L’anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale

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L’anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale

Fonte: Corriere della sera 23 Ottobre 2000

Due medici inglesi: l’anima esiste e sopravvive alla morte cerebrale
Pazienti colpiti da arresto cardiaco hanno raccontato di luci, sensazioni di gioia e ingresso in un
altro mondo.

LONDRA – Una mente indipendente dal cervello e una coscienza, o anima, che vive dopo la morte
cerebrale. In pratica, l’esistenza dell’anima provata scientificamente, visto che ad avanzare
l’affascinante ipotesi sono due medici, Peter Fenwick, neuropsichiatra londinese, e Sam Parnia,
ricercatore clinico all’ospedale di Southampton e che la ricerca sarà pubblicata dalla rivista
medica Resuscitation.
Per un anno i due hanno studiato 63 casi di pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Di questi,
56 non avevano memoria del tempo in cui erano rimasti privi di conoscenza. Ma quattro dei sette che
hanno dichiarato di ricordare qualcosa hanno superato la scala Grayson, che valuta le esperienze di
«quasi morte». I quattro hanno parlato di sensazioni di pace e gioia, tempo accelerato, perdita di
percezione del corpo, di una luce brillante e dell’ingresso in un altro mondo.
Esperienze che per gli scienziati non potrebbero spiegarsi con un collasso delle funzioni cerebrali
causato da mancanza di ossigeno o con combinazioni di medicinali (che in casi del genere sono uguali
per tutti).
“Queste persone erano in una condizione in cui il cervello non avrebbe dovuto essere in grado di
sostenere processi lucidi o consentire di avere ricordi duraturi”, ha dichiarato Parnia al Sunday
Telegraph. A meno che il cervello non sia l’ intermediario di una mente indipendente.

Fonte: MysteryMail 25 Ottobre 2000

Secondo due eminenti medici britannici l’anima esisterebbe. Peter Fenwick, neuropsichiatra
all’Istituto di neuropsichiatria di Londra e Sam Parnia, ricercatore clinico presso l’ospedale di
Southampton, in seguito ad analisi strettamente scientifiche, hanno ipotizzato che la mente sia
indipendente dal cervello e che l’anima continui a vivere dopo la morte cerebrale.
Gli studiosi si sono basati sulle testimonianze dei malati che hanno raccontato di aver provato un
senso di pace e di gioia in una “condizione in cui il cervello non avrebbe dovuto essere in grado di
sostenere processi lucidi o consentire loro di avere ricordi duraturi”. In seguito a uno studio
condotto al General Hospital di Southampton gli studiosi hanno intervistato 63 pazienti
sopravvissuti all’arresto cardiaco. Fra questi, 4 persone avrebbero superato la c.d. scala Grayson,
criterio medico per valutare le esperienze di “quasi morte” e ognuno di loro avrebbe avvertito
sensazioni di pace eterna, di smarrimento della percezione fisica, di ingresso in un altro mondo.

Secondo Parnia “ciò potrebbe fornire una risposta alla domanda se la mente o la coscienza siano
prodotte dal cervello, o se il cervello non sia invece una specie di intermediario della mente, la
quale esiste indipendentemente”. Fenwick e Parnia hanno escluso che l’esperienza possa spiegarsi con
un collasso delle funzioni celebrali causato da mancanza di ossigeno.
Con l’analisi delle cartelle cliniche è stata altresì esclusa la possibilità che l’accaduto sia
riconducibile a combinazioni di medicinali dato che le tecniche di rianimazione praticate in
ospedale sono uguali per ogni paziente

Le testimonianze relative a situazioni nelle quali il paziente, clinicamente considerato morto, è
poi sopravvissuto e ha raccontato di essersi trovato in un mondo di luce, sono molte (migliaia) e
sono state rese note anche in testi editi in varie lingue, compreso l’italiano.
Singolare è invece l’esperimento condotto da alcuni scienziati russi.

(da “La Stampa”, in data 20 maggio 1995 – pag.6), – di Giulietto Chiesa.

“Indagine sull’aldilà” – San Pietroburgo (Russia)

