L’arte di vivere la tecnica della meditazione vipassana 5

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L’arte di vivere la tecnica della meditazione vipassana 5

secondo S.N.Goenka – di William Hart (parte quinta)

L’ARTE DI VIVERE
“La tecnica di meditazione Vipassana secondo S. N. Goenka”

traduzione di
MARIA ANGELA PALA e PIERLUIGI GONFALONIERI

Una volta, alla richiesta di spiegare la via con parole semplici, il Buddha ha detto:

Astenersi dalle azioni malvagie,
compiere solo azioni buone,
purificare la mente:
questo è l’insegnamento delle persone illuminate.

E’ un’esposizione molto chiara, che può essere accettata da tutti. Tutti sono d’accordo sul fatto che si dovrebbero evitare azioni dannose e compiere solo quelle benefiche. Ma come definire ciò che è benefico e ciò che è dannoso, ciò che è buono e ciò che è nocivo? Quando cerchiamo di far ciò ci basiamo sulle nostre opinioni, sulle convinzioni tradizionali, sulle nostre preferenze e i nostri pregiudizi e di conseguenza otteniamo definizioni parziali e settarie che sono accettabili per qualcuno ma inaccettabili per altri. In luogo di tali ristrette interpretazioni il Buddha ha offerto una definizione universale di buono e dannoso, di pietà e colpa. Ogni azione che reca danno agli altri, che disturba la loro pace e armonia, è un’azione colpevole, un’azione dannosa.

Ogni azione che aiuta gli altri, che contribuisce alla loro pace e armonia, è un’azione pia, un’azione valida. Inoltre, la mente viene veramente purificata non attraverso cerimonie religiose
o esercizi intellettuali, ma sperimentando direttamente la propria realtà e lavorando sistematicamente per rimuovere i condizionamenti che danno origine alla sofferenza.
Il Nobile Ottuplice Sentiero può essere diviso in tre livelli di educazione:, sīla samādhi e paññā.
Sīla è la pratica morale, l’astensione da tutte le azioni dannose sia fisiche che verbali.
Samādhi è la pratica della concentrazione, che sviluppa l’abilità di controllare e dirigere
coscientemente i propri processi mentali.

Paññā è la saggezza, lo sviluppo di una osservazione e comprensione profonda, purificatrice, della propria natura.

IL valore della pratica morale

Chiunque desideri praticare Dhamma deve iniziare con la pratica di Sīla. Questo è il primo passo, senza il quale non si può avanzare. Dobbiamo astenerci da tutte le azioni, parole e gesti che recano danno agli altri. È una cosa facile da capire, in quanto la società richiede un simile comportamento per evitare la propria disgregazione. Ma, in effetti, ci asteniamo da tali azioni non solo perché danneggiano gli altri, ma anche perché danneggiano noi stessi. È impossibile commettere un’azione cattiva — insultare, uccidere, rubare o violentare — senza che ciò generi grande agitazione mentale, bramosia, avversione. Queste manifestazioni momentanee di bramosia e avversione sono causa di infelicità ora, e più ancora in futuro. Il Buddha ha detto:

Bruciare ora, bruciare in futuro,
chi fa del male soffre doppiamente.
Essere felice ora, essere felice in futuro,
la persona virtuosa gioisce doppiamente.

Non dobbiamo aspettare fin dopo la morte per sperimentare il paradiso e l’inferno; possiamo sperimentarli in questa vita, dentro di noi. Quando commettiamo un’azione negativa sperimentiamo il fuoco dell’inferno della bramosia e dell’avversione. Quando compiamo un’azione positiva sperimentiamo il paradiso della pace interiore. Quindi non è solo per il bene degli altri che ci asteniamo da parole e gesti nocivi, ma a nostro stesso beneficio, per evitare di danneggiare noi stessi.

C’è anche un’altra ragione per intraprendere la pratica di Sīla. E l’aspirazione a esaminarci, a vedere nel profondo della nostra realtà. Fare questo richiede una mente molto calma e tranquilla. È impossibile vedere nelle profondità di uno specchio d’acqua quando è agitato. L’introspezione richiede una mente calma, libera da qualsiasi turbamento. Ogni volta che si commette un’azione negativa, la mente è pervasa dall’agitazione. Quando ci si astiene da tutte le azioni negative, sia fisiche che verbali, solo allora la mente ha la possibilità di raggiungere uno stato di pace tale per cui può avvenire l’introspezione.

