire di Dio? È vasto! Egli contiene tutte le
contraddizioni. Egli è nel più umile ed è nel più elevato. Nel più
umile esiste come il più umile, nel più elevato esiste come il più
elevato. Egli è nel sesso ed è nel sa­madhi. Egli è in questo mondo
come materia ed è in quel mondo come non-materia. Egli è il peccatore
ed è il saggio. Un autentico saggio è sempre contraddittorio: è questo
che rende così difficile capirlo.

È facilissimo capire i vostri santi mediocri; sono banali. In loro non
esistono contraddizioni: sono sempre gli stessi. Puoi fidarti, puoi
prevedere. Sono come una linea diritta, senza complessità. Sono
semplici e, in un certo senso, sempliciotti. Non hanno la bellezza
della complessità.

Un vero saggio è molto complesso. Egli ha in sé delle con­traddizioni,
ed è per questo che è stato sempre così difficile riconoscerlo. Ti
sfugge: lo afferri da una direzione e si sta spostando nell’altra.

Non puoi vedere perché i tuoi occhi sono morbosi. Puoi vedere soltanto
una parte. Puoi vedere un uomo come un peccatore, puoi vedere un uomo
come un santo, ma è diffi­cile comprendere un uomo come Gurdjieff che
è entrambe le cose. In lui il peccatore e il saggio si incontrano. In
lui, per­sino il peccato è trasformato. In lui, persino íl saggio è
tra­sformato e diventa un essere mondano. Per comprendere Gurdjieff
dovrai lasciar cadere tutte le tue categorie, tutte le tue etichette
di peccatori e santi, di questo e di quello. Un au­tentico saggio è
divino. Dio è contraddittorio.

È questo che Krishna dice nella Gita: “Non ti preoccupa­re, perché io
sono l’uccisore e l’ucciso. Non ti preoccupare, perché io sono in
entrambi. L’uomo che è ucciso, sono io; e anche l’uomo che ucciderà
sono io. Le mie due mani, la de­stra e la sinistra, in un gioco a
nascondino”.

Tutte le tue concezioni di Dio sono estremamente pove­re. I teologi
continuano a cercare di spiegare ma non ci rie­scono mai perché la
contraddizione crea il problema.

Se dici: “Dio è giusto”, non potrai dire: “Dio è compas­sione”. Questo
è il guaio per i teologi. Se Dío è giusto, non può esistere
compassione. Se Dio è compassione, non può essere giusto. Le due cose
non possono coesistere. Per mi­gliaia di anni i teologi hanno pensato
come fare. Dio sembra ingestibile, caotico.

Dio è entrambe le cose. Egli è compassionevole nella sua giustizia ed
è giusto nella sua compassione. Ma in quel caso è assurdo: come può un
giudice essere entrambe le cose? Se il giudice prova compassione,
vorrebbe perdonare. Se è giu­sto, il criminale deve essere punito,
punito secondo la legge, senza alcuna compassione. Perciò egli deve
rimanere indiffe­rente, la giustizia deve essere neutrale. La
compassione è amore; non può essere neutrale.

Dio è entrambe le cose. Lasciate che ve lo dica: Dio è un legame, Dio
è libertà; è entrambe le cose. Ecco perché dico: “Non avere fretta”.
Anche nella realtà mondana, Dio esiste. Anche in questo mondo, così
privo di Dio, Egli esiste; per­ché qualcosa di diverso è impossibile.

Allorché riesci a rendertene conto, nel tuo essere scende un silenzio
talmente profondo… Perché quando riesci a scorgere le contraddizioni
che si incontrano in Dio, subito anche le contraddizioni dentro di te
si incontrano e dissolvo­no. Allora la libertà diventa la tua natura,
allora ti muovi li­beramente, diventi libertà, allora non c’è più
alcuna meta. L’unica meta è gioire qui-e-ora. Non c’è nulla da dover
raggiungere, perché tutte le conquiste sono contro qualcosa. Devi
lasciare questo e ottenere quello, devi lasciar cadere questo e fare
quello. Tutte le conquiste, le ambizioni, le me­te, equivalgono a
scegliere qualcosa contro qualcos’altro. E Dio è entrambe le cose.

Ecco perché Krishnamurti continua a insistere che l’uni­co modo per
raggiungere la verità è essere privi di scelta. Sce­gli, e sei
diventato morboso. Non scegliere, fluttua senza scelte. Non essere
colui che sceglie. Semplicemente osserva e fluisci, e sei libertà.
Questo è moksha: assoluta libertà.

Perché ho paura degli altri?

Solo se hai paura di te stesso, avrai paura degli altri. Se ami te
stesso, ami gli altri. Se odi te stesso, odi gli altri. Per­ché nella
relazione con gli altri ci sei solo tu rispecchiato: l’al­tro non è
che uno specchio.