Il cadavere è di una donna di 44 anni. L’hanno trovata impiccata undici ore prima. Ha ancora indosso
un paio di mutandine rosa e una maglietta di colore stinto. Il cartellino al pollice del piede, con
i pochi dati essenziali, una larga ecchimosi attorno al collo. Un tanfo orrendo ci circonda,
emanante dalla centinaia e centinaia di cadaveri che aspettano l’autopsia, ammucchiati nei corridoi
semibui di questo sconfinato obitorio che raccoglie i morti “per accidente”.
Il professor Kostantin Korotkov apre la sua valigetta nera. Sembra una ventiquattrore, in realtà è
un apparecchio portatile di rilevazione con tante luci rosse. Attacca la spina, lega un elettrodo al
polso sinistro della morta, distende le dita rattrappite della mano destra, che crocchiano e
resistono ai suoi tentativi, finché riesce a disporre la mano, ormai allargata, su una tavoletta
metallica, l’altro elettrodo, che contiene una lastra impressionabile, collegata all’apparecchio.
Il ronzio elettrico segnala che l’esperimento è cominciato. Attorno alle dita della morta, nella
penombra, si scorge nettamente un alone azzurro-viola piuttosto intenso, vibrante. È l’elettricità
che lo produce ? Cos’è ? Korotkov si affaccenda con mosse calme attorno all’apparecchio.
“Tutto viene registrato qui dentro. Insieme ai dati ricavati dalle lastre impressionate, commenta,
verrà inserito nei nostri computer per l’analisi statistica. Anche su questo cadavere effettueremo
rilevazioni ogni 2 ore, per 5 giorni, poi dovremo restituirlo. Oltre non possiamo andare, per
adesso. L’ostacolo è giuridico-legale”.

Tutto quello che vediamo ha l’apparenza, e la sostanza, di un normale esperimento di laboratorio.
Eppure qui, a San Pietroburgo, i ricercatori dell’Università Tecnica stanno cercando di rispondere a
una domanda antica come l’umanità: resta qualcosa di noi dopo la morte ? “Le religioni , in tutti i
tempi, hanno sempre risposto di sì – dice Korotkov -. È logico. Esse esistono proprio perché l’uomo
ha sempre penato o sperato, di essere in qualche modo immortale. La scienza si è dovuta fermare al
limitare dell’ultimo respiro, semplicemente perché non c’era modo di andare oltre con prove
sperimentali. I nostri esperimenti dicono che, invece, si può andare oltre. Ci troviamo sulla
spiaggia di una terra inesplorata, che si delinea sterminata, e dove un giorno troveremo risposte
che potrebbero mutare l’intera nostra percezione del mondo”.
Le labbra screpolate del cadavere sono semiaperte, immobili come un attimo fa. Gli occhi, segnati da
una riga di trucco ormai disfatta, restano chiusi.
Eppure questo corpo incontestabilmente senza vita “emette” ancora qualcosa. “Si, insiste Korotkov,
possiamo affermare, dopo due anni di ricerche, di aver ottenuto l’evidenza sperimentale
dell’attività del corpo umano almeno per alcuni giorni dopo la morte. È qualcosa che sembra
contraddire tutto quanto si sapeva sino ad oggi, e cioè che tutte le attività fisiologiche
dell’organismo si spengono rapidamente dopo la morte clinica e vanno a zero in un determinato,
breve, periodo di tempo”.
Le domande si affollano, la tentazione di sconfinare dal solido terreno sperimentale nella
sterminata serie di ipotesi, estrapolazioni, teorie, si fa irresistibile. “Qui il confine tra
scienza e esoterismo diventa sottile, ma dobbiamo resistere alla tentazione, che io stesso provo, di
lanciarsi
nell’ignoto”.

Chi commenta così è Ghennadij Nikolaevic Dulnev, il direttore del “Centro di Tecnologia
enegetico-informativa” di cui il programma di Korotkov è soltanto una parte.
Il centro di Dulnev si occupa della registrazione obbiettiva, della verifica, reperibilità,
utilizzazione pratica di una larga serie di fenomeni “paranormali”, come telepatia e telecinesi.
Si era partiti dalla ricerca diagnostica. Si suppone da tempo che il corpo umano “emetta” un campo,
(CEI) per ora sconosciuto, contenente una vasta quantità d’informazioni sullo stato dell’individuo,
sulle sue caratteristiche biologiche, psichiche, ereditarie, e quindi anche sul suo stato di salute.
Attraverso l’uso sistematico dello “effetto Kirlian” sui pazienti, si è scoperto che il campo emesso
dall’individuo contiene effettivamente dati che possono aiutare a comporre un ritratto completo, per
esempio, dello stato degli organi interni.

Già, ma che c’entra il cadavere ?

