L’ARTE E LA PSICOLOGIA DELLO YOGA

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L’ARTE E LA PSICOLOGIA DELLO YOGA

Da una conferenza del Prof. Marco Ferrini (Vicenza, 7 Ottobre 2006).

A cura di Fabrizio Fittipaldi.

L’arte, se non è in tal modo ordinata
a un fine che supera e trascende
il semplice fatto dell’espressione,
può essere paragonata solamente
al farneticamento di un folle.
(Sahitya Darpana)

Arte come Yoga. Arte come strumento di elevazione della coscienza. Arte come mezzo di appercezione e
raggiungimento di una realtà superiore e assoluta. Arte come espressione di quella creatività che ci
fa simili a Dio.

Psicologia regia, che non indaga esclusivamente i bassifondi della coscienza, i complessi di colpa,
le fobie e i condizionamenti; che conduce l’essere, il soggetto, a sperimentare la sua natura
spirituale.

Due vie differenti, che ci richiamano, entrambe, al ruolo fondamentale che la disciplina e
l’autocontrollo svolgono, al fianco dell’entusiasmo e della determinazione, in qualsiasi processo
autenticamente costruttivo ed evolutivo.

Un parallelo tanto appropriato da poter essere espresso da un’unica terminologia, quella degli Yoga
Sutra di Patañjali e più in generale dello Yoga Darshana.

Cominciamo da questo: la parola originale greca da cui deriva “estetica” significa “percezione
attraverso i sensi”, e questa è una facoltà che abbiamo in comune con gli animali e con i vegetali,
ed è irrazionale. È solo nella nostra epoca che si sono imposti i concetti di arte come modo di
sentire, e di “esperienza estetica” come originaria fonte di ispirazione per chi crea, nonché fine
ultimo per chi fruisce, lo spettatore. Fin dalle sue origini l’Arte (quella con la “A” maiuscola)
non è mai stata un sollazzo, un trastullo o un momento per generare una fuga dalla realtà o dalle
proprie responsabilità. L’Arte, secondo tutte le tradizioni, è piuttosto una forma di conoscenza che
si avvale delle più alte virtù intellettuali e che si propone di esprimere la verità in maniera
efficace, e il suo campo semantico originale è dunque molto più affine all’alta “retorica” che non
alla superficiale “estetica”. Questa, inevitabilmente, ci allontana dai valori universali,
catapultandoci nel relativismo soggettivista dell’esperienza individuale, tanto del creatore che
percepisce il mondo secondo il filtro della propria psiche, come del fruitore che giudica l’opera in
funzione di quei condizionamenti che limitano la sua visione. L’arte che non si pone al servizio
della verità è più o meno sterile e spontaneamente votata al commercio. Sintomatico è il ruolo
dominante che hanno assunto il mercato e le sue “quotazioni” in un periodo come quello
contemporaneo, in cui si è affermato il principio dell’assoluta soggettività dell’esperienza
artistica, tutta schiacciata sul piano emotivo e sentimentale. L’autentica opera d’arte si
costituisce come un bene imperituro e con il trascorrere del tempo rinnova il suo vigore, lasciando
un’impronta profonda nel cuore di chi è ancora in grado di “leggerla” e nella storia stessa
dell’umanità, lungo il sentiero della sua evoluzione coscienziale.

Esiste uno stato di coscienza nel quale risulta più facile pervenire alla soluzione di un problema:
lo stato di concentrazione (in sanscrito dharana). Questa speciale conformazione del corpo psichico
individuale (cittah) si consegue nel momento in cui i cinque sensi (indriya), domati da una mente
(manas) controllata e dall’intelligenza (buddhi), si dirigono, senza dispersioni o distrazioni,
verso un unico punto, sul quale si concentra tutta la forza psichica del soggetto. In questo modo,
investendo l’oggetto della sua concentrazione con il massimo potenziale, la persona diventa in grado
di compiere un lavoro molto più intenso e complesso. È un fenomeno analogo a quello della lente che
fa convergere i raggi del sole in un solo punto: quando riesce in quest’intento, in quel punto c’è
il massimo calore che può incendiare la carta, il legno, la stoffa e perfino fondere i metalli. Ma
cos’è che decentra la mente e che né riduce le potenzialità? Nient’altro che l’attrazione
incontrollata che certi oggetti impongono ai nostri sensi, frammentando il nostro flusso psichico in
mille rivoli. Nella Katha Upanishad, uno dei testi più autorevoli sullo Yoga, i sensi sono
paragonati a cavalli impetuosi e selvaggi: quando i contenuti mentali, la forza del desiderio, la
volontà e la motivazione riescono a governarli come un buon auriga fa per mezzo delle sue redini,
solo allora i sensi concorrono armonicamente, sinergicamente a farci procedere in una data
direzione, rendendo conseguibili risultati altrimenti impossibili.

