19 novembre 2015
Negli esseri umani, la struttura della corteccia cerebrale è meno determinata dai geni rispetto agli
altri primati: lo ha stabilito una nuova ricerca confrontando centinaia di scansioni di risonanza
magnetica di cervelli umani e di scimpanzé. Il risultato depone a favore dell’ipotesi che
l’interazione con l’ambiente sia fondamentale nel plasmare il cervello umano e permettere
l’evoluzione culturale (red)
da lescienze.it
La morfologia della corteccia cerebrale umana è molto più complessa di quella dello scimpanzé, ma è
molto meno ereditabile per via biologica. È quanto è emerso da un nuovo studio pubblicato sui
“Procedings of the National Academy of Sciences” condotto da Aida Gómez-Robles, della George
Washington University a Washington, e colleghi di una collaborazione internazinale che dimostra
l’importanza dell’interazione con l’ambiente nel plasmare il cervello umano.
Rispetto ai primati non umani, il cervello umano oltre a essere più grandi e riorganizzato, possiede
una neocorteccia, la parte più superficiale dell’encefalo, incredibilmente espansa. Le prove fossili
dimostrano che questi cambiamenti sono avvenuti nella linea filogenetica degli ominidi, negli ultimi
6-8 milioni di anni, parallelamente a modificazioni alla rapidità dello sviluppo neurocerebrale.
Anche se è stato possibile collegare alcuni di questi cambiamenti a varianti genetiche nella
discendenza umana, lo studio dell’evoluzione cerebrale negli ominidi resta una sfida a causa delle
limitazione delle registrazioni fossili endocraniche. Il confronto tra i cervelli di scimpanzé e
degli esseri umani è perciò essenziale per evidenziare i tratti neurali che differenziano le due
specie, che devono essersi evoluti dopo la divergenza dei due rami filogenetici dall’ultimo antenato
comune.
Lo sviluppo cognitivo e il comportamento degli esseri umani, indispensabili per l’adattamento a
un’ampia gamma di habitat tipico della nostra specie, dipendono per molta parte da capacità e
informazioni apprese da altri, vale a dire dalla trasmissione culturale: è quindi chiaro che gli
input ambientali hanno un ruolo cruciale nel plasmare il cervello umano. Ma è un ruolo maggiore
rispetto ai nostri parenti evolutivamente più stretti, fossili o viventi che siano?
Per valutare il peso relativo delle influenze genetiche e di quelle ambientali in un tratto
fenotipico, il metodo standard è considerarne la variabilità in un campione di di soggetti che hanno
una relazione parentale nota: tipicamente si studiano gemelli omozigoti, che condividono il 100 per
cento del patrimonio genetico, vissuti in ambienti diversi, o gemelli dizigoti, che condividono
mediamente il 50 per cento del patrimonio genetico.
Per valutare il contributo relativo di geni e di ambiente nello sviluppo neurale, Gómez-Robles e
colleghi hanno valutato l’ereditabilità delle dimensioni del cervello e dell’organizzazione
corticale negli scimpanzé e negli esseri umani studiando scansioni di risonanza magnetica cerebrale,
che consentono di ricostruire la morfologia tridimensionale della corteccia cerebrale, condotte su
206 scimpanzé e 218 esseri umani con relazioni parentali note.
L’analisi ha rilevato che l’ereditabilità dell’anatomia cerebrale negli esseri umani è
significativamente più bassa rispetto a quella degli scimpanzé, il che indica che i fattori
ambientali esercitano un’influenza maggiore nello sviluppo neurobiologico umano che in quello dei
primati non umani.
Secondo gli autori, questa plasticità anatomica, tipica della fase di sviluppo degli esseri umani,
che dura molto più a lungo che nelle altre specie animali, è il fattore chiave che permette
l’evoluzione culturale negli esseri umani.
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