L’amnesia infantile potrebbe dipendere da un problema nella rievocazione dei ricordi

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L’amnesia infantile potrebbe dipendere da un problema nella rievocazione dei ricordi

A 12 mesi di età l’ippocampo è già in grado di codificare i ricordi: un difficile recupero
spiegherebbe perché non ricordiamo i primi anni di vita.

21 marzo 2025 – Elisabetta Intini

La memoria episodica in fondo non è tutto.

Perché non ricordiamo praticamente nulla dei nostri primi tre anni di vita – salvo qualche sporadico
episodio che crediamo di ricordare, ma che spesso, purtroppo, è falso? Le origini dell’amnesia
infantile sono uno degli aspetti più discussi e misteriosi delle neuroscienze.

Ora uno studio in risonanza magnetica funzionale (fMRI) dimostra che il cervello dei bambini è in
grado di codificare ricordi già a 12 mesi di età. E suggerisce che l’amnesia infantile non sia un
problema di “scrittura” dei ricordi, ma piuttosto della loro rievocazione, così come già emerso in
studi su animali. La ricerca è stata pubblicata su Science.

UN PROBLEMA DI CODIFICA? A lungo si è ipotizzato che l’impossibilità di ricordarci eventi specifici
dei primi anni di vita dipendesse da un non ancora completo sviluppo dell’ippocampo, la struttura
cerebrale che ha un ruolo centrale nella formazione di nuovi ricordi e che completa la sua
formazione nel corso dell’adolescenza. Il problema è che verificare questa e altre teorie
sull’amnesia infantile è molto complesso.

RICORDA, MA NON LO SA DIRE? La peculiarità della memoria episodica, l’abilità di ricordare
avvenimenti specifici situati nel tempo, è infatti la possibilità di descrivere ad altri quei
ricordi. Un processo difficile, quando a dover descrivere è un bambino sotto i 3 anni di età, spesso
ancora in fase pre-verbale.

Per il nuovo studio, i ricercatori sotto la guida di Nicholas B. Turk-Browne, neuroscienziato del Wu
Tsai Institute presso l’Università di Yale (Connecticut, USA), hanno usato un particolare approccio
che ha permesso di capire se bambini dai 4 ai 24 mesi di vita avessero memorizzato un’immagine vista
poco prima.

QUESTA NON MI È NUOVA… I piccoli hanno potuto osservare immagini mai viste prima di un volto, di
una scena o di un oggetto. Dopo essere stati sottoposti ad altre immagini “nel mezzo”, sono stati
messi davanti alle foto inedite viste in precedenza e ad altre del tutto nuove. I bambini si sono
soffermati più a lungo a osservare le immagini che avevano già incontrato – come se in effetti
fossero familiari.

IPPOCAMPO ATTIVO. Nel frattempo, gli scienziati li hanno sottoposti a un tipo di risonanza magnetica
funzionale (fMRI) che si può eseguire su bambini fermi e in movimento, e che ha mostrato l’attività
del loro ippocampo.

Maggiore era l’attività nell’ippocampo quando un bambino o un neonato guardava una nuova immagine,
più a lungo quella stessa immagine veniva osservata quando ricompariva la seconda volta.

Quindi l’ippocampo stava codificando nuovi ricordi, con un’attività particolarmente intensa nella
parte posteriore dell’ippocampo, quella che negli adulti risulta associata alla memoria episodica.

L’ABC DEL REALE. Quanto osservato è valso per tutti i 26 bambini, ma in particolare per quelli con
più di 12 mesi (la metà del campione). L’idea è che l’ippocampo si sviluppi per supportare le
funzioni di apprendimento. Studi passati avevano ipotizzato che prima dell’anno e già a 3 mesi di
vita, i bambini imparino con una forma di apprendimento non episodico ma statistico, che estrae
schemi ricorrenti dalle situazioni per cercare di cogliere la regola generale.

Questo tipo di memoria è associata alla parte anteriore dell’ippocampo, coinvolge un diverso
percorso neurale e precede quella episodica, che potrebbe svilupparsi a partire dall’anno di vita.
Le due forme di apprendimento rispecchiano diverse necessità del bambino: «L’apprendimento
statistico riguarda l’estrazione della struttura nel mondo che ci circonda, fondamentale per lo
sviluppo del linguaggio, della vista, dei concetti» spiega Turk-Browne.

RECUPERO IMPOSSIBILE. Ma se i ricordi sono già codificati nell’ippocampo già a 12 mesi di età, dove
vanno a finire, poi? Due le ipotesi: la prima è che le tracce codificate non siano poi convertite in
ricordi a lungo termine. La seconda, è che i ricordi della prima infanzia ci siano, ma che non siano
accessibili. La seconda teoria è più accreditata, a maggior ragione dopo la scoperta che l’ippocampo
sa già codificare i ricordi a un anno di vita. Lo stesso gruppo di scienziati sta già lavorando per
capire se queste tracce siano ancora presenti nei bambini in età prescolare, per poi svanire con la
crescita.

dx.doi.org/10.1126/science.adt7570

da focus.it

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