La Via di mezzo non e’ facile da seguire… – di Anagarika Silananda

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ANAGARIKA SILANANDA (GEORGES BEX)

SAGGEZZA: COME FAR BUON USO DELLE RELIGIONI

REDATTO CON LA COLLABORAZIONE DI MARCELLE SURIYONG TRADUZIONE DI ELISA TAIBI

EDIZIONI ARISTA

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15. Siamo noi i responsabili delle onde che agitano la nostra mente

La Via di Mezzo non è una via facile da seguire; essa è il Sentiero ottuplice, le cui otto
diramazioni sono, ripetiamo:

– la giusta comprensione;
– il pensiero giusto;
– la parola giusta;
– l’azione giusta;
– il giusto mezzo per vivere;
– lo sforzo giusto;
– la giusta attenzione;
– la giusta concentrazione.

Sono queste le condizioni da soddisfare per giungere al fine proposto dal Buddha, e cioè la
cessazione della sofferenza.

Il Buddha dimostra al gruppo degli asceti, suoi vecchi compagni, che ci sono due vie che i discepoli
devono evitare:

– la via che è legata alla passione e alla lussuria;
– la via che è legata alla tortura di sé.

Notate che la prima via estrema può portare alla seconda.

Queste due vie hanno un punto in comune: sono motivate dai desideri del nostro mutevole io che, in
entrambi i casi, si illude ancora di poter tenere la situazione sotto controllo.

Dobbiamo tener presente che tutta la nostra educazione ha un unico scopo, e cioè sviluppare il
nostro io, la nostra personalità, per permetterci sempre più di cogliere, fra le innumerevoli
possibilità che la vita ci offre, ciò che sembra garantirci la felicità e la sicurezza.

Ora, nella Via di Mezzo propostaci dal Buddha, non è più l’io, la nostra personalità, a motivare la
scelta, bensì la giusta comprensione dello scopo da raggiungere.

Prendiamo due esempi, che ci aiuteranno a capire ciò che dovrebbe succedere.

Esaminiamo innanzitutto la tristezza: come la spiega chi è triste? «Sono solo. Nessuno mi capisce.
Nulla mi riesce. Ho perso questo, o quello. Sono gelosi di me. Mi disprezzano. Mi derubano. Eppure
ho fatto del bene. Tutto mi va storto. Sono un inetto. Non ho mai il tempo di…»

Che cosa dobbiamo pensare? Certo, le condizioni esterne ci influenzano; è possibile che, senza
volerlo, si sia oggetto, o persino vittima, di gelosie. Dovremmo però essere abbastanza saggi da
vedere in noi ciò che non è fonte di armonia; non dimentichiamo che le idee che ci facciamo delle
cose dipendono unicamente da noi e sono determinate dalla nostra mente.

Il Dhammapada dice: «Mi ha maltrattato, mi ha picchiato, mi ha battuto, mi ha derubato: l’odio di
chi nutre tali pensieri non si è placato. – Mi ha maltrattato, mi ha picchiato, mi ha battuto, mi ha
derubato: l’odio di chi non nutre tali pensieri si è placato.»

Ora, come abbiamo visto, la nostra preparazione alla vita nel mondo è in contrasto con
l’insegnamento del Buddha. Per diventare qualcuno, imparare a difendersi, essere in grado di
afferrare quanto dev’essere afferrato, è necessario sviluppare l’io e quindi avere dei desideri.

È l’esempio del prigioniero che desidera la libertà, del povero che desidera la ricchezza, del ricco
che desidera il potere, del potente che desidera la saggezza e del saggio che desidera la
Liberazione.

La storia dell’uomo è paragonabile ad un’enorme onda che si alza, giunge al culmine e ridiscende;
come le onde, questa storia si ripete all’infinito: è una corsa ai piaceri e alla lussuria quando
l’onda cresce, è una tortura di sé quando l’onda si abbassa.

Il Buddha ci propone di vedere le cose quali sono realmente e non in base alle nostre idee.

