La voce: olografia dell’essere

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La voce: olografia dell’essere

di Lorenzo Pierobon e Veronica Vismara

In principio era il Verbo, secondo il vangelo di Giovanni tutto comincia con
il logos, la parola, la vibrazione. Per il pragmatismo degli scienziati la
creazione comincia con il “big bang” che implica di fatto un suono. Il
concetto che tutto sia in perenne vibrazione, che la natura sia di fatto una
sinfonia di suoni non è quindi cosa nuova. Ogni corpo presente nell’universo
emette vibrazioni, che producono, a loro volta, dei suoni, e così via. Le
differenze nell’ambito della qualità vibrazionale dei vari regni
(minerale, vegetale, animale) sono quelle che determinano le diverse
manifestazioni fisiche degli stessi.

Ponendo della sabbia o limatura di ferro su di una piastra metallica e
facendola vibrare con un archetto per violino, ci si accorge
istantaneamente che questa assume forme organizzate come se fosse sotto
l’influenza di un campo magnetico. Più il suono è armonico, più le figure si
dispongono in maniera regolare. Questo tuttavia non deve sorprendere, visto
che, come si è già detto, ogni corpo materiale è un’insieme di atomi in
movimento, cioè che vibrano.

Ulteriore esempio di differenze vibrazionali che si manifestano attraverso
un altro canale sensoriale, sono i colori. Ad ogni colore infatti
corrisponde una precisa vibrazione. Espandendo questo concetto si possono
intuire le corrispondenze tra i chakra e i colori ad essi attribuiti nella
cultura orientale.

La stessa cultura, così attenta agli aspetti più sottili dell’energia dei
corpi, ci insegna che ad ogni chakra, oltre ad un colore, corrisponde anche
un suono ben preciso, in grado di attivarlo o riequilibrarlo. Un parallelo
cognitivo che fa parte di una cultura più vicino alla nostra, può essere
ritrovato nella corrispondenza tra lo spettro sonoro e quello luminoso:
infrarossi e subsuoni ad una estremità dello spettro, ultravioletti e
ultrasuoni dall’altra.

RESPIRAZIONE

Una respirazione corretta e funzionale è alla base di una buona emissione
vocale. A monte della voce esiste il respiro, che gradualmente si
“cristallizza” nella voce stessa, grazie agli organi che concorrono all’atto
fonatorio; tra questi il diaframma , considerato uno dei più importanti
muscoli respiratori.

Il diaframma separa la cavità toracica da quella addominale e si presenta
come una cupola che sale all’interno della gabbia toracica. Non solo
presiede all’atto respiratorio, ma “registra” e “ancora” tensioni e traumi
emozionali. E’ quindi importante mantenere questo muscolo non solo tonico ,
ma anche libero da quelle emozioni negative o comunque parassite che
potrebbero comprometterne il corretto funzionamento.

La respirazione comunemente consigliata nel canto è quella cosiddetta
addominale perché consente di riempire i polmoni fino quasi alla loro parte
apicale. Per ottenere questo tipo di respirazione la gabbia toracica viene
immobilizzata e l’atto respiratorio avviene grazie ad un delicato equilibrio
di contrazione e decontrazione del diaframma e della muscolatura
addominale.

Nell’inspirazione Il diaframma si abbassa mentre contemporaneamente gli
addominali si rilasciano: i visceri sono spinti in basso, lasciando lo
spazio che occupavano a disposizione dell’aria. Nell’ espirazione invece gli
addominali si contraggono, il diaframma si rilassa: i visceri ritornano
verso l’alto e l’aria esce.

Durante l’emissione della voce il diaframma si decontrae gradualmente
opponendosi all’azione dei muscoli addominali e controllando così la
regolarità del flusso espiratorio (M. Uberti). La capacità di graduare
consapevolmente la decontrazione diaframmatica sta alla base del cosiddetto
“appoggio”, tecnica fondamentale nel canto per poter sostenere il suono in
modo naturale e consentire così al cantante l’utilizzo di tutte le
sfumature di volume, timbro e altezza, che la sua voce gli permette.

Riteniamo importante insistere sul corretto uso della respirazione
addominale, perché spesso, anche tra i professionisti della voce, questo
argomento viene trattato con superficialità e non curanza determinando a
volte un uso scorretto della voce stessa, che può sfociare in patologie
vere e proprie. Descriveremo ora alcuni parametri che sono comuni sia alla
voce parlata che a quella cantata.

Timbro: è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un
altro. Dipende dalla forma dell’onda sonora, determinata dalla
sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni fondamentali
e dai loro armonici. Per quanto riguarda la voce umana, fisicamente è
determinato dalla forma del tubo fonatorio che la voce percorre da quando
viene creato, a livello delle corde vocali, a quando viene emesso dalla
bocca. Dipende perciò ovviamente dal tipo e dalla profondità della
respirazione.

Esistono poi delle strutture scheletriche a forma fisse, geneticamente
determinate, che lo influenzano, e che sono: il mascellare superiore, le
cavità nasali e paranasali e il palato duro. Altre parti sono invece
gestibili da parte del sistema muscolare connesso con la parte inferiore
della bocca, cioè la mandibola, e sono: labbra, lingua, velopendulo e palato
molle, che sono in pratica sotto il controllo della nostra volontà.

Tutto questo insieme di caratteristiche, genetiche o acquisite, determinano
la “personalità vocale ” di ciascuno di noi, ciò che rende una voce
immediatamente riconoscibile rispetto ad un’altra, la sua impronta timbrica,
appunto. La cosa interessante è che nel nostro timbro restano impressi tutti
i nostri vissuti, rendendolo perciò una sorta di specchio sonoro che può
svelare, o celare, alcuni aspetti della nostra personalità, talvolta molto
intimi.

