L’Aldilà nella filosofia platonica

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L’Aldilà nella filosofia platonica

di Manuela Racci

Un guadagno per sempre: la scoperta dell’aldilà nella filosofia platonica. Immortalità dell’anima e
reincarnazione.

Non si vive allo stesso modo se si attende o meno una vita nell’aldilà
(Guitton)

Il tema dell’aldilà, il mistero della vita oltre la vita, le domande correlate a tale problematica
attraversano la storia dell’umanità che da sempre anela la presenza del divino, di un Essere per
eccellenza che sia l’alfa e l’omega, da cui tutto nasce e a cui tutto torna. Diviene allora
suggestivo e irrinunciabile un percorso dentro la filosofia antica greca per noi uomini occidentali,
perché i Greci sono davvero il fondamento della nostra quidditas, della nostra identità; essi ci
hanno insegnato, come suggerisce il filosofo Galimberti, la salvifica arte del vivere, indicando a
tutta la vita spirituale dell’età moderna l’unica direzione verso cui possa muoversi e progredire:
quella della vittoria dell’uomo interiore sul mostro policefalo, poiché l’uomo è la sua anima, la
sua psichè diceva Socrate…

Centrale diviene dunque il problema dell’anima e della sua immortalità e il conseguente concetto di
reincarnazione o metempsicosi. Fondamentale, perché di solito la visione che ogni popolo ha della
vita dopo la morte è strettamente correlata allo stile di vita, in quanto ne modella l’intera
impostazione culturale. E al di là di differenziazioni ben precise e puntuali tra religioni, i
principi di base sono gli stessi: la forza vitale sopravvive al corpo; bisogna passare di corpo in
corpo fino a quando non si raggiunge la perfezione, cioè la relazione di puro amore per Dio che
rende coscienti della propria posizione originale: è la legge di causa e effetto che accompagna
logicamente il concetto di reincarnazione (il karma o il “ciò che semini raccoglierai” citato nella
Bibbia).

Essa è presente in quasi tutte le culture: storicamente all’inizio la troviamo in India ed Egitto,
poi in Asia minore, in Grecia e a Roma: Cicerone, nel suo Ortensio scrive ”Gli antichi, sia che
fossero veggenti o interpreti della mente divina nella tradizione delle iniziazioni sacre, sembrano
aver conosciuto la verità quando affermavano che siamo nati nel corpo per pagare la pena dei peccati
commessi in una vita precedente”; così come Virgilio, nel VI libro dell’Eneide ”Sono anime cui sarà
dato il corpo a tempo debito: frattanto dimorano sulla riva del Lete e bevono l’ oblio delle loro
vite precedenti”.

Per non parlare di Plotino fondatore del Neoplatonismo, l’ultima grande scuola della filosofia
greca, vestibolo del nuovo orizzonte cristiano: ”Quando avviene l’ uccisione di un personaggio in un
dramma, l’attore cambia il suo trucco ed entra in una nuova parte. Naturalmente l’attore non è stato
veramente ucciso; ma, se morire è solo cambiare corpo come l’attore cambia costume, o anche uscire
dal corpo come l’attore esce dalla scena quando non ha più nulla da dire o da fare, cosa c’è di
tanto pauroso in questa trasformazione degli esseri viventi l’uno nell’altro?” (Enneadi)

Così come non è più possesso di pochi il convincimento che la dottrina della reincarnazione sia una
componente decisiva del pensiero cristiano primitivo: basti prendere come esempio Origene, padre
della Chiesa considerato secondo solo ad Agostino: teologo e scrittore cristiano di lingua greca
(nato ad Alessandria nel 185 d.c.) così scrive nella sua opera Sui Principi : “A causa di una certa
inclinazione verso il male di alcune anime, esse perdono le ali e prendono corpo, prima sotto forma
di uomini; quindi a causa dell’associazione con la passione irrazionale, dopo il periodo assegnato
con la forma umana, essi si trasformano in bestie, forme dalla quale passano poi alla forma di
pianta: restano in queste forme diverse di corpi fino a quando non saranno degni di essere riportati
alla loro posizione spirituale”; “L’anima non ha principio né fine: ogni anima entra in questo mondo
fortificata dalle vittorie oppure indebolita dai difetti della vita precedente. Il suo posto in
questo mondo è determinato dai suoi precedenti meriti; il suo operato in questo mondo determina il
posto che essa avrà nel mondo successivo…” Fu condannato per eresia, e tra l’altro Giustiniano nel
secondo concilio di Costantinopoli -543 d.C.- lanciò su di lui l’anatema così dicendo “Se qualcuno
dovesse proclamare che l’anima trasmigra da un corpo all’altro sia maledetto”.