Quindi, qualsiasi cosa accada in una relazione, sii sempre consapevole
che dev’essere già accaduta prima, dentro di te. Perché la relazione
può soltanto amplificare, non creare: può soltanto mostrare e
manifestare.

Se ami te stesso, ami gli altri. Se hai paura di te stesso, hai paura
degli altri, perché venendo in contatto con gli altri co­mincerai a
manifestare il tuo essere.

Siete stati condizionati, sia in Oriente che in Occidente, dovunque:
cristiani, hindu, musulmani, giainisti, siete stati tutti condizionati
a odiare voi stessi. Vi è stato continuamen­te insegnato che amare se
stessi è male: “Ama gli altri. Odia te stesso”.

Questo è pretendere una cosa assurda, impossibile. Se non ami te
stesso, che sei il più vicino a te, come potrai ama­re qualcun altro?
Nessuno ama se stesso… eppure cerca di amare gli altri. In questo
caso il tuo amore non sarà altro che odio… mascherato, nascosto.

Io ti dico di amare prima di tutto te stesso, perché soltan­to se
l’amore accade dentro di te, potrà anche allargarsi agli altri. È come
gettare un sasso in un lago silenzioso. Il sasso cade, affiorano delle
increspature che poi si allargano pro­gressivamente verso la riva
opposta: si allargano, si amplifi­cano sempre di più, ma il sasso deve
essere caduto, prima di tutto, dentro di te. L’amore deve esserti
accaduto. Devi ama­re te stesso; questo è un requisito fondamentale,
che è assen­te in tutto il mondo. Per questo il mondo è in preda a una
ta­le angoscia. Tutti cercano di amare, ma è impossibile amare, ne
mancano le basi, i presupposti. Ama te stesso e poi, im­provvisamente,
ti troverai riflesso ovunque.

Sei un essere umano, e tutti gli altri esseri umani sono proprio come
te. Cambiano soltanto le forme, i nomi, ma la realtà è la stessa. Va’
un poco oltre, e anche gli animali sono come te. Le forme differiscono
un poco di più, ma l’essere? A quel punto anche gli alberi diventano
come te. Non fer­meni va’ ancora oltre; vedrai che le increspature si
allargano: allora persino le rocce diventano come te, perché anch’esse
esistono come te. L’esistenza è la stessa, è similare.

Questo è l’unico modo per amare Dio: comincia con l’a­mare te stesso e
lascia che l’amore si allarghi. Non permette­re che ci siano limiti.
Procedi e va’ oltre, ancora oltre… sino all’infinito. Ecco cos’è la
preghiera, ecco cos’è la devozione. Ma se trascuri il primo punto, se
il sasso non è stato gettato, continui ad aspettare e osservare, e le
increspature non appaiono mai…

Non può partire da nessun altro luogo, può partire sol­tanto dal tuo
cuore. Perché l’amore è un’increspatura nel cuore, una vibrazione nel
cuore, una pulsazione, una condi­visione di ciò che sei, di qualsiasi
cosa tu sia; un intenso, profondo desiderio di raggiungere l’altro, di
condividere il tuo essere e la tua gioia e la tua canzone.

Ma il tuo cuore è come morto, congelato, e ti è stato insegnato a
condannare te stesso; ti è stato detto che sei brut­to, cattivo, che
questo è peccato: “Non fare questo, sei col­pevole”. Non sei capace di
accettare te stesso, come potrai accettare qualcun altro?

È necessaria una profonda accettazione. Qualunque cosa e chiunque tu
sia, è necessaria una profonda accettazione. Non soltanto
accettazione, ma una gioia dell’Io sono”. “Io”, “Qui”, “Ora”, tutti e
tre questi punti, il triangolo dell’essere, dovrebbero essere colmi di
gioia. Non dovresti chiedere nient’altro. Non ci dovrebbe essere alcun
“dovrebbe”. La­scia cadere tutti i “dover essere” e il mondo intero è
qualco­sa di diverso. In questo preciso istante, pensi continuamen­te:
“Dovrei essere questo e quello. Allora potrei amare ed es­sere amato”.
Il tuo Dio non è nient’altro che un grande giu­dice che ti guarda dai
cieli dicendoti: “Comportati bene”. Questo ti comunica un sentimento
negativo nei tuoi confronti.

A poco a poco cominci ad aver paura, perché ti stai reprimendo. Se
entri in relazione con qualcuno, la tua repres­sione potrebbe
infrangersi e tutto potrebbe tornare ad affio­rare in superficie. E
poi? Dunque hai paura, paura di entra­re in contatto con qualsiasi
cosa, perciò rimani nascosto den­tro di te. Nessuno sa quanto sei
brutto, nessuno sa quanto sei arrabbiato, nessuno sa quanto sei pieno
di odio. Nessuno sa della tua gelosia, della tua possessività, della
tua invidia. Nes­suno sa. Ti crei intorno un’armatura, vivi dentro di
te. Non hai mai alcun contatto vero; in questo modo puoi gestire la
tua immagine. Se avvenisse un contatto profondo l’immagi­ne sarebbe
destinata a infrangersi. La realtà, un vero incon­tro, la manderebbero
in mille pezzi… è questa la paura.