Conoscendo le giuste tecniche e applicando delle pratiche sperimentate con successo per millenni,
diventiamo esperti e in grado di accedere ad un altissimo livello di concentrazione, senza dover
dipendere da nessuna sostanza esterna a noi, come tabacco, alcool, caffè o qualsiasi altro
psicoattivo. A dharana (concentrazione) segue dyana (meditazione). Lo stato meditativo si consegue a
seguito di una ulteriore trasformazione e disposizione del corpo sottile individuale (cittah), a cui
si perviene in maniera del tutto naturale quando il soggetto, essendo riuscito a mantenere la
concentrazione su di un oggetto per un tempo sufficientemente lungo, ne penetra la natura apparente.
A questo punto si verifica un fenomeno di assorbimento diretto delle informazioni proprie della
natura essenziale e invisibile dell’oggetto, le quali non si fermano più al piano intellettuale, ma
penetrano in profondità andando a stabilire un legame forte e intimo tra il conoscitore e ciò che è
conosciuto. Insomma, dell’oggetto che si osserva non se ne conosce più solo l’apparenza ma il
contenuto. Ecco dove comincia l’arte! Perché l’Arte sia veramente tale, questi contenuti devono
appartenere ad un livello di realtà superiore, costituita di gioia intensa, di luce, di senso di
eternità, di immortalità, di libertà, di amore. Nell’arte, come nella religione, rare persone hanno
raggiunto la dimensione spirituale come descritta nelle Scritture Sacre più elevate: un livello di
visione mistica o, per dirlo in sanscrito, lo stato di samadhi. Questo è lo stato di ispirazione che
può essere di natura religiosa o artistica, ma anche scientifica e filosofica.

In altre parole non vivere secondo la nostra natura interiore, che è luce, splendore, gioia e amore
è come non vivere. Non vivere ispirati è come non vivere. Non vivere illuminati è come non vivere. E
il vero filosofo, il vero mistico, il vero artista, il vero scienziato è solo colui che accede a
questa dimensione. L’Arte e la psicologia hanno molto da dire all’uomo moderno. Lo scopo di entrambe
è quello di rimandarci ad una dimensione altra, dimenticata, che costituisce la nostra dimora, da
dove noi proveniamo e dove possiamo vivere secondo la nostra natura e secondo le nostre aspettative
più elevate di libertà, immortalità, estasi ed amore. Rifiutate l’arte, la religione, la filosofia e
la psicologia quando non producono questi effetti, quando non vi invitano a volare al di là del
limitato mondo delle condizioni. Per questi voli siamo già attrezzati, ma abbiamo bisogno di
riscoprire le nostre potenzialità. Noi siamo già stati a quel livello e, quando sogniamo, ritorniamo
a quel livello. Nei nostri momenti migliori, quando scambiamo la più alta qualità di relazione con
le persone alle quali vogliamo bene, torniamo a quel livello. I più, pur toccandolo, non riescono a
stabilizzarvisi; lo sfiorano e ritornano in basso, ricominciando a vedere il mondo pieno di amici e
di nemici, di simpatici e di antipatici, di bello e cattivo tempo, di gioventù e di vecchiaia. Tutti
questi dualismi sono la trappola più grande per noi che siamo al di sopra di ogni dualismo.

Riferimenti audio e bibliografici:
Ananda Coomaraswamy, Il grande brivido, Milano, 1987.
Marco Ferrini, Arte e Psicologia, Vicenza, 7/10/2006. Mp3.
Marco Ferrini, Psicologia dello Yoga, Ponsacco (PI), 2004.

arteespiritualita.blogspot.com/

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