Difficile anche sottrarsi alla suggestione di una lettura di S.Agostino che faccia emergere una
sorta comunque di attrazione verso la dottrina della reincarnazione : da “Contra Academicos” “Il
messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente dissipato le
tenebre dell’errore e ora traspare soprattutto attraverso Plotino, così simile al suo maestro che
crederesti che Platone sia rinato nella sua persona” o ancora nelle Confessioni: ”Dimmi o Signore se
la mia infanzia successe ad altra mia età morta prima di essa? E prima ancora di quella vita, o Dio,
fui forse in qualche luogo o in qualche corpo?“

Ma è Platone colui che si impone per la forza del suo pensiero, delle sue straordinarie intuizioni,
risvegliando echi e risonanze con la nostra interiorità: il grande filosofo greco, infatti, è
l’autore di quella impresa che egli stesso chiama emblematicamente “seconda navigazione”, la
straordinaria scoperta di un altro piano dell’essere, di un’altra realtà, di una dimensione
soprafisica della quale la precedente filosofia occidentale (ad eccezione di Parmenide) non aveva
avuto alcun sentore… Infatti, nell’antico linguaggio marinaresco, viene detta seconda navigazione
quella che si intraprende quando, caduto il vento, bisogna porre mano ai remi, rispetto alla prima
che simboleggia la navigazione fatta seguendo il vento senza alcuna fatica… fuor di metafora,
mentre la prima navigazione rappresenta il percorso della filosofia naturalistica che ha cercato di
spiegare il sensibile con il sensibile, senza alcun sforzo, la seconda, invece, indica tutto il
contributo personale di Platone, la navigazione fatta solo con le proprie forze, su un piccola
zattera, alla scoperta del sovrasensibile come causa prima e incausata del sensibile stesso.

Illuminante al proposito risulta la lettura della VII lettera, dove Platone esprime tutto il
rammarico per la mancanza di una rivelatio, di un testo sacro come fondamento di tale suo profondo
convincimento, cui arriva con uno sforzo supremo della mente… sarà necessario il lignum crucis del
Cristianesimo per trasformare la zattera in una nave possente e fare di S.Agostino l’autore della
terza navigazione… Ma la sua intuizione è un vero guadagno per il sempre. Platone dunque scopre e
teorizza per primo l’aldilà e tutta la filosofia successiva dovrà fare i conti con tale scoperta: il
MONDO DELLE IDEE, eterno immutabile, perfetto, divino, tutto luce e amore, di cui questo mondo
fenomenico è solo copia imperfetta; l’IPERURANIO, tra cielo e cielo, senza tempo né spazio, dove
stanno le IDEE, gli archetipi di bellezza assoluta delle cose sensibili… e dove abitano le anime,
anch’esse eterne e divine, poiché fatte della stessa natura degli dei…

Necessario per comprendere la portata rivoluzionaria di tale scoperta, è la riflessione sul
significato del mito in Platone: mithos in greco significa discorso, racconto e ad esso Platone
ricorre sovente, creando immagini di straordinaria poesia, poiché alla forza espressiva di tale
narrazione affida il compito supremo di superare i limiti della ragione, elevando lo spirito a una
visione trascendente, oltre i cancelli invalicabili: quando la ragione giunge ai limiti estremi
della sue possibilità e comincia ad arrancare, poiché si squadernano davanti a lei le contrade
proibite della metafisica, ecco che allora subentra il mito come espressione di fede e di
credenza… in tale ottica, il SIMPOSIO, il FEDRO, il FEDONE, la REPUBBLICA, per citare alcuni dei
Dialoghi più significativi, dimostrano come la filosofia di Platone diventi una FEDE RAGIONATA
attraverso cui dimostrare che l’uomo è sulla terra di passaggio e la vita terrena è una prova,
attraverso il ciclo della reincarnazione, per tornare ad essere dei, ad essere puro spirito; la vera
vita è nell’aldilà, nell’invisibile, poiché quella è la nostra agognata dimora: “l’uomo è una pianta
celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono al cielo e i rami
in basso verso la terra”…