Tu chiedi: Perché ho paura degli altri?

Hai paura perché hai paura di te stesso. Dunque dimen­tica quella
paura, lascia perdere il senso di colpa che è stato creato in te.

I vostri politici, i preti, i genitori sono tutti specialisti nel
creare sensi di colpa, perché questo è il solo modo in cui puoi essere
controllato e manipolato. Un trucco molto semplice ma astuto per
manipolarti. Ti hanno condannato, perché se fossi accettato e non
condannato, se fossi amato, apprezzato e ti fosse trasmesso da tutte
le parti che vai bene così come sei, sarebbe difficile controllarti.
Come controllare una per­sona che è assolutamente a posto? Il problema
non si pone nemmeno.

Perciò continuano a dire — i preti, i politici, i genitori ­che non
vai bene. Una volta che hanno creato la sensazione che non vai bene,
diventano i dittatori, devono dettare la di­sciplina: “Ora questo è il
modo in cui dovresti comportar­ti…” Prima ti creano la sensazione
che non vai bene; poi ti danno le indicazioni su come dovresti essere.

Ora sei qui con me, coinvolto in un esperimento total­mente diverso.
Io non ho alcuna condanna in me, non creo in te alcun senso di colpa.
Non dico: “Questo è peccato”. Non dico che ti amerò soltanto se
soddisfi determinate con­dizioni. Io ti amo così come sei, perché
questo è il solo mo­do in cui una persona può essere amata. E ti
accetto così co­me sei, perché so che questo è il solo modo in cui
puoi esse­re. È così che il Tutto ha voluto che tu fossi. È così che
il Tut­to ha destinato che fosse.

Rilassati, e accetta, e gioisci, e la trasformazione avviene. Non
arriva grazie a degli sforzi, arriva accettando te stesso con un amore
e un’estasi così profondi che non vi è alcuna condizione, conscia,
inconscia, conosciuta, sconosciuta.

Accettazione incondizionata… e improvvisamente ti ac­corgi che non
hai paura della gente. Anzi, ne trai piacere. Le persone sono
meravigliose, sono tutte incarnazioni di Dio. Magari dei Rin Tin Tin,
ma pur sempre incarnazioni di Dio. Le ami tutte, e se le ami porti il
loro Dio alla superficie.

Ogni volta che ami una persona, la sua divinità riaffiora. Succede
perché, quando qualcuno ti ama, come fai a mo­strare la tua bruttura?
Semplicemente il tuo volto più bello emerge e, a poco a poco, il tuo
volto sgradevole scompare.

L’amore è alchemico. Se ami te stesso la parte brutta di te scompare,
viene assorbita, è trasformata. L’energia viene li­berata da quella
forma. Tutto ha in sé energia. La tua rabbia comporta molta energia,
anche nella tua paura c’è molta energia, paralizzata e soffocata. Se
la paura scompare, la for­ma cade, l’energia viene liberata. La rabbia
scompare… altra energia viene liberata. La gelosia scompare… di
nuovo altra energia. Tutte le cose che vengono chiamate “peccato”
sem­plicemente scompaiono. Non dico che le devi cambiare, de­vi amare
il tuo essere ed esse cambiano. Il cambiamento è un prodotto
collaterale, una conseguenza. In questo modo, vie­ne a essere
rilasciata una tremenda energia… cominci a flut­tuare sempre più in
alto, più in alto, ancora più in alto, met­ti le ali.

Ama te stesso. Questo dovrebbe essere il comandamento fondamentale.
Ama te stesso. Tutto il resto seguirà, ma que­sto è il fondamento.

Sono confuso a proposito della differenza tra individualità e
personalità. Che cosa rimarrà dell’individuo, se pure rimarrà
qualcosa, dopo la scomparsa dell’ego?

L’individualità è la tua essenza. Arrivi con essa, sei nato con essa.
La personalità è presa in prestito. Ti viene data dal­la società. È
come un vestito, un vestito impalpabile.

Un bambino nasce nudo, poi nascondiamo la sua nudità: gli diamo dei
vestiti. Un bambino nasce con un’essenza, un’in­dividualità. Noi
nascondiamo anche questa, perché una nu­da individualità è ribelle,
non conformista.

L’individualità è esattamente ciò che significa: è indivi­duale. La
personalità non è individuale, è sociale. La società vuole che abbiate
delle personalità, non delle individualità, perché le vostre
individualità creeranno conflitti. La società nasconde la tua
individualità e ti dà una personalità.