C’è ancora un’altra ragione per cui Sīla è essenziale: chi pratica Dhamma sta lavorando verso lo scopo ultimo della liberazione da tutte le sofferenze. E mentre è assorbito in questo compito non può essere coinvolto in azioni che rinforzerebbero proprio le abitudini mentali che cerca di sradicare. Ogni azione che danneggia gli altri è necessariamente causata e accompagnata da bramosia, avversione e ignoranza. Commettere tali azioni significa retrocedere di due passi per ogni passo che si fa in avanti sul sentiero, cioè impedire ogni progresso verso la meta.

La pratica di Sīla, inoltre, non solo è necessaria per il bene della società nel suo complesso, ma per il bene di ogni suo membro; e non solo per il benessere materiale di una persona, ma anche per consentirle di progredire lungo il sentiero di Dhamma.

Tre parti del Nobile Ottuplice Sentiero rientrano nell’ammaestramento di Sīla: giusta parola, giusta azione, giusti mezzi di sussistenza.

– Giusta parola –

Bisogna parlare in modo puro e benefico. La purezza si raggiunge eliminando l’impurità, e quindi in primo luogo deve esserci chiaro che cosa significhi linguaggio impuro. In esso sono compresi atti quali: dire bugie, cioè dire più o meno la verità, riferire racconti che possono seminare ziz-zania tra amici, calunniare e diffamare, pronunciare parole dure che disturbano gli altri e che non hanno buoni effetti, darsi a pettegolezzi inutili e chiacchiere senza senso, che sono solo tempo perso sia per chi le fa che per chi le ascolta. Astenersi da questo linguaggio impuro porta au-tomaticamente a un giusto parlare.

Non si tratta però di un concetto esclusivamente negativo. Chi pratica la giusta parola, ha spiegato il Buddha:

È colui che dice la verità ed è fermo nella sua sincerità, degno di fede, sicuro, leale con gli altri. Riconcilia i litiganti e incoraggia l’unità. Ama l’armonia, ricerca l’armonia, gioisce dell’armonia e crea armonia con le sue parole. Il suo dire è garbato, piacevole per l’orecchio, gentile, scalda il cuore, è cortese, gradevole a molti. Egli parla al momento opportuno, secondo i fatti, secondo ciò che è utile, secondo il Dhamma e il Codice di condotta. Le sue parole meritano di essere ricordate, sono tempestive, ben ragionate, ben scelte e costruttive.

– Giusta azione –

Anche l’azione deve essere pura. Come già a proposito della parola, dobbiamo comprendere in che cosa consista l’azione impura, in modo da potercene astenere. Nel comportamento impuro sono compresi atti quali: uccidere una creatura vivente, rubare, condurre una vita sessuale
disdicevole, per esempio commettere adulterio o violenza carnale, o intossicarsi fino a non essere più in sé e non sapere quello che si dice o si fa. Evitare queste cinque azioni impure porta automaticamente a un giusto comportamento. Anche questo non è un concetto esclusivamente negativo. Descrivendo chi pratica la corretta azione fisica, il Buddha ha detto: « Lasciando da parte il bastone e la spada, egli è attento a non recar danno a nessuno, pieno di gentilezza, alla ricerca del bene per tutte le creature viventi. Libero da ogni ambiguità, la sua stessa condotta è quella di un essere puro ».

– I precetti morali –

Per la gente comune, coinvolta nella vita sociale, la via per seguire la giusta parola e la giusta azione è quella di osservare i Cinque Precetti, che sono:

1. astenersi dall’uccidere qualsiasi creatura vivente;
2. astenersi dal rubare;
3. astenersi da una condotta sessuale biasimevole;
4. astenersi dal dire il falso;
5. astenersi da sostanze intossicanti.

