La vera saggezza – Osho

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La vera saggezza

di Osho

Tratto da: “La vera saggezza”
(Tascabili Bompiani)

Un giovane Rabbi si lamentò con il Rabbi di Rizin: “Durante le ore in
cui sono immerso nei miei studi sento vita e luce, ma non appena
smetto di studiare tutto questo svanisce. Che posso fare?”

È possibile. Se mí ascolti, può succedere. Ascoltandomi, a volte può
capitare che tu senta vita e luce, perché anche ascoltare modifica
l’equilibrio chimico del corpo. Ascoltan­do la mia voce, il suo ritmo,
a lungo, in uno stato di attenta presenza, l’equilibrio chimico del
tuo corpo viene trasforma­to. Continui a guardarmi; si verifica
un’ipnosi sottile. Conti­nui ad ascoltarmi; il tuo pensiero si ferma.
Avverti la vita. Percepisci la luce. Ma non dipendere da questo, e non
pren­derla come una conquista personale.

Io chiedo alle persone: “Qual è la meditazione che ti si adatta
maggiormente?” Molti rispondono: “Il discorso del mattino. Quando ti
ascoltiamo, la meditazione va più in profondità”. Ma questa è una
sorta di ipnosi. Sta’ in guardia! Potrebbe essere successo proprio
questo al giovane Rabbi.

“Durante le ore in cui sono immerso nei miei studi sento vita e luce,
ma non appena smetto di studiare tutto questo svanisce.”

Quando lasci questo auditorio e ti ritrovi solo, quanto du­ra la
profonda meditazione che hai sperimentato con me? Sarà sparita. Prima
che tu abbia raggiunto il cancello non sarà già più con te… ed è un
bene che sia sparita. Altrimen­ti rimarresti in preda a un’illusione.

È un bene che tu non possa portarla a casa. È un bene che tu non possa
dipenderne. Altrimenti, visto come sei fatto, ne faresti un bene
prezioso, e ti dimenticheresti che non ti ap­partiene.

A meno che la religione non sia tua, è come se non fosse accaduta. E
questa è una delle grandi verità da ricordare con­tinuamente, poiché
la mente ha la tendenza a dimenticarse­ne… è tutto così facile e a
buon mercato!

Ascoltandomi mentre leggo la Gita, o il Talmud, o la Bib­bia, sei
trasportato fuori dalla mente. Un elemento estraneo ha agito su di te.
L’elemento estraneo può essere Gesù, íl Buddha, oppure io; ma qualcuno
fuori di te ti ha trascinato verso l’alto. Una volta che non è più
presente, ripiombi nel­la tua realtà. E quasi sempre succede che
sprofondi ancora più in basso di prima. È come se stessi percorrendo
una stra­da. La notte è buia e passa una macchina. Per un attimo
ap­pare una forte luce; i fari della macchina ti abbagliano. Poi,
quando la macchina è passata, l’oscurità è ancora più profon­da di
prima. Ascoltandomi, mentre leggo la Bibbia, il Cora­no, il Talmud,
una macchina passa con i fari molto forti. Per un attimo sei
abbagliato, sei portato fuori dalla vasta notte buia che ti circonda;
ma quando la macchina è passata, quan­do il Buddha è passato, quando
Gesù è passato, improvvisa­mente sei immerso in un’oscurità ancora più
profonda.

A proposito, vorrei che sapeste che l’India è il Paese dove è nato il
maggior numero di mistici. Ecco perché vi regna una tale oscurità.
Così tante persone hanno abbagliato la mente — un Buddha, un Mahavira,
un Krishna — migliaia di loro, una grande processione, uno dopo
l’altro: essi hanno gettato un incantesimo sulla gente, che ne è
rimasta ipnotiz­zata. E quando sono passati, la gente è piombata in
una not­te ancora più buia di prima.

Va’ e osserva la mente indiana: non troverai niente di più corrotto in
tutto il resto del mondo. È completamente cor­rotta, fino alle radici.
E la ragione è questa: così tanta luce, e così poca capacità dí
assorbirla… poiché la capacità di as­sorbire la luce arriva solo
quando sei cresciuto.