La personalità è una cosa appresa. La parola “persona­lità” deriva da
persona, una parola latina che significa ma­schera. Nei drammi greci e
latini gli attori portavano delle maschere per nascondere il loro vero
volto e mostrarne un al­tro. Da persona deriva la parola personalità.
È un volto che indossi, non è il tuo volto originale.

Quando la personalità scompare, non avere paura. Per la prima volta
sei diventato autentico, per la prima volta diven­ti reale, per la
prima volta tocchi l’essenza. L’essenza in India è stata chiamata
atma, l’anima.

L’ego è il centro della personalità e Dio è il centro dell’es­senza.
Ecco perché tanta insistenza, da ogni parte, sul fatto che l’ego deve
essere lasciato cadere. Perché devi sapere ciò che sei, non ciò che si
vuole che tu sia.

La personalità è falsa, è la più grande bugia. L’intera so­cietà
dipende dalla personalità. Lo stato, la chiesa, le orga­nizzazioni, le
istituzioni, sono tutte bugie. La psicologia oc­cidentale continua a
occuparsi troppo della personalità. Ec­co perché l’intera psicologia
occidentale è basata su una bu­gia di fondo. In Oriente pensiamo
all’essenza, non alla per­sonalità. Quello che hai portato con te,
quello che è la tua na­tura intrinseca, swabhava, quello che è la tua
essenza intrin­seca: quello deve essere conosciuto. E quello deve
essere vis­suto. La personalità è ciò che non sei, ma cerchi di
mostrare di essere. La personalità è ciò che devi usare come
strumen­to utile, allorché ti muovi nella società.

Stai camminando, stai facendo una passeggiata mattutina. Qualcuno ti
passa vicino. Sorridi. Il sorriso può provenire dall’essenza o dalla
personalità. Il sorriso può nascere da un autentico piacere nel vedere
quella persona, nel vedere Dio in quella persona, nel vedere il cuore,
l’amore, il senzaforma che si è incarnato in quella persona.

Ecco perché in India non usiamo mai frasi come “buon giorno”. Non
significano molto. Diciamo: “Rama, Rama…” Ci salutiamo usando il
nome di Dio. È un atto simbolico: “Vedo Dio in te”. “Rama, Rama”
significa: “Vedo Rama in te. Benvenuto. Sono felice, benedetto, per
essere passato vicino a te”.

Se proviene dall’essenza, il sorriso si diffonde in tutto il tuo
essere. Provi un profondo benessere, ti senti benedetto perché
quest’uomo ti è passato accanto. L’uomo può essersi allontanato, ma la
benedizione rimane e indugia attorno a te come un profumo
impercettibile.

Ma può darsi che tu dica “buon giorno” perché quell’uo­mo è un
banchiere, o un leader politico, o può essere dan­noso o pericoloso
non salutare. E rischioso non dire “buon giorno”; per cui lo dici e
sorridi, metti un sorriso sul tuo vi­so. Questa è la persona, questa è
la personalità.

In ogni azione devi osservare. E faticoso, ma dev’essere fatto, non
c’è altro modo. In ogni azione devi osservare da dove proviene il tuo
gesto: dalla personalità o dall’essenza? Se proviene dall’essenza,
l’essenza crescerà, perché le darai un’opportunità di manifestarsi, di
esprimersi. Se proviene dalla personalità, questa si irrigidirà sempre
più, fino a soffo­care l’essenza completamente.

Osserva. Ricordati continuamente: “Da dove proviene il mio gesto?”

Se arrivi a casa e porti gelato e fiori a tua moglie, da dove viene il
regalo: dalla personalità o dall’essenza? Se viene dal­la personalità
è una bugia. Forse hai parlato con la moglie di un altro e ne sei
rimasto affascinato. Ti sei sentito attratto e in te è sorto un
desiderio; per cui hai cominciato a sentirti in colpa: “Questa non è
fedeltà. Portiamo a casa un gelato”.

Ricordati, tua moglie sospetterà immediatamente: di soli­to non porti
mai il gelato; ci dev’essere un motivo, devi na­scondere qualcosa.
Come mai sei così buono oggi? Così im­provvisamente, sei
inaspettatamente buono?

Non puoi ingannare le donne, hanno un istinto, un radar per le bugie.
Sentono immediatamente, perché non pensano. La loro percezione è
immediata e diretta: funzionano dal centro dell’emozione.

Ti senti in colpa, per cui porti dei regali a tua moglie. È un regalo
dalla personalità; è molto pericoloso.

