KASTURI
< LA MIA VITA ACCANTO A SAI BABA >
OTTANTACINQUE ANNI SOTTO L’ATTENTO SGUARDO DEL SIGNORE
EDIZIONI MILESI
[…]Secondo Lui (N.d.R.:Sri Sathya Baba), la sadhana, o disciplina spirituale, è
un lungo processo, che si protrae ogni giorno, per tutta la vita. Si deve
tenere una cadenza, né troppo lenta, né troppo veloce; il respiro dev’essere
rigorosamente sintonizzato col ritmo del Soham, e l’attenzione va
completamente focalizzata sul lavoro del momento, senza rimorsi per il
passato, senza ansie per il futuro. Bisogna fare attenzione a che nessuno
venga ferito, vilipeso, o anche solo sottovalutato da ciò che esce dalla
bocca. Ogni pensiero, parola e azione devono esser stracolmi di contentezza
e di gioia.
Una volta, trovandoci insieme con Swami in una cittadina di provincia, un
ragazzo, un’ora prima del pranzo, chiese all’ospite di avere una tazza di
yogurt, il cosiddetto butter-milk. Gli fu portato con sollecitudine, pur
dopo quindici minuti. Il clima era afoso, e la sua sete fu così placata.
Baba entrò accidentalmente nella stanza e trovò la tazza vuota poggiata sul
davanzale della finestra. Dopo aver constatato che era stato uno di noi a
richiederla e che, perciò, si era disturbato l’ospite, che aveva dovuto
tribolare per procurare la bevanda richiesta, Baba “si infuriò” non poco. Ci
disse che dovevamo accontentarci di quello che ci veniva offerto, tenere a
bada le nostre voglie, esser comprensivi verso coloro che erano stati
costretti ad affrontare delle difficoltà per causa nostra e che bisognava
mettere in pratica ad ogni costo la tolleranza. Insegnandoci, poi, la
necessità di desistere dal richiedere un’altra porzione, ci impartì anche
una lezione di galateo. Potrà sembrare un episodio banale, ma Baba ne
approfittò per inculcarci la sadhana, ovvero l’arte di domare i sensi.
Quando Baba ci concede la grazia di unirci al gruppo che Lo accompagna nella
visita ad un luogo, o nell’esser ospiti presso qualche devoto, ci dà delle
lezioni di spiritualità pratica: dobbiamo essere umili, silenziosi,
soddisfatti e ordinati. Per tutto il tempo dobbiamo esser vigili e attivi.
Baba improvvisa la decisione di visitare una scuola, o di incontrare un
gruppo di devoti, oppure concede il darsan durante i bhajan, che possono
esser eseguiti sia sul greto di un fiume, che in riva al mare. Noi dobbiamo
seguirLo, facendoci un varco tra la folla, per trovare un posto a sedere
sulla pedana, intorno alla poltrona preparata per Lui.
Dobbiamo anche stare attenti al segnale che ci fa con gli occhi: il più
delle volte, nel corso dei bhajan, Egli corona il Suo discorso con un canto,
mentre col filo dell’occhio ci fa cenno di andare alle auto per prender
posto, in modo che siamo pronti a partire con Lui, prima che la gente
circondi la macchina per avere il Suo darsan. Spessissimo, Gli riesce assai
difficile scivolar via attraverso il torrenziale accalcarsi dei devoti.
Perciò, per i momenti in cui l’impeto della folla non può esser controllato,
Baba fa predisporre un’utilitaria all’uscita posteriore, mentre l’auto
ufficiale L’aspetta all’ingresso principale.
Stessa tattica va adottata anche quando Baba viaggia a capo di una lunga
colonna di macchine lungo le strade statali: Egli si sistema proprio nella
prima automobile, che viene ordinariamente ignorata per il fatto stesso di
essere l’auto-pilota. Quando deve recarsi in un luogo, Baba non vuole che
migliaia di persone stiano ad aspettarLo per ore; perciò, si sposta
velocemente, oltrepassando la folla accorsa per avere il Suo darsan e,
quand’è fortunata, lo sparsan, o addirittura il sambhasan, mentre la
seconda delle macchine, quella generalmente usata, il cui numero di targa è
a tutti noto, prosegue lentamente.
