secondo S.N.Goenka) – di William Hart (parte terza)
L’ARTE DI VIVERE
“La tecnica di meditazione Vipassana secondo S. N. Goenka”
traduzione di
MARIA ANGELA PALA e PIERLUIGI GONFALONIERI
CAPITOLO TERZO
LA CAUSA IMMEDIATA
Il mondo reale non regge il paragone con quello delle fiabe, in cui ognuno vive felice per sempre.
Non possiamo nasconderci la verità, e cioè che la vita è imperfetta, incompleta, insoddisfacente: la
verità dell’esistenza della sofferenza.
Assodata questa realtà, ciò che è importante sapere è se la sofferenza abbia una causa e, in caso
affermativo, se sia possibile rimuovere tale causa in modo che anche la sofferenza possa essere
rimossa.
Se gli avvenimenti che provocano la nostra sofferenza sono semplicemente delle circostanze casuali
su cui non abbiamo alcun controllo o influenza, allora siamo impotenti e possiamo lasciar perdere il
tentativo di cercare una via d’uscita.
Se invece le nostre sofferenze sono dettate da un essere onnipotente che agisce in modo arbitrario e
imperscrutabile, allora dobbiamo scoprire come propiziarci tale essere in modo che sia benevolo.
Il Buddha ha compreso che la nostra sofferenza non è solo un prodotto del caso. Ci sono delle cause
dietro ad essa, esattamente come ci sono cause per tutti i fenomeni: la legge di causa ed effetto
kamma è universale e fondamentale per l’esistenza; e non esistono cause al di là del nostro
controllo.
– Kamma –
Alla parola kamma (o, nella più conosciuta forma sanscrita, karmà) viene generalmente attribuito il
significato di «fato». Purtroppo le connotazioni di questa parola sono proprio il contrario di ciò
che il Buddha intendeva con kamma.
Il fato è qualcosa che sta fuori del nostro controllo, è il decreto della provvidenza, ciò che è
stato pre-ordi-nato per ognuno di noi. Tuttavia, kamma letteralmente significa « azione ». Proprio
le nostre azioni sono la causa di tutto ciò che sperimentiamo:
« Tutti gli esseri compiono i loro atti, sono eredi dei loro atti, hanno origine dai loro atti, sono
legati ai loro atti; i loro atti sono il loro rifugio. Così come i loro atti sono vili o nobili,
altrettanto lo saranno le loro esistenze».
Tutto ciò in cui ci imbattiamo nella nostra vita è il risultato delle nostre azioni. Di conseguenza,
tutti possiamo diventare padroni del nostro destino diventando padroni delle nostre azioni. Ognuno
di noi è responsabile delle azioni che danno origine alla propria sofferenza. Ognuno di noi ha i
mezzi per porre fine alla sofferenza provocata dalle proprie azioni.
Il Buddha ha detto:
“Ciascuno è maestro di se stesso; Ciascuno costruisce il proprio futuro.”
Così, ognuno di noi è come un uomo che non ha mai imparato a guidare e siede con gli occhi bendati
al volante di un’auto in corsa su una strada piena di traffico. Non è possibile che egli raggiunga
la destinazione senza incidenti. Anche se può pensare di essere lui a guidare la macchina, in realtà
è la macchina a guidare lui. Se vuole evitare un incidente e fare in modo di arrivare a
destinazione, deve togliersi la benda dagli occhi, imparare a guidare il veicolo e condurlo fuori
pericolo il più rapidamente possibile. Analogamente, noi dobbiamo diventare consapevoli di ciò che
facciamo, e quindi imparare a compiere quelle determinate azioni in grado di condurci dove vogliamo
realmente andare.
Le tre categorie di azioni
Ci sono tre categorie di azioni: fisica, verbale e mentale. Normalmente diamo maggiore importanza
alle azioni fisiche,
meno alle azioni verbali e meno ancora alle azioni mentali.