Una situazione simile ma opposta può verificarsi. L’occa­sione
potrebbe essere la stessa. Stavi parlando con la moglie del tuo amico.
Ne sei rimasto affascinato; era bella, leggiadra e a causa della sua
bellezza, della sua grazia, hai pensato a tua moglie. Perché quando
ami qualcuno, le altre persone belle te lo ricordano, dev’essere così.
Se la donna era affascinante, ti ricorda immediatamente la tua amata.
Qualcosa della tua amata era lì… una parte, un gesto. Qualcosa di
tua moglie era presente. In quel momento amavi la donna perché ti
ri­cordava tua moglie. Vieni pervaso dal suo ricordo. Allora, se
porterai un gelato, dei fiori o altro; o forse niente, magari so­lo un
sorriso, questo nascerà dall’essenza, sarà una cosa to­talmente
diversa. La situazione potrà essere la stessa, ma ti puoi comportare
in modo completamente diverso.

La personalità è un tentativo di ingannare, l’essenza è un tentativo
di rivelare il tuo essere: qualsiasi esso sia, è ciò che è. Lascia che
si riveli, e sii aperto, vulnerabile.

Cerca di vivere dall’essenza e diventerai religioso. Cerca di vivere
dalla personalità e sarai l’uomo più irreligioso che esista.

Per me, religione non vuol dire un rituale. Non significa andare in
chiesa o al tempio. Non significa leggere la Bibbia o la Gita tutti i
giorni, no. Religione significa vivere dall’es­senza, essere
autentici, essere veri.

E ricorda, per quanto tu menta, non puoi mentire, perché una menzogna
è una menzogna. Nell’intimo del tuo essere sai che è una menzogna.
Potrai fingere di non saperlo, ma la tua finzione sarà lì e sarà
rivelatrice. Non puoi mentire a nes­suno perché chiunque abbia un po’
di occhi, un po’ di con­sapevolezza, un po’di intelligenza, sarà in
grado di penetrare in essa.

È accaduto. Una donna stava citando a giudizio Mulla Nasruddin:
affermava che il suo bambino era il figlio di Mul­la Nasruddin e il
Mulla stava violentemente negando davan­ti al giudice.

Finalmente il giudice chiese: “Dimmi solo una cosa: hai dormito con
questa donna, Nasruddin?”

Nasruddin rispose: “No, vostro onore… non ho chiuso occhio”.

Le tue bugie sono evidenti, perché la verità ha un suo mo­do di venire
a galla, trova il sistema. Alla fine la verità viene risaputa e avrai
sprecato tutta la vita mentendo.

Non sprecare un solo istante. Tutto il tempo sprecato con le bugie è
assolutamente sprecato. E con le bugie nessuno di­venta felice, è
impossibile. Le bugie possono dare solo un’immagine di felicità, non
possono darti la vera felicità.

La vera felicità è parte della verità. Gli hindu hanno defi­nito Dio
come “beatitudine”: sat-chit-anand. Anand, beatitu­dine, è l’ultima,
definitiva essenza.

Sii vero e sarai beato, sii autentico e sarai felice. E quella
felicità sarà priva di causa, sarà soltanto una componente del tuo
essere veritiero. La felicità è una funzione della verità. Dovunque
c’è la verità, la felicità entra in funzione, dovun­que non c’è la
verità, la felicità smette di funzionare e l’infe­licità entra in
funzione. Non avere paura.

Tu dici: Sono confuso a proposito della differenza tra indi­vidualità
e personalità. Che cosa rimarrà dell’individuo, se pu­re rimarrà
qualcosa, dopo la scomparsa dell’ego?

In realtà, a causa dell’ego non rimane nulla dell’indivi­

duo. Quando l’ego è scomparso, l’intera individualità rinasce nella
sua cristallina purezza: trasparente, intelligente, radio­sa, felice,
viva, vibrante di un ritmo sconosciuto. Questo rit­mo sconosciuto è
Dio. È una canzone che risuona nel più profondo centro del tuo essere.
È una danza del senzaforma, ma puoi udire risuonare i suoi passi.

Tutto il reale nasce solo quando l’ego è scomparso. L’ego è
l’ingannatore, la falsità. Quando l’ego scompare, tu sei pre­sente.
Quando l’ego è presente, tu pensi di essere, ma in realtà non sei.

Non c’è niente che io desideri con maggiore chiarezza
del­l’avvicinarmi al tuo tempio interiore. È possibile mentre sono
ancora preso dai miei impegni? O è forse un requisito indi­spensabile
quello di lasciar cadere tutte le attività e gli inte­ressi che non
siano collegati con te e il tuo lavoro?

Se sei veramente preso dai tuoi impegni, ti sei avvicinato al mio
tempio interiore. Non c’è un altro modo. Io sono qui per aiutarti a
vivere la tua vita, non sono qui per allontanar­tene. Questo è cíò che
le cosiddette religioni hanno fatto da sempre.

Ricorda: io non voglio ottenere niente da te.

Se riesci a essere te stesso, è sufficiente, più che sufficien­te. Se
ti posso aiutare a essere te stesso, è successo ciò che do­veva
succedere. Se, in qualche modo, sono diventato un’op­portunità per
distrarti dal tuo essere, allora sono un nemico, non un amico.