I devoti scrutano nell’auto che porta quel numero così ben memorizzato da
loro, e poi fa ritorno ai propri villaggi, rimproverandosi di non esser
giunta in tempo, prima che sia iniziato il discorso di Baba.
Quando Baba sa che il gruppo in attesa lungo la strada è formato da devoti
disciplinati, fa rallentare la macchina, a volte la fa anche fermare per
soddisfare il loro ardente desiderio.
Spesso, rimane in piedi sul ciglio della strada per benedire col Suo darsan
l’immensa folla.
In qualche rara occasione, quand’Egli ha del tempo da dedicare, passa tra le
file ordinate degli uomini e delle donne, che stanno seduti per terra, in
modo tale da lasciare un corridoio fra di loro per permettere il Suo
passaggio, dispensando il Suo sorriso ristoratore alla folla.
Questo è il racconto di chiunque cammini al seguito dell’Avatar, su
qualsiasi strada, da Kanyakumari a Madurai, da Chandigarh a Simla, da Jammu
a Srinagar, da Vijayawada a Rajahmundry, da Coimbatore a Trivandrum. Uomini,
donne e bambini, di qualsiasi credo o casta, vengono attratti da quella
Calamita Cosmica: da capanne e palazzi, campi e fabbriche, scuole e uffici,
giungono a migliaia, ansiosi di gettare anche un solo sguardo a quel viso
che li libera dalle catene da essi stessi forgiate, per paura della Libertà
che a loro spetta.
Trovarsi nella medesima automobile col Bhagavan, che il viaggio sia breve o
lungo, significa essere continuamente benedetti da una cascata di gioia. A
Baba non piace viaggiar solo e nemmeno con una, o due, persone soltanto.
Quando a Prashanti Nilayam sale a bordo dell’auto salutando con la mano i
devoti, che, a malapena, trattengono le lacrime, al Suo fianco ci sono solo
una, o due, persone; i devoti ipersensibili e poco comprensivi sarebbero
infelici se vedessero un’auto stracolma con Baba in mezzo. Perciò, quando
l’automobile si allontana dal Nilayam, gli uomini scelti da Baba per
accompagnarLo si sono già preparati in anticipo in un posto prescelto,
pronti ad infilarsi nella macchina per riempirne gli spazi vuoti. La stessa
tattica viene impiegata al ritorno; la folla radunata di fronte al Nilayam
per ricevere Baba, Lo vede solo, in quanto gli altri sono scesi prima,
appena si intravede il mandir.
Baba non vuol favorire nella gente l’idea di utilizzare la fortuna di stare
in automobile fisicamente vicini a Lui, per sottoporGli domande ed avere
risposte su problemi personali. Egli ci sprona a far domande sulla
disciplina spirituale e a esporre davanti al gruppo le difficoltà incontrate
quando siamo intenti ad attuarla. Ci fu un’occasione in cui, lungo tutto un
percorso di circa venti miglia, la teoria del kanna fu sottoposta al vaglio
del Suo giudizio.
“Non si tratta di una legge che incatena – ci disse – . Se così fosse,
perché mai interverrebbe la Grazia? La Grazia può ammorbidirne l’asprezza e
arricchirne la messe di gioia. La Conoscenza (Jnana) può alleviarne l’urto.
Benché non sia possibile richiamare il proiettile nella pistola, si può però
rinunciare a sparare, ed evitare così la sciagura. Pentitevi, affinché la
mente sia mondata dall’odio”.
Un altro giorno domandò a ciascuno di noi di parlare della devozione
(bhakti) e del suo significato. Quando tutti ebbero finito di parlare,
chiarì la questione, dandoci la spiegazione seguente:
“Quando vi sarete liberati della vibhakti, si manifesterà la bhakti.