Non guardare il sole; puoi bruciarti la retina. Bisogna im­parare a
farlo, e per imparare intendo dire che bisogna di­ventarne capaci. Gli
occhi devono diventare più forti, e più forti, e ancora più forti… a
quel punto potrai guardare il so­le, e questo ti sarà d’aiuto, ti sarà
tremendamente d’aiuto.

Ora persino gli scienziati sono concordi nell’affermare che nel centro
del terzo occhio — hanno i loro nomi scientifi­ci, ma questo non ha
importanza — c’è una ghiandola, pinea­le o qualcosa del genere, che si
nutre di luce.

Se guardi una lampada, una fiamma, il terzo occhio co­mincia a
funzionare: si nutre di luce. Ecco perché è difficile dormire durante
il giorno, perché c’è luce e il terzo occhio continua a funzionare e
vibrare. Ecco perché è difficile dor­mire di notte con la luce accesa.
Si vorrebbe íl buio; altri­menti il terzo occhio continua a
funzionare, e la funzione del terzo occhio è la consapevolezza. Di qui
deriva il metodo hindu del tratak, che consiste nell’osservare una
fiamma. Se si guarda a lungo una fiamma, un’ora al giorno, per alcuni
mesi, il terzo occhio comincia a funzionare perfettamente. Si diventa
più vigili, colmi di luce.

Il termine tratak viene da una radice che significa “lacri­me”.
Bisogna dunque guardare la fiamma finché le lacrime non cominciano a
scorrere dagli occhi. Continua a fissarla, senza battere le palpebre,
e il terzo occhio comincerà a vi­brare. Ma non guardare íl sole!
Bisogna arrivare al sole a poco a poco. Se si riesce a guardare il
sole per trenta o quaran­ta minuti senza bruciarsi la retina è
possibile illuminarsi all’i­stante, perché il terzo occhio si nutre di
luce.

Quando mi guardi, improvvisamente in te c’è un po’ di luce. Mi
ascolti, diventi attento. Quando diventi attento, il terzo occhio si
focalizza. Mi guardi, mi osservi, o leggi un li­bro… non un libro
qualsiasi… un libro che viene da un uo­mo liberato: una Torah.
Migliaia di anni sono passati, ma l’uomo che ha pronunziato quelle
parole, o scritto quelle pa­role, se davvero sapeva… una certa
vibrazione è ancora pre­sente. Diventi attento, avverti la luce, e
ogni volta che avver­ti la luce senti anche la vita. Questa
combinazione va ricor­data. Ogni volta che ti senti morto ti sentirai
nelle tenebre. Ogni volta che ti senti vivo ti sentirai nella luce.

C’è un detto di Gesù: “Venite, seguitemi. Il mio fardello è luce”.
Normalmente i cristiani lo interpretano così: “Il mio fardello è
leggero”. Questo non è esatto. Quando Gesù afferma: “Il mio fardello è
luce”, egli vuol dire esattamente queste parole, non intende “non
pesante”. “Venite, seguite­mi. Il mio fardello è luce… questo è
l’unico fardello che por­to con me: la luce.”

Ti incontro lungo il cammino; ho con me una lampada. Improvvisamente
non sei più nelle tenebre, ma la lampada è mia. Presto ci separeremo,
perché tu hai la tua via e io la mia. Ogni individuo ha la sua via
individuale per raggiungere il proprio destino. Per un po’ ti
dimentichi completamente del buio, la mia luce serve sia per me che
per te. Ma presto giun­ge il momento in cui ci dobbiamo separare: io
vado per la mia strada, tu prosegui per la tua. Ora dovrai di nuovo
an­dare avanti a tentoni nell’oscurità, e questa sarà ancora più
profonda di prima.

Perciò non dipendere dalla luce di un altro. È persino me­glio che tu
brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!

La luce di un altro non serve a nulla; persino la propria oscurità è
preferibile. Almeno si tratta della propria oscurità, della propria
realtà. E se vivi nella tua oscurità, diventerà man mano sempre meno
profonda. Riuscirai ad avanzare a tentoni. Imparerai l’arte, non
cadrai più.