Perciò non pensare mai più che il requisito indispensabi­le sia
lasciar cadere tutte le attività e gli interessi non collega­ti con me
o con il mio lavoro. Tu sei il mio lavoro, tu sei la mia attività.
Nient’altro è più importante di te. Tu sei sopra a tutto; non c’è un
valore più elevato di te. Perciò se tu sei ap­pagato, il mio lavoro è
compiuto. Se tu sei estatico, la mia at­tività si è compiuta. Non c’è
altro lavoro. Non ho alcuna idea, alcuna ideologia che deve essere
realizzata tramite te…

niente affatto. Io sono, tutt’alpiù, soltanto un’opportunità perché tu
possa trovare te stesso. Quando sei giunto alla tua più intima dimora,
hai raggiunto il mio tempio. E non c’è un altro modo.

Hai detto che il giusto rapporto che la mente deve avere con la
coscienza è quello di un servitore. Come deve essere trattato il
servitore? Non dev’essere maltrattato? E come pos­so accorgermi se
questo accade?

Ricorda: se sei veramente un padrone non maltratti mai il tuo servo.
Questa è una delle qualità del padrone.

Maltratti il servo solo quando non sei sicuro di essere il padrone, è
un segno di profonda insicurezza. Cerchi di mal­trattare per sapere se
sei veramente il padrone o no. Se sei as­solutamente certo di essere
il padrone ami il tuo servo, lo tratti come un amico, lo rispetti
persino. Perciò soltanto co­loro che sono insicuri della propria
autorità trattano male i servitori. Per un uomo che è assolutamente
sicuro, che sa di essere il padrone, non ci sarà alcun problema.

Si racconta di un Maestro hasidico, il Magghid… Egli andò a vedere
un altro Maestro. Era in ritardo, la sala della conferenza era piena e
l’altro Maestro stava parlando, perciò si mise a sedere proprio
accanto alla porta, dove la gente ave­va lasciato le scarpe. Qualcuno
lo guardò: la qualità del Mag­ghid lo aveva attratto. Disse al suo
vicino che un essere raro era presente… “Ma perché è seduto lì.
Quello non è un po­sto adatto perché ci si sieda un Maestro. E così
luminoso.” E si narra che a poco a poco l’intera assemblea si voltò
verso di lui. Il Maestro che stava parlando, e che era un impostore,
ri­mase sorpreso dal fenomeno. Il Magghid non aveva pronun­ziato una
sola parola; stava semplicemente seduto a occhi chiusi. Più tardi lo
pseudo-maestro, mentre erano soli, chie­se al Magghid: “Ti prego,
dimmi il segreto. Che cosa è acca­duto? Io ero lì, sono il capo della
congregazione, e dovevo parlare. Che cosa è accaduto? Perché le
persone si sono ri­volte verso di te?”

Il Magghid rispose: “Da quando sono diventato un Mae­stro succede
quasi sempre. Non è qualcosa che si deve fare. Semplicemente accade”.

Un Maestro ha una qualità. Quando sei realmente il Mae­stro, sei
diventato un testimone e sei diventato il Maestro.

Ed è una cosa così semplice che basta che dici qualcosa e questa
accade. Ti limiti a dire alla mente: “Basta, ora sii tu il servo,
perché sei il servo”. E, lo ripeto, è così semplice.

Tu hai paura, ecco perché non può succedere. Sai che non succederà.
Allora dirai qualcosa e questa non succederà. Ma non succede perché
sapevi che non sarebbe successa. Altri­menti succederebbe. Non hai
trattato la mente veramente co­me un servitore, altrimenti basterebbe
che tu dicessi “siedi­ti”, oppure “ascolta”, e la mente ascolterebbe.

Vivekananda era in America. Una mattina parlò, e rac­contò una storia,
enfatizzando il fatto che la fede può smuo­vere le montagne. Una
vecchia, che era molto preoccupata a causa di una montagna, disse:
“Bene! Non ci ho mai provato”.

Proprio dietro la sua casa c’era una montagna, a causa della quale il
sole non entrava in casa sua. A causa della mon­tagna l’aria non
circolava, la sua casa sapeva di muffa.

Perciò si disse: “È semplice. Ora andrò e avrò fede”.

Si recò immediatamente a casa, aprì la finestra e guardò la montagna
per l’ultima volta, perché ora sarebbe scompar­sa. Non avrebbe più
avuto occasione di rivederla. Chiuse la finestra, chiuse gli occhi e
disse: “Ho fede. Ora spostati!” Lo disse tre volte, perché pensò che
forse una volta sola non sa­rebbe bastata. Poi aprì la finestra: la
montagna era ancora lì. Cominciò a ridere e disse: “Lo sapevo già che
non sarebbe successo”.

Se lo sai già, non succederà; questo accade perché tu non hai
soddisfatto le condizioni.