Questi Cinque Precetti sono il minimo essenziale necessario per tenere una condotta moralmente accettabile e devono essere seguiti da chiunque desideri praticare il Dhamma.
A volte, nel corso della vita, può presentarsi la possibilità di accantonare temporaneamente — forse per pochi giorni, forse solo per un giorno — i problemi quotidiani per purificare la mente e lavorare per la liberazione. È il tempo da dedicare a una seria pratica di Dhamma, e di conseguenza la propria condotta deve essere ancor più attenta che nella vita ordinaria. È importante inoltre evitare azioni che possano distrarre dall’opera di autopurificazione
o interferire con essa. È in questo periodo che si osservano gli otto precetti. Questi comprendono i cinque precetti di base, con una modifica: invece di astenersi solo da una condotta sessuale biasimevole, ci si astiene da ogni attività sessuale. Inoltre ci si impegna a non mangiare fuori del tempo previsto (ovvero dopo mezzogiorno), ad astenersi da ogni piacere sensuale e ornamento fisico, nonché dall’uso di letti troppo confortevoli. La richiesta di astinenza sessuale e i precetti addizionali favoriscono la calma e l’attenzione necessarie per il lavoro interiore, e aiutano a liberare la mente da tutte le interferenze esterne. Gli Otto Precetti devono essere seguiti solo nel periodo dedicato alla pratica intensiva di Dhamma. Quando il periodo è concluso, come guida per la condotta morale i laici possono fare di nuovo capo ai Cinque Precetti.

Infine ci sono i Dieci Precetti per chi ha scelto di vivere senza casa, come gli eremiti e i monaci mendicanti. Questi Dieci Precetti sono comprensivi dei primi otto, con il settimo diviso in due parti più un ulteriore precetto: astenersi dall’accettare denaro. Gli eremiti devono sostentarsi solamente con la carità ricevuta per essere liberi di dedicarsi completamente al lavoro di purificazione della mente a beneficio proprio e di tutti. I precetti, siano essi cinque, otto o dieci, non sono delle vuote formule dettate dalla tradizione: sono, letteralmente, «passi per proseguire nel cammino », dei mezzi molto pratici per ottenere la certezza che le proprie parole e le proprie azioni non recano danno né agli altri né a se stessi.

– Giusti mezzi di sussistenza –

Ogni persona deve sostentarsi in modo appropriato. Ci sono due criteri per stabilire un giusto modo di guadagnarsi la vita. Innanzitutto, non dovrebbe essere necessario trasgredire i Cinque Precetti nel proprio lavoro, perché chi si comporta in questo modo, ovviamente, danneggia gli altri. Inoltre, non si dovrebbe far nulla che incoraggi gli altri a trasgredire i precetti, dal momento che anche questo causa danno. I nostri mezzi di sussistenza non dovrebbero comportare danni agli altri esseri, né direttamente né indirettamente.

Per cui ogni mezzo di sussistenza che richieda l’uccisione sia di esseri umani che di animali, è chiaramente un mezzo di sussistenza non giusto. Ma anche se l’uccisione viene compiuta da altri e si ha a che fare semplicemente con le parti dell’animale macellato — la pelle, la carne, le ossa e così via — anche questo non è un giusto mezzo di sussistenza, perché si è dipendenti dalle cattive azioni altrui. Vendere liquori o droghe può essere molto remunerativo, ma anche se non li si consuma personalmente, l’atto di vendere incoraggia gli altri a fare uso di sostanze intossicanti e quindi a danneggiarsi. Gestire una casa da gioco consente forti guadagni, ma tutti quelli che la frequentano si procurano un danno. Vendere veleni o armamenti — armi, munizioni, bombe, missili — è un buon affare, ma nuoce alla pace e all’armonia dei popoli. Nessuno di questi è un mezzo di sussistenza corretto.

Anche se un certo tipo di lavoro può in effetti non recare danno ad alcuno, se però è compiuto con l’intenzione di danneggiare gli altri non è un giusto mezzo di sussistenza. Il medico che spera in un’epidemia o il commerciante che spera in una carestia non praticano un giusto modo di sus-sistenza.

Ogni essere umano è membro della società. Rispondiamo ai nostri obblighi nei confronti della società con il lavoro che facciamo, servendo il nostro prossimo in modi diversi. In cambio riceviamo dei mezzi di sussistenza. Anche un monaco, un eremita ha un preciso lavoro per mezzo del quale si guadagna le elemosine che riceve: il lavoro di purificare la sua mente per il bene e il beneficio di tutti. Se inizia a sfruttare gli altri, ingannando la gente con riti magici o con false affermazioni di grande crescita spirituale, allora egli non pratica un giusto modo di sussistenza.

Qualsiasi remunerazione ci viene data in cambio del nostro lavoro, deve essere utilizzata per sostentarci e sostentare chi dipende da noi. Se c’è un’eccedenza, almeno una parte dovrebbe essere restituita alla società per venire utilizzata a favore di altri. Se c’è l’intenzione di essere utili alla società e agli altri, allora il nostro lavoro è un giusto mezzo di sussistenza.