Altezza: L’altezza è la qualità che fa distinguere un suono acuto da uno
grave. Dipende in massima parte dalla frequenza delle onde sonore, ma anche
dalla intensità. L’orecchio umano percepisce solo i suoni che vanno da 20 a
20.000 vibrazioni al secondo. Al di sotto abbiamo gli infrasuoni, al di
sopra gli ultrasuoni. La pratica musicale copre una gamma di suoni, le cui
fondamentali vanno dal do grave che ha circa 65 vibrazioni semplici al
secondo al do acuto che ha 8276 vibrazioni semplici.

La voce umana ha un registro ancora più limitato. Ognuno di noi parla
abitualmente ad una altezza preferita, detta anche Formante di base. Questa
è determinata anch’essa da strutture anatomiche, ma può subire molte
modificazioni in base allo stato emotivo della persona. La formante reale,
il nostro suono di base, costituisce l’ Io-Parlato o Cantato che vale la
pena di scoprire.

Volume: Dipende dall’intensità delle onde sonore, cioè dalla loro densità
energetica. È la qualità sonora associata alla definizione intuitiva di
forza del suono, ed è determinata dall’ampiezza della vibrazione e dalla
distanza del punto di percezione da quello di emissione del suono. Essere
padroni del proprio volume sonoro è una abilità molto utile nel parlato, e
indispensabile nella voce cantata. Concorre a dare il colore e le sfumature
analogiche della voce, e ad aggiungere perciò significato al contenuto che
viene detto/cantato.

Componente emozionale: La respirazione determina la varietà delle
componenti precedenti, ma ciò che influenza maggiormente il “parlato”
peculiare di ciascuno di noi è la componente emozionale. Chi non ha mai
fatto l’esperienza di “innamorarsi” di una voce? Parlata, recitata o
cantata, la voce esprime il mondo interno della persona che la emette, e ne
svela indirettamente la componente emozionale, intuibile però solo ad un
ascolto attento.

Nella voce parlata, ai fini di un’efficace comunicazione, è molto importante
l’utilizzo di pause, volumi e la direzione verso cui viene proiettata.
L’intenzione
dell’oratore e la sua congruenza interna, tra cosa dice e come lo dice, ne
determinano la sua efficacia e abilità. La voce recitata implica la volontà
di veicolare delle emozioni, che non sono quelle di chi recita, ma quelle
del personaggio che sta interpretando. Perciò, oltre alle componenti di cui
sopra, è necessaria una competenza specifica per quanto riguarda la gestione
della componente emotiva insita nella comunicazione artistica stessa.

La medesima abilità dovrebbe far parte del patrimonio cognitivo e del
bagaglio squisitamente tecnico, di chi usa la voce per cantare. Troppo
spesso invece questa componente viene subordinata ad una competenza
strettamente tecnica, che può sfociare in una aridità interpretativa. Come
cita Hazrat Inayat Khan ne “Il misticismo del suono”, “… un cantante può
cantare solo una nota e tutto il pubblico viene commosso. Un altro canta
dozzine di note e nessun effetto viene prodotto..”

La costante che si evidenzia è che in qualsiasi contesto l’uso della voce è
fortemente diretto e influenzato dall’emozione che il soggetto prova o crede
di provare in quel momento. Ne risulta che una gestione corretta della
componente emozionale sia una prerogativa indispensabile per un uso
efficiente ed efficace della voce, in qualsiasi contesto venga preso in
considerazione. L’emozione va innanzitutto percepita. Esistono infatti delle
persone, dette alessitimici, che faticano a percepire e riconoscere le
emozioni proprie e altrui, vivendo in una sorta di mondo “dissociato” dalle
emozioni stesse.

Il passo successivo è il riconoscimento della stessa. Va distinta
un’emozione
di rabbia, da una di tristezza o di paura, sia per una indispensabile
consapevolezza di sé, che ai fini delle strategie gestionali dell’emozione
in questione. Una volta riconosciuta bisogna decidere se sia possibile, sano
ed “ecologico” esprimerla, o se sia meglio elaborarla (mai rimuoverla!).
Apprese le strategie decisionali al riguardo, e divenuti finalmente padroni
dei propri stati emotivi, sarà possibile, ed estremamente piacevole ed
evolutivo, saperle utilizzare per muovere e pro-muovere le emozioni altrui.

La voce può permettere tutti questi processi, essendo uno spaccato
dell’intero
individuo, il suo “ologramma” appunto. Ri-conoscere, studiare e lavorare
sulla propria voce equivale ad un processo analogo nei confronti del proprio
Sé profondo. La voce quindi rappresenta uno degli strumenti più potenti e
autentici a disposizione per intraprendere un viaggio
cognitivo/esperienziale all’interno del proprio mondo emozionale (voce
emozionale).

Il modello olografico, si basa sul concetto di informazione totale, che lega
ogni piccola parte al “tutto”. Ogni singola parte diviene così un ologramma
che contiene al suo interno una rappresentazione dell’insieme da cui deriva,
questo concetto sta alla base del paradigma olistico e potremmo riassumerlo
con “tutto è uno”, ed affermare che le vibrazioni contenute nella voce non
sono altro che la rappresentazione olografica dell’intero universo
vibratorio. Questo concetto è ben sintetizzato nell’affermazione del
filosofo Plotino: “ogni essere contiene in sé l’intero mondo intelligibile.
Il suo Tutto è dovunque. Ciascuno è il suo Tutto, e Tutto è ciascuno”.

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