Colpire una persona ci sembra un’azione più grave che insultarla, ed entrambe appaiono più pesanti
di una malevolenza inespressa nei suoi confronti. Di fatto, sarebbe questo il giudizio conforme alle
leggi emanate dagli uomini in ogni paese.
Ma secondo Dhamma, la legge della natura, l’azione mentale è la più importante.
Un’azione fisica o verbale assume un significato completamente diverso a seconda delle intenzioni
con cui la si compie.
Un chirurgo usa il bisturi per operare d’urgenza un uomo in pericolo di vita, ma l’intervento non ha
successo e il paziente muore; un assassino usa il pugnale per colpire a morte la sua vittima:
fisicamente le due azioni sono simili, con gli stessi effetti, ma mentalmente sono agli antipodi. Il
chirurgo agisce per compassione, l’assassino per odio. I risultati ottenuti sono radicalmente
diversi, perché diversa è l’azione mentale.
Allo stesso modo, nel caso della parola, la cosa più importante è l’intenzione.
Un uomo discute con un collega e lo ingiuria, definendolo pazzo. Esprime ira.
Lo stesso uomo vede suo figlio che gioca nel fango e teneramente lo chiama pazzo. Esprime amore.
In entrambi i casi sono state pronunciate le stesse parole, ma per esprimere due opposti stati
mentali.
È l’intenzione delle nostre parole che determina il risultato. Parole e azioni, e i loro effetti
esterni, sono mere conseguenze dell’azione mentale. Essi si giudicano in relazione alla natura
dell’intenzione che esprimono.
L’azione mentale è il vero kamma, la causa che darà i risultati nel futuro.
Comprendendo questa verità il Buddha ha annunciato:
La mente precede tutti i fenomeni, la mente è la cosa più importante, ogni cosa è fatta dalla mente.
Se con una mente impura parlate o agite, allora la sofferenza vi seguirà, come la ruota di un carro
segue l’animale da tiro.
Se con una mente pura parlate e agite, allora la felicità vi seguirà come un’ombra che non svanisce
mai.
La causa della sofferenza
Ma quale azione mentale determina il nostro destino? Se la mente non consiste di nient’altro che di
conoscenza, percezione, sensazione e reazione, quale di queste da origine alla sofferenza? Ognuna di
esse è coinvolta in qualche misura nel processo della sofferenza. Le prime tre, tuttavia, sono
principalmente passive. La coscienza recepisce soltanto i primi dati dell’esperienza, la percezione
li inserisce in una categoria, la sensazione segnala ciò che è accaduto nei passaggi precedenti.
Il lavoro di queste tre azioni mentali è quello di assimilare di mano in mano le informazioni
subentranti. Ma quando la mente inizia a reagire, la passività lascia il passo all’attrazione o alla
repulsione, al piacere o al dispiacere. Questa reazione mette in moto una nuova catena di eventi,
all’inizio della quale c’è la reazione, sankhàra. Ecco perché il Buddha ha detto:
Qualsiasi sofferenza sorga ha una reazione quale causa.
Se tutte le reazioni cessassero, allora non ci sarebbe più sofferenza.
Il vero kamma, la vera causa della sofferenza, è la reazione della mente. Ogni fugace reazione di
piacere o dispiacere può non essere molto forte e può non dare molti risultati, ma può avere un
effetto cumulativo. La reazione è ripetuta momento per momento, intensificandosi a ogni ripetizione
e sviluppandosi verso la bramosia o l’avversione: è ciò che nel suo primo sermone il Buddha ha
definito tanhà, letteralmente «sete»: cioè l’abitudine mentale all’insaziabile bramosia di ciò che
non c’è, la quale implica una uguale e irrimediabile insoddisfazione per ciò che c’è. E man mano che
bramosia e insoddisfazione aumentano di intensità, più profonda sarà la loro influenza sui nostri
pensieri, sui nostri discorsi e sulle nostre azioni: e maggiore la sofferenza che provocheranno.