– La pratica di sīla in un corso di meditazione Vipassasia –

La giusta parola, la giusta azione e i giusti mezzi di sussistenza dovrebbero essere messi in pratica perché hanno un senso sia per noi che per gli altri. Un corso di meditazione Vipassana offre la possibilità di applicare tutti questi aspetti di sīla . E un periodo destinato alla pratica intensiva di Dhamma e quindi tutti i partecipanti si attengono agli Otto Precetti. Tuttavia, chi frequenta il corso per la prima volta e chi ha dei problemi di salute godono di un trattamento speciale, in quanto possono consumare un pasto leggero la sera. Per questa ragione tali persone seguono formalmente solo i Cinque Precetti, anche se sotto tutti gli altri aspetti osservano effettivamente gli Otto Precetti.

Oltre ai precetti, tutti i partecipanti devono osservare il silenzio fino all’ultimo giorno del corso. Possono parlare con l’insegnante o con gli organizzatori, ma non con gli altri meditatori. In questo modo si limitano al minimo le distrazioni e le persone possono vivere e lavorare in spazi ristretti senza disturbarsi a vicenda. In questa atmosfera calma, tranquilla e pacifica, è possibile dedicarsi al delicato compito dell’introspezione.

In cambio della loro attività di introspezione, i meditatori ricevono cibo e alloggio, il cui costo è stato sostenuto da altri. In tal modo, durante il corso, essi vivono più o meno come veri monaci, contando sulla carità di altri. Compiendo il proprio lavoro nel modo migliore, per il bene proprio e degli altri, i meditatori che partecipano a un corso di Vipassana praticano un modo corretto di sussistenza. La pratica di sīla è parte integrante del sentiero di Dhamma. Senza di essa non ci sarebbero progressi sul sentiero, perché la mente rimarrebbe troppo agitata per indagare la realtà interiore. Ci sono quelli che insegnano che lo sviluppo spirituale è possibile senza sīla.
Qualsiasi cosa dicano di fare, tali persone non seguono l’insegnamento del Buddha. Senza praticare sīla è possibile sperimentare vari stati di estasi, ma è un errore considerare questi ultimi
come realizzazioni spirituali. Certamente senza sīla non si può mai liberare la mente dalla sofferenza e sperimentare la verità ultima.

– Domande e risposte –

DOMANDA: Compiere un’azione giusta è una forma di attaccamento?

SATYA NARAYAN GOENKA: No, è semplicemente fare del proprio meglio, comprendendo che i risultati sono al di là del nostro controllo. Fate il vostro lavoro e lasciate i risultati alla natura, a Dhamma: « Ciò che deve accadere, accadrà ».

Allora dobbiamo essere disposti a commettere degli errori?

Se commettete un errore, accettatelo e cercate di non ripeterlo la prossima volta. Se vi capita di sbagliare ancora, sorridete di nuovo e cercate una via diversa. Se potete sor-ridere di fronte al fallimento, non c’è attaccamento. Ma se il fallimento vi deprime e il successo vi esalta, c’è senz’altro attaccamento.

Allora l’azione corretta è solo lo sforzo dì fare, non il risultato?

Esatto. Il risultato sarà automaticamente buono se la nostra azione è buona. Dhamma se ne prenderà cura. Non abbiamo il potere di scegliere il risultato, ma possiamo scegliere la nostra azione. Fate solo il meglio che potete.

E un’azione sbagliata fare del male a un altro accidentalmente?

No. Ci deve essere l’intenzione di fare il male ad un essere particolare e si deve riuscire a provocare un danno; solo allora un’azione negativa è completa. sīla non dovrebbe essere portato all’estremo, il che non è né pratico né benefico. D’altra parte, è ugualmente pericoloso essere così sventati nelle azioni da far male agli altri e poi scusarsi per il fatto che non se ne aveva l’intenzione. Dhamma ci insegna a essere consapevoli.

Qual è la differenza tra comportamento sessuale corretto e comportamento sbagliato? E una questione di volontà?