Tornando alla tristezza, di che si tratta? È un ostacolo alla felicità che si manifesta quando non
otteniamo ciò che, a parer nostro, ci spetta: l’amicizia, la riconoscenza, la benevolenza, la buona
educazione, un sorriso, ecc. Sono queste le radici della tristezza, ma chi è triste? È l’io, che si
sente frustrato, tra l’altro, perché vuole ciò che, a parer suo, gli spetta.

La Via di Mezzo è simboleggiata dal fior di loto che, pur galleggiando su acque inquinate, resta
incontaminato; essa ci insegna a coltivare la benevolenza, la compassione, la gioia e
l’imperturbabilità. Seguiamo la tecnica del Giardiniere della Saggezza affinché questi fiori
sostituiscano la tristezza, quell’alga che cresce in acque torbide.

Nel momento in cui si vuole seguire la Via di Mezzo, il comportamento altrui non conta più; se è
davvero perfido nei nostri confronti, per noi costituirà soltanto una condizione favorevole al
nostro allenamento spirituale.

Agire secondo la Via di Mezzo significa non dar vita ai desideri dell’io. Non si rileggerà mai
abbastanza la preghiera di San Francesco d’Assisi:

«Dove è odio, fa’ ch’io porti l’Amore Dove è discordia, ch’io porti l’Unione Dove è offesa, ch’io
porti il Perdono Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce Dove è tristezza, ch’io porti la Gioia.»

Veniamo al secondo esempio, quello della stanchezza morale: al malato che soffre di stanchezza
morale – che infatti è anche una malattia mentale – il mondo appare privo di interesse, ed egli non
ha più né desideri né volontà. È forse questa la via della Saggezza? Assolutamente no, tutt’altro!
Alla base c’è la frustrazione dei desideri, che vengono semplicemente repressi e quindi, insieme
agli attaccamenti, restano egualmente virulenti.

Sono i continui insuccessi a determinare la repressione dei desideri. Come curare questo stato di
spossatezza, di scoraggiamento attraverso la Via di Mezzo?

È necessario mostrare che proprio la corsa alla realizzazione dei desideri è stata infruttuosa; il
passaggio alla via della sofferenza, della tortura di sé ne è la naturale conseguenza. È tuttavia
necessario far capire al malato che è soltanto il suo io ad essere deluso e scoraggiato, dopodiché
bisognerà dimostrargli che i suoi insuccessi possono essere trasformati in esercizi di allenamento
spirituale.

Il problema è tutto qui: invece della corsa alla felicità e alla sicurezza, dobbiamo scegliere la
Via di Mezzo, che assicura la Pace e la Serenità.

19. Dottrina del karma

Il dizionario Larousse dà la seguente definizione di karma: «Meccanismo di compensazione delle
azioni cui è sottoposto ogni individuo e che condiziona le sue successive riapparizioni.»

Dice il Buddha: «Dichiaro che l’atto di volere è il karma. Avendo la volontà si agisce col pensiero,
con la parola e con il corpo.»

Karma significa “azione” oppure “agire”. Tutto ciò che è azione (mentale, verbale o fisica che sia)
viene considerato karma.

Perché le condizioni umane sono tanto diverse? Perché alcuni nascono nel lusso e altri nella
miseria? Perché alcuni sono intelligenti, mentre altri non lo sono? Perché tanti perché? C’è una
causa alla base di tali disparità? Esistono forse per volere divino?

Vediamo quanto affermano gli scienziati su questo punto: in generale essi si limitano allo studio
dell’ereditarietà e dell’ambiente.

Julian Huxley scopre che alcuni geni determinano il colore, altri la fertilità, o la durata della
vita, altri la forza o la debolezza, altri ancora la forma o le proporzioni.

Secondo il Buddhismo, queste variabili sono dovute non soltanto a fattori ereditari, all’ambiente
circostante oppure alla natura o all’alimentazione ma anche alla nostra stessa eredità, ovvero ai
frutti delle nostre azioni anteriori.

Noi siamo responsabili della nostra felicità, creiamo i nostri cieli e i nostri inferni, siamo
insomma gli architetti del nostro destino.

Ma, se la nostra attuale vita fosse totalmente condizionata dalle nostre azioni passate, allora
saremmo schiavi del nostro karma, il che equivarrebbe al fatalismo o alla predestinazione.