Alcune reazioni, ha detto il Buddha, sono come linee tracciate su uno specchio d’acqua: appena
disegnate, si cancellano.
Altre sono come linee tracciate sulla sabbia: se sono state disegnate al mattino, spariranno durante
la notte, eliminate dalla marea o dal vento. Altre sono come linee incise profondamente nella roccia
con scalpello e martello.
Anch’esse scompariranno a causa dell’erosione, ma ci vorrà molto molto tempo.
Ogni giorno, per tutta la vita, la nostra mente continua a generare reazioni: eppure se alla fine di
ciascun giorno cerchiamo di ricordarle, non saremo in grado di richiamarne alla memoria che una o
due, ossia quelle che quel giorno ci hanno maggiormente impressionato. Così, se cerchiamo di
ricordare tutte le reazioni che abbiamo avuto nel corso di un mese, saremo capaci di rammentarne
solo una o due che in quel mese ci hanno impressionato più profondamente. E allo scadere di un anno
saremo capaci di ricordare solo una o due reazioni che in quell’anno hanno lasciato l’impressione
più profonda.
Le reazioni profonde di questo tipo sono assai pericolose e conducono a un’immensa sofferenza.
Il primo passo per emergere da tale sofferenza è quello di accettarne la realtà, non come un
concetto filosofico o un articolo di fede, ma come un dato della nostra stessa esistenza. Se
accetteremo questo e comprenderemo che cos’è la sofferenza e perché soffriamo, cesseremo di essere
guidati e saremo noi a cominciare a guidare.
Imparando a comprendere la nostra natura, potremo incamminarci sul sentiero che conduce alla fine
della sofferenza.
– Domande e risposte .
DOMANDA: La sofferenza non è forse una parte naturale della vita? Perché dobbiamo cercare di
sfuggirle?
SATYA NARAYAN GOENKA: Siamo ormai così immischiati con la sofferenza che esserne esenti ci sembra
innaturale.
Ma quando sperimenterete la reale felicità della purezza mentale, allora vi renderete conto che
questo è uno stato naturale della mente.
L’esperienza della sofferenza può nobilitare una persona e aiutarla a fortificare il carattere?
Sì. Questa tecnica infatti utilizza deliberatamente la sofferenza come uno strumento per rendere
nobile una persona.
Ma ciò accadrà solo se questa persona imparerà a osservare oggettivamente la sofferenza.
Se rimane attaccata alla sua sofferenza, l’esperienza non la nobiliterà ed essa rimarrà sempre
infelice.
Controllare le proprie azioni non è una sorta di repressione?
No. Si impara solo a osservare oggettivamente ciò che avviene. Se qualcuno è adirato e cerca di
nascondere la sua
collera, di sopportarla, allora, sì, c’è repressione. Ma osservando la collera, scoprirete che
automaticamente essa svanisce.
Vi liberate dalla collera quando imparate a osservarla oggettivamente.
Se continuiamo a osservare noi stessi, come possiamo vivere in modo naturale? Saremmo così impegnati
a guardarci che non potremmo agire liberamente o spontaneamente.
Non è questo ciò che le persone verificano dopo aver completato un corso di meditazione. Qui
imparate un training mentale che vi metterà in grado di osservarvi nella vita quotidiana ogni volta
che ne avrete bisogno. Non è che si debba continuare a esercitarsi a occhi chiusi tutto il giorno
per tutta la vita, ma così come la forza che si acquista attraverso l’esercizio fisico vi aiuta
nella vita quotidiana, analogamente questo esercizio mentale vi fortificherà.
Quella che viene chiamata « azione libera e spontanea » è in realtà una reazione cieca, sempre
pericolosa. Imparando ad osservarvi, scoprirete che è possibile mantenere l’equilibrio della mente
tutte le volte che vi trovate in una situazione difficile. È questo equilibrio che vi mette in grado
di scegliere liberamente come agire.