No. Il sesso ha un suo posto nella vita di un laico. Non deve essere forzatamente soppresso, perché l’astinenza forzata produce tensioni che a loro volta creano altri problemi, altre difficoltà. Tuttavia, chi da libero sfogo alle urgenze sessuali e si permette di avere relazioni sessuali con chiunque, ogniqualvolta nasce una passione, non potrà mai liberare la sua mente dalle passioni. Evitando questi due estremi ugualmente pericolosi, Dhamma offre una via di mezzo, una sana espressione della sessualità che permette lo sviluppo spirituale, e cioè una relazione sessuale tra un uomo e una donna che si sono impegnati l’uno con l’altro. E se entrambi i partner sono meditatori di Vipassana, quando la passione sorge, entrambi la osservano. Questo non è né repressione né licenza. Per mezzo dell’osservazione è possibile liberarsi facilmente dalla passione. A volte una coppia avrà ancora dei rapporti sessuali, ma gradualmente raggiungerà lo stadio in cui il sesso non ha più alcun significato. Questo è lo stadio dell’astinenza reale, naturale, in cui la mente non è neppure sfiorata dall’idea della passione. Questa astinenza da una gioia che va oltre ogni soddisfazione sessuale. Ci si sente sempre contenti, armoniosi. Si deve imparare a sperimentare questa autentica felicità.

In Occidente molti pensano che i rapporti sessuali tra due adulti consenzienti sono leciti.
Questa opinione è molto lontana da Dhamma. Chi ha rapporti sessuali con una persona, e poi con un’altra e poi con un’altra ancora, moltiplica la sua passione e la sua infelicità. Bisogna essere impegnati con una sola persona o scegliere il celibato.

Cosa pensate dell’uso di droghe per sperimentare altri stati di coscienza e di realtà diverse?
Alcuni studenti mi hanno riferito che con l’uso di droghe psichedeliche sono passati attraverso esperienze simili a quelle che hanno incontrato con la meditazione. Sia che questo sia o non sia vero, avere un’esperienza indotta da una droga è una forma di dipendenza da un agente esterno. Dhamma, invece, vi insegna a diventare padroni di voi stessi così da poter sperimentare la realtà a vostro piacimento, ogni volta che lo desiderate. Un’altra differenza molto importante è che l’uso di droghe fa perdere a molti l’equilibrio mentale e li danneggia, mentre l’esperienza della verità fatta con la pratica di Dhamma rende i meditatori più equilibrati, senza arrecare danno a se stessi o ad altri.

// quinto precetto significa astenersi da sostanze intossicanti o astenersi dal diventare intossicato? Dopo tutto, bere con moderazione, senza ubriacarsi, non mi sembra particolarmente dannoso. Oppure affermate che bere anche un solo bicchiere di alcol significa contravvenire a sīla?

Bevendo anche solo una piccola quantità, alla lunga si sviluppa un desiderio per l’alcol. La gente non se ne accorge, ma fa il primo passo verso la dipendenza, che è certamente dannosa per tutti. Ogni dipendenza inizia da un solo bicchiere. Perché fare il primo passo verso la sofferenza? Chi pratica seriamente la meditazione e un giorno beve un bicchiere di vino senza pensarci o per convenienza sociale, quel giorno scoprirà che la sua meditazione è debole. Dhamma non va d’accordo con l’uso di sostanze intossicanti. Chi desidera veramente svilupparsi in Dhamma, deve rimanere libero da tutte le sostanze intossicanti. Questa è l’esperienza di migliaia di meditatori.
I due precetti concernenti il comportamento sessuale scorretto e l’uso di sostanze intossicanti devono essere ben compresi dagli occidentali.

La gente spesso dice: « Se ti fa sentir bene, deve essere giusto ».

Perché non vede la realtà. Quando fate un’azione con avversione, automaticamente diventate consapevoli del turbamento mentale che questa provoca. Quando però fate un’azione spinti dalla bramosia, essa sembra piacevole al livello superficiale della mente, ma c’è agitazione a un livello più profondo. Vi sembra di star bene solo per ignoranza. Quando comprendete che con tali azioni vi fate del male, naturalmente non le fate più.

Mangiare carne è contravvenire a sīla?

No, a meno che chi compie quest’atto non abbia lui stesso ucciso l’animale. Se una persona trova della carne preparata per lei, e la gradisce come qualsiasi altro cibo, non c’è trasgressione. Ma, certamente, mangiando carne, si incoraggia indirettamente qualcun altro a trasgredire il precetto uccidendo. Mangiare carne, poi, è dannoso anche a un livello più sottile. Ad ogni istante gli animali generano bramosia e avversione, sono incapaci di osservarsi e di purificarsi la mente. Ogni fibra del loro corpo è permeata di bramosia e avversione. Questo è il messaggio che le persone ricevono allorché non mangiano dei cibi vegetariani. Un meditatore cerca di sradicare bramosia e avversione, e quindi troverà utile evitare tali cibi.