Nello sviluppo del karma, la mente è il fattore più importante. Dice il Buddha: «Quando la mente è
senza disciplina, L’azione del pensiero, della parola e del corpo è senza guardiano; quando la mente
è sotto controllo, lo è anche l’azione del pensiero, della parola e del corpo. Il mondo è guidato
dalla mente e dalla mente viene fuorviato. Tutti gli uomini posseggono la sovranità della mente.»

Dobbiamo accettare il nostro contenuto mentale, la nostra personalità, come il risultato del nostro
karma anteriore, ma dobbiamo sapere che con sforzi ben finalizzati abbiamo la possibilità di creare
nuove condizioni favorevoli.

Se per intraprendere l’ascesi buddhica i frutti delle nostre azioni dovessero prima essersi esauriti
non cominceremmo mai; L’insegnamento della Dottrina, invece, ci sprona ad applicare immediatamente
la disciplina, che è simile alla terapia messa in atto per una malattia curabile, anche se grave.
Bisogna quindi cominciare senza indugio.

Il karma si accumula proprio perché non conosciamo le cose quali esse sono realmente; non accumula
nessun karma colui che ha completamente estirpato il desiderio e ha compreso le cose quali esse
sono.

Chi semina un pensiero Raccoglie un’azione.

Chi semina un’azione Raccoglie abitudini.

Chi semina abitudini Raccoglie un carattere.

E il carattere Richiama l’attenzione del destino.

– Sul piano spirituale ho un unico avversario, me stesso –

Esistono azioni buone e cattive; tra questi due estremi si situano tutte le azioni che non sono né
buone né cattive, oppure che sono più o meno buone, più o meno cattive.

Per distinguere le buone dalle cattive, noi seguiamo alcuni criteri di cui possiamo dire che sono
molto soggettivi, e cioè variano in base alla nostra formazione, alla nostra cultura, alla nostra
affettività e al nostro istinto sociale.

Dice il saggio Krishnamurti: «Prendiamo qualsiasi problema, ad esempio la collera, la gelosia,
l’invidia, o l’odio, sentimenti ben noti. Se penetriamo a fondo la collera, se non la scartiamo come
se fosse senza importanza, quale ne è allora il contenuto? Perché siamo in collera? Perché siamo
feriti, perché qualcuno non è stato troppo tenero con noi. Al contrario, se qualcuno ci loda siamo
contenti. Perché siamo feriti? Perché abbiamo un’idea, un’immagine di noi stessi, di ciò che
dovremmo, o vorremmo essere, oppure di ciò che siamo, o di ciò che non dovremmo essere. E perché ci
creiamo un’immagine di noi stessi? Perché non ci siamo mai analizzati quali siamo realmente.
Pensiamo che dovremmo essere questo o quello, l’ideale, l’eroe, l’esempio. La nostra collera si
risveglia perché il nostro ideale, l’immagine che abbiamo di noi stessi e che non corrisponde a ciò
che siamo realmente, viene aggredita. Se sappiamo ciò che siamo e desideriamo davvero correggerci,
nessuno potrà ferirci. Ad esempio, se sappiamo di essere collerici e veniamo accusati di esserlo, la
critica non ci ferisce, poiché corrisponde a un dato di fatto che riconosciamo; se tuttavia
pretendiamo di non esserlo a dispetto del giudizio altrui, allora ci adiriamo e diventiamo
violenti.»

Sul piano spirituale, sembra che la buona azione debba essere motivata dall’amore per il prossimo,
ma a rischio di deludervi, vorrei dimostrarvi che l’uomo non fa niente per niente; persino il saggio
non può agire senza una motivazione egoistica.

Ad esempio leggiamo nel Vangelo: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, e il Padre
tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». È questo l’atteggiamento giusto del saggio che non è
però fine a se stesso poiché il Padre lo ricompenserà.

Ho scelto questo esempio perché è famoso e dimostra ancora una volta che qualsiasi buona azione è
motivata da una forma, o un’altra di egoismo. La motivazione esiste persino nelle forme più evolute
di ricerca spirituale.

Solo i liberati, finché sono ancora sulla Terra, agiscono secondo l’energia pura che li anima; in
loro non c’è più ricerca, non c’è più nulla da trovare né da desiderare.

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