É la storia di una nascita, quella della metafisica occidentale, quindi della fede, della speranza;
con Platone si fonda filosoficamente il concetto di anima, operando un rovesciamento di valori
rispetto all’antichità e valido ancora oggi: egli crede fermamente che non tutto finisca con la vita
e che la morte altro non sia se non la separazione dell’anima dal corpo: e di fronte alle
perplessità del discepolo Cebete (Menone), Socrate, il grande maestro protagonista dei Dialoghi
platonici, oltre che sul piano della fede e della speranza, prova sulla base del ragionamento che
l’anima esiste anche dopo la morte dell’uomo mantenendo la sua potenza e la sua saggezza. E adduce
alcune prove ragionate di cui la più famosa è quella dell’anamnesi: conoscere significa ricordare,
risvegliare, attraverso l’esperienza quotidiana, ciò che l’anima già possiede in quanto già visto
proprio perché essa vive da un’altra parte, nel Mondo delle Idee, e nascendo dimentica …uno
schiavo, che nulla può sapere della matematica, guidato da Socrate riesce per induzione a risolvere
il teorema di Pitagora, poiché la verità è già dentro di lui, basta maieuticamente fargliela
partorire…

Che cosa dunque rende un corpo vivo? L’anima, risponde Socrate, non la vita. Poiché il predicato
essenziale dell’anima è essere viva, essa non può accogliere in sé il suo contrario che è la morte,
la quale altro non è se non un episodio che ontologicamente riguarda solo il corpo – che è tomba,
prigione, sema – la morte non solo non danneggia il corpo, ma arreca all’anima un gran bene,
permettendole di vivere un vita più vera, nella pura dimensione dello spirito, perché essa è
destinata all’eternità. Compito dell’uomo è quello di risvegliarsi al riconoscimento della propria
natura divina, della propria immortalità, rimettendo le ali per tornare a volare verso le visioni
iperuraniche, per tornare alla Luce, ricordando che egli stesso è luce. Straordinaria l’intuizione
di Platone: il nostro morire è il nostro vivere; la morte del corpo dischiude la vera vita
dell’anima! E ancora più straordinari per il potere di seduzione che hanno sulla sensibilità del
lettore diventano i miti raccontati da Platone per descrivere questo destino escatologico
dell’anima…celebre il mito dellA BIGA ALATA, usato da Platone per spiegare la primigenia vita
delle anime e la primigenia caduta, discesa nei corpi: l’anima, infatti, originariamente, dimorava
presso gli Dei e viveva con loro una vita divina, scorazzando per i cieli beati e andando di tanto
in tanto a pascersi presso la Pianura della Verità… ”…iniziati ai più profondi misteri, godevamo
di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi”(Fedro).

La caduta sulla terra in un corpo comincia per una colpa di cui l’anima si macchia… infatti la sua
struttura, racconta Platone, è come quella di un carro alato tirato da due cavalli e guidato da un
auriga: i due cavalli rappresentano le passioni (uno, di razza cattiva, simboleggia le passioni
negative, basse, l’altro, di razza buona, quelle positive, nobili) e naturalmente l’auriga
simboleggia la ragione che ha il compito di mantenere in equilibrio il carro… Così avviene che un
giorno, nel risalire l’erta che porta alla sommità del cielo, per colpa dell’intemperanza del
cavallo “nero” si verifica una ressa e alcune anime si calpestano, si scontrano: spezzatesi, così,
le ali e fattesi per conseguenza pesanti, le anime precipitano sulla terra… comincia così la vita
umana e il ciclo delle reincarnazioni, finalizzato alla purificazione dell’anima stessa…

Ed ecco il mito di Er, raccontato nella Repubblica, il mito più famoso ad indicare, con tutta la sua
forza narrativa e speculativa, il tema della reincarnazione e della libertà della scelta… Er,
soldato armeno morto in combattimento e rimasto sul campo di battaglia per dieci giorni, nel momento
in cui viene adagiato sulla pira per essere cremato, ritorna a vivere miracolosamente… Così
racconta di essere stato scelto dagli dei per intraprendere un viaggio nell’aldilà e riferire poi
agli uomini ciò che ha visto e appreso… inizia il suo racconto, capolavoro di autentica poesia…
indimenticabile la scena del giudizio: in un luogo meraviglioso verso cui si sono incamminate le
anime che hanno appena abbandonato il corpo, si aprono due voragini verso il cielo e due verso il
suolo; in mezzo siedono i giudici che, dopo aver ascoltato il resoconto delle singole anime,
indirizzano le buone verso il cielo, dove potranno vivere felici e scorazzare insieme agli dei, le
malvagie invece sotto terra dove andranno a soffrire scontando la loro colpa… il tutto per mille
anni (evidente qui l’influenza esercitata su Platone dalla mistica pitagorica del numero dieci, per
cui, visto che una vita terrena dura al massimo cento anni, la vita ultraterrena deve avere una
durata di dieci volte cento anni); trascorso questo ciclo, le anime tornano ad incarnarsi…
contemporaneamente alla dipartita delle anime appena giudicate, Er vede infatti una schiera di anime
tornare dal millenario viaggio del castigo o del premio: chi sbuca dall’altra voragine del suolo
sudicia di terra e polvere e chi scende invece festosa dal cielo… Splendido, intenso, commovente
il ritrovarsi nel verde prato, abbracciandosi, salutandosi e chiedendo notizie dei rispettivi
viaggi, come se si fossero date convegno per una festa di paese… Le une, ricordando quali e quante
sofferenze avevano patito e visto patire nel millenario viaggio sotto terra, sconsolatamente
piangevano, le altre, quelle che venivano dal cielo, raccontavano visioni di straordinaria bellezza.