Anch’io dico che la fede può smuovere le montagne; ma la fede,
ricorda! E la fede non ha bisogno di tre ripetizioni. È il dubbio che
ripete tre volte. A che scopo? Una volta che l’hai detto, è fatta… e
la fede non aprirà la finestra per guardare. La cosa finisce lì!

Mi hanno raccontato: in una città le piogge non arrivava­no. La
stagione era ormai avanzata, perciò una mattina il pre­te della città
radunò tutta la popolazione, invitandola a recarsi al tempio a pregare
per l’arrivo della pioggia.

Tutta la città andò, e tutta la città rise di un bambino: il piccolo
era venuto con un ombrello. Perciò tutti parlarono e risero, dicendo:
“Stupido, perché porti l’ombrello? Potresti

perderlo da qualche parte. Le piogge non vengono”.

Il bimbo rispose: “Ma io pensavo che se avessimo pregato le piogge
sarebbero arrivate”.

Soltanto un bambino portava con sé un ombrello. Come avrebbero fatto a
venire le piogge? Se quel bimbo avesse pre­gato, forse una possibilità
che piovesse ci sarebbe stata… La fede può soltanto essere totale,
oppure non esiste. E coloro che ridevano del bambino erano
semplicemente degli sciocchi.

Se non hai una fede totale, perché pregare? E quando la preghiera non
sarà corrisposta dirai che sapevi già che non sarebbe successo.

La fede è una diversa qualità di funzionamento interiore.

Se davvero dici alla mente: “Da adesso in poi sii il servitore”, è
fatta! Non aprire nuovamente la finestra per vedere. È co­sì che
succede, ed è così che succederà a te, perché non esiste altro modo.

Quando sei il padrone tratti il servo come un amico, gli sei grato. Ti
serve, perché maltrattarlo? Il maltrattamento su­bentra soltanto
quando ti accorgi che il servo è il padrone. Allora reagisci, allora
ti arrabbi, allora maltratti. Il tuo mal­trattamento mostra
semplicemente che il servo non è il servo e il padrone non è il
padrone.

Ascoltando le tue parole: “Sembra soltanto, ma in realtà in nessun
luogo il cielo tocca la Terra”, mi sono sentito avvolto dalla profonda
sensazione che il cielo stia toccando la Terra proprio attraverso di
me, che io sono l’orizzonte dovunque io sia. Questa sensazione, come
un nido d’ape privo di sostanza, solo il cielo aperto a penetrarne
ogni poro, è rimasta in me co­me una meditazione costante. Esservi
immerso mi dà un sen­so di leggerezza e di beatitudine. Per favore
commenta.

Non c’è bisogno di commento. Ti benedico. È quello che dovrebbe accadere.

Tutto ciò che accade nella propria vita, in particolare il li­vello di
evoluzione spirituale, è predestinato? Oppure la vita è una serie di
sfide e possibilità senza che si sappia nulla sul­l’esito?

L’essenza è predestinata, la personalità è accidentale. Ciò che sei è
predestinato, il modo in cui appari essere è acci­dentale. Che tu sia
un hindu o un cristiano è un fatto acci­dentale. Che tu sia un uomo o
una donna è un fatto acci­dentale. Che tu sia tedesco o indiano è un
fatto accidentale. Che tu sia nero o bianco è un fatto accidentale. Ma
che tu sia, che tu semplicemente sia, è predestinato. Cerca di
scoprire ciò che è predestinato e non ti occupare troppo di ciò che è
irrilevante, accidentale. Il tuo naso è un po’ lungo, o un po’ corto.
Non te ne preoccupare troppo, è un fatto accidentale. Oppure la tua
pelle contiene un pigmento e tu sei nero; op­pure la tua pelle non
contiene quel pigmento… tutto questo non conta più di poche lire.
Non te ne preoccupare, è del tutto irrilevante. Cerca di scoprire ciò
che è assolutamente predestinato. Quella è la tua natura, quella è la
tua essenza. Ma tu ti perdi nei fatti secondari. Presti troppa
attenzione ai fatti secondari, te ne preoccupi troppo, ci sprechi
tutta la tua energia. Ti coinvolgi così tanto con ciò che non è
essenziale che l’essenziale viene dimenticato.Questo è lo stato
dell’uomo addormentato: sempre foca­lizzato su ciò che non è
essenziale. Concentrato sul denaro, sul potere, sulla casa, sulla
macchina, su questo e su quello; mai in cerca della tua più intima
essenza, che sei tu.

La tua più intima essenza è assolutamente predestinata. Fuori, niente
è predestinato, dentro, tutto è predestinato.

Prestaci più attenzione. È questo, sostanzialmente, il sannyas: un
rivolgersi verso l’essenziale e un allontanarsi dal non-essenziale.
Non voglio dire che non mangi, che non vivi in una casa… no, non
intendo questo. Vivi in una casa, ma non te ne preoccupare troppo.
Bisogna mangiare per vivere; mangia, ma non trasformare il mangiare
nella tua principale occupazione. C’è gente che pensa continuamente al
cibo.