Compirete allora un’azione reale, che è sempre positiva e sempre di beneficio per voi e per gli
altri.
Esistono avvenimenti fortuiti, eventi accidentali senza una causa?
Nulla avviene senza una causa. È impossibile. Talvolta i nostri sensi limitati e il nostro
intelletto non la possono di-scernere con chiarezza, ma questo non significa che non ci sia.
Voi affermate che ogni cosa nella vita è predeterminata?
Certamente le nostre azioni passate daranno dei frutti, buoni o cattivi. Sono esse a determinare il
tipo di vita che conduciamo, la situazione generale in cui ci troviamo. Ma ciò non significa che
qualsiasi cosa ci accada sia predestinata, stabilita dalle nostre azioni passate, e che non possa
accadere nient’altro. Non è così. Le nostre azioni passate influenzano il corso della nostra vita
dirigendola verso esperienze piacevoli o spiacevoli. Ma le azioni presenti sono ugualmente
importanti. La natura ci ha dato la capacità di essere padroni delle nostre azioni presenti: con
tale padronanza possiamo cambiare il nostro futuro.
Ma certamente anche le azioni degli altri ci influenzano.
Naturalmente. Siamo influenzati da chi ci circonda e dall’ambiente, così come noi li influenziamo.
Se ad esempio la maggioranza è favorevole alla violenza, allora possono avvenire guerre e
distruzioni, provocando immani sofferenze.
Ma se la gente incomincia a purificare la mente, allora non può esserci violenza. La radice del
problema è nella mente di ogni essere umano, e dato che la società è composta di individui, se ogni
persona inizia a cambiare, cambierà anche la società e guerre e distruzioni diventeranno eventi
rari.
Come possiamo aiutarci l’un l’altro se ognuno di noi deve confrontarsi con i risultati delle proprie
azioni?
Le nostre azioni mentali influenzano gli altri. Se nella mente non generiamo altro che negatività,
tale negatività ha un effetto pericoloso su quelli che entrano in contatto con noi. Se colmiamo la
mente di positività e benevolenza verso gli altri, questo avrà un effetto giovevole su coloro che ci
circondano. Non potete controllare le azioni, il kamma degli altri, ma potete diventare padroni di
voi stessi per esercitare un influsso positivo su coloro che vi stanno intorno.
Perché essere ricchi è un buon karma? Se è cosi, significa forse che la maggior parte di coloro che
vivono in Occidente hanno un buon karma e la maggior parte di coloro che vivono nel Terzo mondo
hanno un cattivo karma?
La ricchezza da sola non è un buon karma. Se diventate ricchi ma restate infelici, qual è l’utilità
della vostra ricchezza? Essere ricchi e anche felici, realmente felici: è questo un buon karma. La
cosa più importante è essere felici, ricchi o no.
Non è forse innaturale non reagire mai?
È ciò che sembra a coloro che hanno esperienza solo degli errati schemi abituali di una mente
impura. Ma è naturale per una mente pura rimanere distaccata, piena d’amore, compassione,
benevolenza, gioia ed equanimità. Dovete imparare a sperimentarlo.
Come possiamo essere coinvolti nella vita senza reagire?
Invece di reagire, imparate ad agire, ad agire con una mente equilibrata.
Il meditatore di Vipassana non diventa inattivo come un vegetale. Impara ad agire positivamente.
Quando sarete in grado di cambiare gli schemi abituali da reazione ad azione, allora avrete ottenuto
qualcosa di grande valore. E Vipassana porta a questo cambiamento.
CAPITOLO QUARTO
LA RADICE DEL PROBLEMA
« La verità della sofferenza deve essere esplorata fino alla radice», ha detto il Buddha.1 Nella
notte in cui raggiunse l’illuminazione, sedette risoluto a non alzarsi finché non avesse compreso
come nasce la sofferenza e come può essere sradicata…
…
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