Dopo la permanenza di una settimana in quel prato, ciascuna anima si rimette in viaggio per giungere
alla pianura della Verità, un luogo di sovrumana bellezza, invaso da una luce splendente e pura, che
sembra quasi preannunciare immagini paradisiache di stemperata levità dantesca… E’ il momento
centrale del racconto, perché ora si determina il destino futuro delle anime. E a questo riguardo
Platone opera un’autentica rivoluzione della tradizionale religione greca, secondo la quale
sarebbero gli dei e la dea Necessità, in particolare, a decidere la sorte degli uomini… Al
contrario, racconta Er, i paradigmi di tutte le possibili vite stanno in grembo alla Moira Lachesi,
figlia di Necessità e non vengono imposti ma proposti; la scelta è interamente consegnata alla
libertà delle stesse anime. L’uomo non è libero di scegliere se vivere o non vivere, ma è libero di
scegliere come vivere moralmente: “Anime effimere, è questo il principio di un altro periodo di
quella vita che è un correre alla morte. Non sarà il demone a scegliere voi, ma voi sceglierete il
vostro demone… La virtù non ha padrone: secondo che ciascuno la onora o la dispregia, avrà più o
meno di lei. La colpa è di chi sceglie. Dio non ha colpa”.

Detto questo, un profeta di Lachesi getta a sorte i numeri per stabilire l’ordine con cui ciascuna
anima deve recarsi a scegliere: il numero che tocca a ciascuna anima è quello che le cade più
vicino. Poi il profeta stende sul prato i paradigmi di tutte le vite possibili, in numero ben
superiore a quello delle anime presenti, in modo che anche per l’ultima resti la possibilità di
scelta di una vita buona. E’ il momento più sospirato e atteso, centro ideale di tutto il racconto e
dello stesso pensiero platonico… sono pagine di una indicibile bellezza scenografica, piene di
quello “stupore” che costituisce la molla al filosofare, perfettamente adeguate alla drammaticità
del momento in cui è messo in gioco il destino ultimo dell’uomo. La scelta dipende dalla libertà
delle anime, o meglio ancora , dalla loro conoscenza, saranno cioè tanto più libere di scegliere
bene, quanto più terranno a mente il ricordo delle vite precedenti. Scegliere significa allora
prendere possesso del proprio passato per migliorare il presente, per cui, secondo Platone, la
filosofia, come scienza del bene, come ricerca della verità, è una forza che salva nell’al di qua e
nell’al di là, per sempre…”se scegliamo bene, secondo virtù, non solo c’è la possibilità di essere
felici su questa terra, ma anche il viaggio di qui a là e di nuovo a qui non sarà sotterraneo e
malagevole, ma piano e per il cielo”.

La scelta fatta viene poi suggellata dalle altre due Moire, Cloto e Atropo, e diventa, così,
irreversibile. Ed ecco la chiusa del racconto, dove si possono cogliere rifrazioni in filigrana di
autentica poesia: giunta la sera, le anime, raccolte sulle sponde del fiume Amelete, il fiume della
dimenticanza, bevono ad una ad una l’acqua dell’oblio “E man mano che uno beveva, perdeva
completamente la memoria. A tal punto il sonno le avvolse, ma allo scoccare di mezzanotte, si
verificò un boato e un terremoto e d’improvviso le anime si involarono da lì verso la nascita, in
tutte le direzioni, schizzando via come stelle cadenti”…
Un altro giro di giostra…

“Brevi sono stati i miei giorni fra voi…
Ma per quanto la morte possa nascondermi,
io tornerò con la marea…
Sappiate dunque che tornerò dal gran silenzio…
Non dimenticate che sarò ancora tra voi…
Una breve interruzione, un momento di riposo sul vento
E un’altra donna mi porterà”

(K.Gibran)

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