È questo il motivo per cui durante un corso la dieta è vegetariana?

Sì, è la cosa migliore per la meditazione Vipassana.

Raccomandate una dieta vegetariana anche nella vita quotidiana?

È utile anche questo.

Per un meditatore è accettabile arricchirsi?

Se praticate Dhamma, siete felici anche se non vi arricchite. Ma se vi arricchite e non praticate Dhamma restate infelici. Dhamma è più importante. Chi vive nel mondo,deve sostentarsi, deve guadagnarsi da vivere onestamente, con il duro lavoro, e non c’è niente di sbagliato in questo: ma fatelo con Dhamma.

Se capita che il proprio lavoro abbia un effetto negativo, se ciò che si fa può essere usato in modo negativo, è questo un mezzo improprio di sussistenza?

Dipende dalle intenzioni. Se a una persona interessa solo accumulare denaro, e quindi pensa:
« Non mi importa che gli altri siano danneggiati, finché faccio soldi», questo è un modo sbagliato di guadagnarsi da vivere. Ma se ha l’intenzione di essere utile alla società e, nonostante questo, qualcuno è danneggiato, non può essere biasimata per questo.

La società per cui lavoro produce uno strumento che fra le altre cose è usato per ottenere dati sulle esplosioni atomiche. Mi hanno chiesto di occuparmi di questo prodotto e in qualche modo non mi sembra giusto.

Se una certa cosa verrà utilizzata solo per fare del male ad altri, certamente non dovete essere coinvolti. Ma se può essere usata sia per scopi positivi che negativi, non siete responsabili dell’uso che altri possono farne. Fate il vostro lavoro con l’intenzione che gli altri lo utilizzino esclusivamente a fini leciti. Non c’è nulla dì sbagliato in questo.

Che ne pensate del pacifismo?

Se per pacifismo si intende l’inazione di fronte all’aggressione, certamente è sbagliato. Dhamma insegna ad agire

E cosa pensate dell’uso della resistenza passiva, insegnato dal Mahatma Gandhi e da Martin Luther King?

Dipende dalla situazione. Se un aggressore non capisce altro linguaggio che quello della forza, si deve usare la forza fisica, mantenendo sempre l’equanimità. Altrimenti si deve usare la resistenza passiva: non per paura, ma come un atto di coraggio morale. Questa è la via di Dhamma e questo è ciò che Gandhi aveva insegnato a fare alla gente. Fronteggiare a mani vuote un’aggressione armata richiede coraggio; per farlo si deve essere preparati a morire. La morte arriverà certamente prima o poi. Si può morire con paura o con coraggio. Gandhi era solito dire ai suoi seguaci che dovevano affrontare un’opposizione violenta: «Che le ferite siano sul vostro petto e non sulle vostre spalle». Egli ha raggiunto il suo scopo, perché Dhamma era in lui.

Voi stesso avete detto che la gente può avere meravigliose esperienze durante la meditazione pur senza osservare i precetti. Non le sembra dogmatico e categorico sottolineare così fortemente la condotta morale?

Ho visto, sulla base dell’esperienza di molti studenti, che chi non da importanza a sīla non può fare progressi sul sentiero. Queste persone possono frequentare i corsi per anni e avere meravigliose esperienze di meditazione, ma senza che nella loro vita ci siano cambiamenti. Restano agitati e infelici perché stanno solo giocando con Vipassana, così come hanno giocato con altri metodi. Persone così sono dei veri perdenti. Quelli che vogliono davvero servirsi di Dhamma per cambiare la propria vita in meglio, debbono praticare sīla il più attentamente possibile.

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CAPITOLO SESTO

LA PRATICA DELLA CONCENTRAZIONE

Con la pratica di sīla tentiamo di controllare le nostre parole e le nostre azioni fisiche. Tuttavia, le cause della sofferenza si trovano nelle nostre azioni mentali. Misurare soltanto le nostre parole e azioni è inutile se la mente continua a ribollire fra bramosie, avversioni e azioni mentali dannose. Sdoppiati in questo modo, non potremo mai essere felici. Prima o poi bramosia e avversione proromperanno e ci spingeranno a trasgredire sīla, danneggiando noi stessi e gli altri …

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