Korotkov e il suo gruppo, due anni fa, pensarono di provare a vedere cosa succedeva sottoponendo un
cadavere alla stessa analisi. Lo scopo era piuttosto semplice: “Volevamo osservare – spiega
Korotkov, che è un fisico e non un medico – in quali tempi si affievolisce e scompare, dopo la
morte, il campo energetico-informativo che circonda l’individuo”. E qui è arrivata la sorpresa.
Una sorpresa sconvolgente. Il “campo” non scompare. Non solo, a quanto sembra l’ “emissione”, tra
l’altro, ha un rapporto con le “modalità della morte”. Per esempio: i defunti per vecchiaia fanno
registrare un graduale indebolimento del “segnale” nelle prime 48 ore dopo il decesso.
Ma esso si stabilizza e permane, seppure debole, anche oltre. Altro esempio: i decessi per incidente
o per cause improvvise. In questo caso si registra un brusco aumento del “segnale” nelle prime venti
ore, seguito da un’altrettanta brusca caduta, fino a un livello stabile e debole. Il terzo esempio è
il più inquietante. Riguarda i decessi in condizioni di acuta sofferenza, in seguito ad assassinio,
violenze fisiche. Qui l’emissione post mortem ha un andamento irregolare che si prolunga per
l’intero periodo di osservazione (finora per i cinque giorni successivi alla morte) e non registra
alcuna stabilizzazione (esplosioni d’intensità cui fanno seguito cadute improvvise).
In particolare i suicidi mostrano un andamento delle emissioni talmente convulso da poter essere
distinto da tutte le altre cause di morte.

“La criminalistica, dice Korotkov, può usare questi risultati per stabilire senza margine di errore
se il defunto è stato ucciso o si è ucciso”. Ma questo è un semplice dettaglio pratico. Balza agli
occhi una serie di immediate conseguenze. Il corpo del defunto “trasmette” informazioni che
“ricordano” gli ultimi istanti della vita. Come è possibile ? e questa informazione persiste
indipendentemente
dall’allontanarsi dal momento della morte. Ma perché le osservazioni si sono fermate al quinto
giorno ? “Per ragioni legali, risponde Korotkov, i corpi che ci vengono dati in osservazione debbono
essere restituiti all’autorità giudiziaria. Certo vorremmo andare oltre, fino al nono o la
quarantesimo, per vedere cosa succede”. E perché questi due intervalli ? “Perché siamo convinti che
le credenze religiose di molti popoli abbiano a che fare con quel che stiamo studiando”.

Siamo vicini alla scoperta di qualcosa di simile all’ “anima” ? Ciascuno la chiami come vuole.
“Il nostro linguaggio risente della nostra cultura attuale e delle nostre tradizioni, commenta
Dulnev, ma io penso che dobbiamo cominciare a pensare che il nostro mondo è molto più complesso di
quanto crediamo. Noi viviamo oggi nello spazio-tempo-materia. Non basta per spiegare fenomeni come
quelli di cui stiamo parlando. Bisogna supporre l’esistenza di un’altra dimensione, di un campo
informativo, dove le trasmissioni avvengono a velocità superiore a quella della luce”.

“Sono ipotesi, continua Korotkov, ma noi pensiamo che i guaritori (e, in linea di principio, ogni
individuo) siano come degli apparecchi ricetrasmittenti imperfetti, che riescono a sintonizzarsi più
o meno bene con questo campo. Questo spiegherebbe perché i risultati dei singoli esperimenti possono
essere contraddittori. Ma sul piano statistico, una volta raggiunta una sufficiente quantità di
dati, questa contraddittorietà scompare. Gli esperimenti condotti nella ricerca di persone
scomparse, ad esempio mostrando ai guaritori una semplice fotografia, permettono di fissare un esito
positivo nell’85 per cento dei casi. Il margine di errore è straordinariamente basso.
È come se determinate persone, particolarmente dotate e allenate, riuscissero a entrare in contatto
con un patrimonio d’informazione comune, estraendone dati. I defunti lascerebbero attorno a noi, da
qualche parte, qualcosa del loro patrimonio informativo

È come se determinate persone, particolarmente dotate e allenate, riuscissero a entrare in contatto
con un patrimonio d’informazione comune, estraendone dati. I defunti lascerebbero attorno a noi, da
qualche parte, qualcosa del loro patrimonio informativo”.
I limiti sperimentali attuali sono evidenti. Con queste apparecchiature si può registrare
l’emissione soltanto finché il corpo esiste, cioè esistono le dita. A decomposizione avvenuta, o
dopo la cremazione, lo strumento non funziona e bisognerà inventare altri sistemi di rilevazione.
Ma il professor Dulnev non dispera. La ricerca prosegue in parallelo. Sui computer c’è già una
cospicua serie di rilevazioni sull’esistenza del campo. “I nostri esperimenti dimostrano senz’ombra
di dubbio, ad esempio, che la telepatia è una realtà”, dice Dulnev mostrando decine di episodi
sperimentali di trasmissione telepatica provocata in laboratorio. E non si tratta di trasmissione
elettromagnetica, ma di “qualcos’altro”. Cosa ? Dulnev allarga le braccia”.
“Le nostre apparecchiature misurano massa, energia, impulsi, non questo campo. Ma ora sappiamo che
possiamo entrare in contatto con esso, rilevarne l’esistenza e captare una microscopica parte
dell’informazione che esso contiene o rappresenta. Attorno a noi c’è un’altra realtà che finora
abbiamo considerato supernaturale, soprannaturale. Forse lo è, forse non lo è. Ma c’è”

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