I ciechi non cadono. Prova a camminare con gli occhi chiusi, ti
troverai in difficoltà. Non potrai percorrere nem­meno cento metri
mentre il cieco riuscirà a fare tutto il per­corso. La cecità gli
appartiene. Con gli occhi chiusi stai pren­dendo in prestito la
cecità; non ti appartiene.

Persino la propria oscurità è una cosa buona. I propri er­rori sono
preferibili alle virtù degli altri, ricordalo… perché la mente è
sempre tentata di imitare, di prendere in prestito. Ma ciò che è
veramente importante non può essere preso in prestito. No, non si può
entrare nel regno di Dio con dena­ro preso in prestito; non è
possibile. Non puoi corrompere le guardie perché non ci sono guardie,
e non puoi entrare dal­la porta come un ladro, perché non ci sono
porte.

Devi camminare, e camminando ti creerai la tua strada. Non esistono
strade preconfezionate. Ed è quello che le fal­se religioni continuano
a insegnare alla gente: “Vieni. Ecco qui una superstrada. Diventa
cristiano e non avrai più biso­gno di preoccuparti. Ci prendiamo noi
tutto il fardello, sare­mo noi responsabili”.

Gesù dice “Sii te stesso”. Il papa del Vaticano dice: “Se­gui il
cristianesimo”. Tutto il cristianesimo è contro Cristo, tutte le
chiese sono contro la religione. Sono le cittadelle
del­l’antireligione e dell’anticristo, perché coloro che hanno
co­nosciuto hanno insistito nel dire che bisogna essere se stessi. Non
c’è altro modo di essere. Tutto il resto è falso, disonesto,
insincero, brutto, è un’imitazione. La sola bellezza possibile
consiste nell’essere se stessi, essere se stessi con tale purezza e
innocenza che nulla di estraneo può entrare in te.

Cammina nella tua oscurità… perché camminando, bran­colando, a poco
a poco, anche tu troverai la tua luce. Quan­do hai la tua oscurità, la
luce non è molto lontana. Quando la notte è buia, l’alba è vicina… a
portata di mano.

Una volta divenuto dipendente da una luce presa in pre­stito, sarai
perduto. L’oscurità non è mai così pericolosa quanto una luce presa in
prestito. Conoscere è bene, ma il sa­pere non è un bene. La conoscenza
è una cosa che ti appar­tiene, il sapere è di altri.

“Questo è come quando un uomo attraversa un bosco in una notte buia, e
per un poco gli si accompagna un altro uomo con una lampada in mano,
ma al crocevia essi si separano ed il primo deve proseguire da solo a
tentoni.”

Il Buddha stava morendo. Aveva camminato per qua­rant’anni recando una
lampada con sé, e a migliaia lo aveva­no seguito. Ora stava per
morire.

Una mattina disse: “Questo è il mio ultimo giorno. Se avete qualcosa
da chiedere, potete farlo”. Il momento era giunto, il crocevia era lì:
ora sarebbe andato per la propria strada. Improvvisamente, un’oscurità
profonda avvolse tutti quanti. Ananda, il principale discepolo del
Buddha, comin­ciò a piangere come un bambino — battendosi il petto, le
la­crime che scorrevano — sembrava impazzito.

Il Buddha chiese: “Cosa fai, Ananda?”

Ananda rispose: “Ora cosa faremo? Tu eri qui, seguivamo la tua luce.
Eravamo tranquilli, al sicuro. Avevamo completamente dimenticato
l’esistenza dell’oscurità. Seguendoti, tutto era luce. Quarant’anni, e
ora te ne vai; e te ne vai la­sciandoci nell’oscurità più totale.
Stavamo meglio prima di incontrarti, perché per lo meno ci eravamo
adattati al buio; ora anche quell’adattamento non c’è più. Non
lasciarci in queste tenebre! Non abbiamo raggiunto l’illuminazione
mentre tu eri qui; ora cosa succederà quando non ci sarai più? Siamo
perduti per sempre”. E cominciò di nuovo a piangere e disperarsi.

