La via dello “yoga regale”

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La via dello “yoga regale”

di Redazione NonSoloAnima.TV – Silvia Turrin

Attraverso il controllo della mente e del respiro è possibile conoscere l’autenticità del proprio
Sé. Grazie a una serie di insegnamenti, il maestro Patanjali ha tracciato una via che conduce
all’unità con la propria dimensione interiore e con il Divino.

Lo yoga è uno dei più antichi sistemi filosofici orientali. Il termine deriva dalla radice sanscrita
yuj, che significa unione. Col tempo si sono sviluppate numerose correnti yogiche. Si possono però
individuare quattro scuole che costituiscono le origini e gli insegnamenti centrali della pratica
yoga. Il Karma yoga che rappresenta il sentiero dell’azione eseguita senza ricompensa né
attaccamento ai beni materiali; l’Jnana Yoga, l’unione nell’Assoluto Universale, il sentiero della
conoscenza; il Bakti yoga, della devozione, della continua preghiera; il quarto sentiero (non per
ordine di importanza) è il Raja Yoga, il percorso dello yoga classico o regale sviluppato dal
maestro Patanjali. A lui si attribuisce la compilazione dello Yoga Sutra, il testo più antico
relativo alla spiritualità, sintesi suprema del cammino verso la realizzazione del Sé.

Risalente al periodo tra il I e II secolo a.C., lo Yoga Sutra rappresenta una raccolta di aforismi
(strutturati in quattro capitoli) che spiegano come giungere all’unione con la propria dimensione
interiore e con la dimensione spirituale (illuminazione). Per raggiungere questa unità, il Raja Yoga
insegna come prendere coscienza e conoscenza del sé interiore, cui segue il distacco dai sentimenti
e dai vizi. Questa presa di coscienza avviene con il controllo della mente. Il secondo aforisma di
Patanjali afferma infatti che lo yoga è assenza di reazioni della mente: quando si pensa ci si
allontana dal proprio sé, poiché ci si identifica con il pensiero. Nell’istante in cui, tra un
pensiero e l’altro s’insinua il silenzio, uno spazio vuoto, quello è appunto il luogo del Sé
originale.

Il percorso tracciato da Patanjali indica otto gradini o passi (astanga) per giungere alla
realizzazione della propria natura reale e all’unione con il divino. Il primo gradino è chiamato
Yama. Si tratta di regole morali di comportamento (tra cui, non violenza, assenza di possessività e
di avidità); il secondo è Niyama e si riferisce alle pratiche fisse di autodisciplina, volte alla
purezza interna (del corpo, della mente e dello spirito) ed esterna (dell’ambiente), all’assenza di
desiderio per gli oggetti e all’autoanalisi profonda; vi è poi l’Asana, ovvero quell’insieme di
posizioni comode, stabili; seguono il Pranayama (il controllo della respirazione) e il Pratyahara,
che è il raccoglimento della mente per sottrarla alle distrazioni esterne; il sesto gradino è
chiamato Dharana, la concentrazione della mente in unico punto; il penultimo è il Dhyana, la
meditazione; infine vi è il Samadhi, l’unione del meditante con la verità assoluta.

Il Pranayama e il Pratyahara sono fondamentali per l’annullamento dei pensieri e dunque per la
conoscenza del vero Sé. Infatti, il controllo del respiro conduce una mente agitata alla calma. La
tecnica consiste nel concentrare la mente sul respiro, un metodo che può essere praticato non solo
durante la meditazione, ma anche nei gesti quotidiani (camminando, scrivendo, ecc), che regola le
fasi di inspirazione ed espirazione. Così facendo il respiro diventa lento e profondo, privo di
ansietà. Ed è proprio questo che s’intende con Pranayama.

Il Pratyahara consiste nella visualizzazione di immagini piacevoli (distese di prati fioriti, il
tramonto che irradia intense sfumature sul mare, montagne innevate, templi o luoghi particolarmente
mistici), assumendo una posizione (asana) comoda. Una tecnica avanzata di Pratyahara prevede il
ritiro della mente dalle distrazioni esterne attraverso un particolare esercizio di concentrazione:
focalizzare l’attenzione su un solo organo del corpo cercando di rimanervi il più a lungo possibile.
Attraverso la concentrazione, la contemplazione (che è la continuità della e nell’attenzione) e il
superamento di una serie di ostacoli che si frappongono al cammino del Raja Yoga ( tra cui
l’inerzia, la negligenza e l’attaccamento) si può giungere al Samadhi, l’ottavo gradino del percorso
regale: l’unione con la propria coscienza e con il Divino. A questo livello ci si sente parte del
Tutto.

Fonti:
Annie Besant, Yoga. Saggio di Psicologia Orientale, Anima Edizioni
Annie Besant, Il Tempio Interiore. I requisiti del Raja Yoga, Adyar Edizioni

Info:
Associazione Italiana di Raja Yoga
Via Eustachi 31
Milano
Sito internet: www.rajayogaitalia.it/home1024ita.htm

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