Il denaro è necessario, ma non trasformare il denaro nel tuo Dio.
Usalo quando ce l’hai. Quando non ce l’hai, allora usa anche il
non-averne, perché ha le sue bellezze. Quando hai denaro puoi avere un
posto in cui vivere, tientelo pure; quando non hai il denaro, diventa
un vagabondo e vivi sotto il cielo: c’è la sua bellezza in questo.

Quando hai denaro usalo, non essere usato dal denaro; quando non ce
l’hai, goditi la povertà. La ricchezza ha la sua ricchezza, ma anche
la povertà ha la sua ricchezza. Ci sono molte cose di cui soltanto un
povero può godere, mai un ric­co. Ci sono molte cose di cui soltanto
un ricco può godere, mai un povero. Perciò, qualsiasi opportunità…
Quando sei ricco, goditi ciò che può godere un ricco. Quando sei
pove­ro, goditi le cose di cui possono godere i poveri.Ma tu, cosa
fai?…

Tu fai esattamente il contrario. Quando sei ricco, soffri per le cose
di cui soltanto un povero può godere, e quando sei povero, soffri per
le cose di cui soltanto un ricco può go­dere. Sei semplicemente uno
sciocco, non ci vedo alcuna in­telligenza.

Stavo con un amico. È un vicerettore, un uomo anziano, un ubriacone; è
quasi sempre ubriaco, ma è un uomo molto buono, come lo sono sempre
gli ubriaconi. Un uomo molto dolce, gentile, amorevole.

Una notte aveva bevuto troppo e io ero seduto con lui. Improvvisamente
cominciò ad avere paura. Divenne così pa­ranoico che mi disse: “Per
favore, scrivi immediatamente una lettera alla centrale dí polizia,
che mandino due funzionari dei servizi segreti”. (Intelligence officer
in inglese. N.d.T.)

Scrissi la lettera, ma commisi un errore. Scrissi al com­missario:
“per favore, mandate due funzionari intelligenti”. (Intelligent
officers in inglese. N.d.T.)

Il vecchio ubriacone guardò la lettera, rise e disse: “Chi ha mai
sentito parlare di funzionari intelligenti? Scrivi ‘fun­zionari dei
servizi segreti’, non ‘funzionari intelligenti’!”

È praticamente impossibile trovare un funzionario intelli­gente,
perché è quasi impossibile trovare un uomo intelli­gente.
L’intelligenza è assolutamente carente.

Quando hai del denaro, goditelo. Quando ne hai, vivi co­me un re. Ma
vedo persone che hanno denaro e vivono co­me mendicanti. Lo
risparmiano per il futuro, e quando è per­duto cominciano a pensare:
“Perché abbiamo sprecato tem­po? Avremmo dovuto goderci la vita”.

E la povera gente, i poveretti pensano continuamente a vivere nei
palazzi, mentre potrebbero godersi l’albero sotto cui stanno. Gli
uccelli che cantano, e il sole, e l’aria… il mon­do è più aperto per
un povero.

Un povero può godersi un bel sonno, mentre per un ric­co il sonno
diventa difficile. Avrà forse una camera da letto migliore, avrà un
materasso più comodo, ma non sarà in gra­do di dormire. Allora penserà
ai mendicanti, e si sentirà ge­loso e invidioso di questa gente che
sta dormendo così bene, che russa… “mentre io non riesco a dormire”.

Quando riesci a dormire bene, dormi bene. Quando hai dei bellissimi
materassi, goditeli… e soffri d’insonnia. Ma sii intelligente!

Nell’antica mitologia ebraica la prima persona sulla Terra è Lilith,
non Adamo. Perché questa versione è andata perdu­ta? Ce ne puoi
parlare?

Non c’è alcun segreto in questo, è soltanto sciovinismo maschile. Per
l’uomo era difficile pensare che una donna fos­se stata fatta per
prima e lui fosse venuto dopo. No, andava contro il suo orgoglio.

La versione originale diceva che Lilith era stata creata per prima ed
è naturale che la donna venisse per prima, perché ospita il grembo
materno. Una donna doveva venire per pri­ma: è un fatto naturale,
biologico, vero. Ma per l’uomo è un’idea difficile da sopportare.

Egli cambiò la storia e creò un altro mito: Adamo era sta­to creato
per primo. Ma c’era un problema: come faceva Eva a discendere da
Adamo? Perciò fu presa una costola, perché non c’era il grembo. Ebbene
tutta questa storia è priva di senso.

Con una donna sarebbe rimasto tutto semplice; con un uomo era
pressoché impossibile… Fu estratta una costola ed Eva fu creata.

La prima storia è quella vera. Sono d’accordo con la pri­ma. Respingo
la seconda.

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