Il Buddha disse: “Ascolta. Per quarant’anni hai cammina­to nella mia
luce e non sei riuscito a realizzare la tua. Pensi che se vivessi
altri quarant’anni, riusciresti a realizzarla? O in quattromila, o in
quattro milioni di anni? Quanto più cam­mini in una luce presa a
prestito, quanto più imiti, tanto più ti perderai. È meglio che io
vada”.

Le ultime parole pronunciate dalle labbra del Buddha fu­rono: “Sii una
luce a te stesso”. Moti con questa esclamazio­ne: “Appo deepo bhava —
Sii una luce a te stesso”.

La storia è stupenda. Il giorno dopo Ananda si illuminò.

Non era riuscito a illuminarsi per quarant’anni, e amava il Buddha
enormemente; era quasi diventato la sua ombra, ma non si era
realizzato. La luce presa in prestito: dipendeva troppo da lei. Ed era
così meravigliosa, e disponibile senza alcuno sforzo… perché
preoccuparsi di qualcos’altro? E nel giro di ventiquattr’ore si
illuminò. Cos’era successo?

Ventiquattr’ore di pianto disperato, affrontando il buio, la realtà,
la propria impotenza. Quelle ventiquattr’ore devono essere state
lunghissime per lui. Fu il periodo più buio, più doloroso: un’angoscia
profonda, un’agonia. Attraversò quell’inferno. Si dice che per
ventiquattr’ore giacesse sotto un albero come morto, il corpo
attraversato da scosse, le la­crime che scorrevano incessantemente. La
gente pensava che stesse diventando pazzo o che non sarebbe riuscito a
soprav­vivere senza il Buddha.

Ma dopo ventiquattr’ore era un uomo totalmente diver­so. Aprì gli
occhi e la gente non riusciva a crederci: quegli oc­chi avevano lo
stesso splendore degli occhi del Buddha. Il suo corpo aveva la stessa
bellezza, la stessa fragranza. Cam­minava come il Buddha. Aveva
realizzato la propria luce.

Il Rabbi di Rizin rispose:

“Ma se un uomo porta la propria luce con sé, non avrà più motivo di
temere l’oscurità”.

Non occorre che il mondo intero sia pieno di luce perché tu cammini…
basta il tuo cuore. Una piccola fiamma, ed è sufficiente: illuminerà
il sentiero quanto basta perché tu lo possa percorrere. Nessuno fa più
di un passo alla volta. Una piccola fiamma nel cuore della
consapevolezza, attenzione, dhyana, meditazione. Una piccola fiamma,
ed è sufficiente: illumina un poco il tuo sentiero. Vai avanti, e di
nuovo la lu­ce ti precede.

Dice Lao Tzu: “Facendo un passo alla volta si possono percorrere
diecimila miglia”. E Dio non è così lontano.

Godot è molto lontano. Non lo raggiungerai mai. Dovrai aspettare,
aspettare e ancora aspettare. Godot è un’attesa, un’attesa infinita…
perché è solo immaginazione. Non esiste, è come l’orizzonte. Sembra, a
pochi chilometri di distanza, che il cielo s’incontri con la Terra.
Uno pensa: “Poche ore di viaggio e raggiungerò l’orizzonte”. Non lo
raggiungerai mai. Non c’è luogo in cui la Terra s’incontri con il
cielo. Puoi per­correre la Terra in lungo e in largo, puoi girarle
intorno mi­lioni di volte: non incontrerai mai l’orizzonte. E sarà
sempre lì, proprio davanti a te, ad aspettarti.

Godot è un orizzonte; è un’attesa. Riempie il tuo vuoto, ti inganna.
Questo è l’unico inganno. Ma Dio non è lontano. Dio è esattamente dove
tu sei adesso!

Nelle Upanisbad è detto: “Dio è lontano e Dio è anche vi­cino”. Se io
dovessi tradurlo, direi: “Godot è lontano. Dio è sempre vicino”. Egli
è quieora. In questo preciso istante chi ti circonda? In questo
preciso istante chi pulsa in te? In que­sto preciso istante chi ti sta
parlando? E chi sta ascoltando?

Dio è vita, Dio è questa energia oceanica. Talora è un al­bero e un
fiore, talora un ruscello e una canzone. Talora un uccello. Talora una
roccia. Talora sei tu, talora io.

Una volta fu chiesto a William Blake: “Chi è Dio?” Ri­spose: “Gesù, tu, e io”.

Tutto è Dio. Dio è solo un nome per tutto. Dio non è qualcuno seduto
lì, il manager supremo o qualcosa del gene­re. Dio è tutto. Tu sei in
lui. Lui è in te. Dio è vicino. E ne­cessaria soltanto una fiammella,
una piccola luce all’interno, allora vivrai per la prima volta.
Altrimenti desideri soltanto, non vivi mai. Ti auguri soltanto di
vivere un giorno, da qual­che parte, quando Godot arriverà.

Vivere è possibile solo in questo momento, perché non c’è nessun altro
momento. E quando dico queste cose, non cominciare a rifletterci
sopra, perché riflettere è un processo che ti porta nel futuro.

Ascoltami e realizzalo. Non è una questione di pensiero. Non sto
parlando di un’ipotesi; sto semplicemente riferendo un dato di fatto.
Non ti sto fornendo una dottrina; sto sol­tanto dicendo come stanno le
cose. Non c’è bisogno di pen­sarci sopra. Puoi ascoltare, e se hai
ascoltato bene, attenta­mente, la realizzazione sarà immediata.

Più volte smarrirai il cammino, perché la luce sarà la mia, ma una
volta che sai che quella luce è possibile, nascerà in te la fiducia
che anche la tua sia possibile. Se può succedere a quest’uomo, perché
non a te? Le mie ossa sono proprio co­me le tue, il mio sangue è come
il tuo, la mia carne come la tua. Io sono polvere quanto te. E questa
polvere tornerà alla polvere tanto quanto la tua. Se qualcosa del
trascendente è diventato possibile per quest’uomo, puoi avere fiducia.
Non c’è motivo di esitare… anche tu puoi fare quel salto. In que­sti
giorni, mentre sarai con me, cercherò di camminare insie­me a te con
la mia luce.

Ricorda: gioiscine, ma non dipenderne. Leggi la Torah, leggi la
Bibbia, gioiscine. Sono veramente stupende, ma non diventare
dipendente. Gioiscine, cosicché la tua aspirazione, il tuo desiderio,
acquistino un’urgenza, un’intensità di arri­vare, di arrivare dove già
sei. Non si tratta di andare da qual­che altra parte, si tratta di
essere là dove sei.

La religione non è una meta; è una rivelazione. La reli­gione non è un
desiderio; è una realtà. È necessario soltanto volgersi un po’
all’interno, e ripeto: “Soltanto un po’”… e tutto diventa possibile.
La vita diventa possibile. Altrimenti vivrai una vita vuota, fatta di
attesa. Non essere come i vaga­bondi della commedia di Samuel Beckett,
Aspettando Godot. Hai già aspettato abbastanza. È venuto il momento di
finir­la!

Comincia a vivere! Perché aspettare? Chi stai aspettan­do? E poi, chi
sarà mai questo Godot?

In questo momento, l’intera esistenza ti percorre. In que­sto momento,
tutto ciò che è in questa esistenza culmina in te. In questo momento
tu ne sei l’acme. Gioiscine. Se riesci a comprendere che sei tu la
meta, allora sarà molto semplice comprendere questo piccolo
aneddoto… estremamente si­gnificativo e penetrante.

Tu sei la meta.

Tu sei la via.

Tu sei la luce.

Tu sei il tutto.

È questo che vogliamo dire quando affermiamo: “Tu sei sacro”.

Se sei venuto a me, ricorda: fa’ che io sia solo un incorag­giamento,
un incoraggiamento che ti riporti a te stesso. Con­cedimi la tua
fiducia e aiutami, affinché io ti possa ricondurre nel centro più
profondo del tuo essere. È questo il signifi­cato di un Maestro. Un
Maestro ti aiuta a essere te stesso.

Io non ho modelli da darti, né valori, né moralità. Posso darti
soltanto la libertà perché tu possa sbocciare e diventa­re un loto,
una luce. E vita eterna.

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