Vibhakti significa “separazione, divisione, ripartizione, frammentarietà”;
bhakti significa “amore di Dio”. Non potete amare Dio se non amate gli
esseri viventi e non viventi”.
Uno di noi pose la questione:
“Swami, nella Gita si dice che, se una persona non ha altro pensiero che
Dio, Dio stesso la nutrirà e la guiderà per sempre. Ciò significa forse che
si deve pensare solo a Dio e a nient’altro?”.
E Baba rispose:
“Krsna non sostenne l’idea che un uomo non dovesse pensare ad altri
all’infuori di Lui. Intendeva dire che si deve rinunciare al pensiero
dell’altro da sé. Non esiste altro (anya), non c’è diversità; tutti sono una
sola cosa. Quando avete scartato ogni pensiero dell’altro (come diverso),
Dio, nel Suo amore, vi amerà come Sé stesso”.
Baba, quando avverte che il confronto col nostro proprio regno interiore è
troppo superficiale per una ricerca profonda, chiede a ciascuno di noi di
cantare a turno un bhajan. Nessuno può sfuggire a quella richiesta. Se una
persona è troppo nervosa per cimentarsi con la musica, può cavarsela con
degli inni vedici recitati secondo lo stile del XV secolo a.C.
Il colonnello Joga Rao e Gogineni Venkateswara Rao scelsero delle strofe in
telugu del celebre classico Bhagavatam di Pòtana. Di rado Baba si tiene in
disparte, quando ciascuno ha assolto all’impegno. In realtà, noi eravamo ben
felici della richiesta, giacché sapevamo che Egli ci avrebbe ricompensato
con un banchetto di beatitudine, che poteva protrarsi sino alla periferia
della nostra destinazione.
Io ero terrorizzato all’idea di esibire i miei squittii; ma Baba voleva che
mi sottoponessi alla prova. E non c’era verso di sfuggirvi. La prima volta
che dovetti affrontarla, riempii con coraggio i polmoni, mi schiarii la gola
ed emisi una filastrocca semisacra che, all’età di dieci anni, avevo sentito
cantare da un clown, durante una recita sulla morale.
Quantunque la mia esibizione venisse salutata dai miei compagni d’auto con
dei risolini repressi e da una pacca d’approvazione sulla spalla da parte
del Maestro, giunsi alla determinazione di imparare, nel caso si fosse
ripresentata l’occasione di esibirmi, un bhajan di quattro righe su Rama.
Ma, benché con questa ingenua cartuccia in canna, più volte dovetti recitare
quei grotteschi e scadenti versi, perché a Baba piaceva tantissimo la sua
originalità e il suo pathos.
Durante le ore di viaggio, Baba richiamava regolarmente la nostra attenzione
sulle colline dai colori cangianti dal blu al marrone e dal marrone al nero
cupo, sulle nubi dai contorni d’argento o d’oro, sulla Luna che sembrava il
mozzo di una ruota dall’aura argentata, sulle stelle scintillanti sotto una
cupola di velluto, sul fuggi-fuggi delle pecore impaurite dal suono del
corno, sulla gioia dei bimbi che uscivano da scuola per correre a casa.
Mentre passavamo in rassegna quella bellissima galleria d’arte naturale,
Egli ci suggeriva di raffigurarci l’Artista. Se ci assisteva la fortuna, ci
raccontava episodi della Sua fanciullezza, quand’Egli e la Sua giovane
truppa cospiravano con satire e allegre canzonette – composizioni da Lui
stesso preparate all’uopo – per insegnare agli anziani del villaggio gli
ideali di un’esistenza semplice, di servizio agli ammalati, di solidarietà,
di giustizia nelle retribuzioni; oppure, ci ricordava il gruppo dei bhajan,
da Lui stesso diretti, col proposito di esorcizzare mediante le loro
vibrazioni il colera dai villaggi dominati dal panico; o ancora ci parlava
della squadra, da Lui capeggiata, degli Scout, i quali ad ogni ora
raccoglievano consensi da decine e decine di persone durante le fiere o le
feste nei dintorni di Uravakonda. Insomma, per ogni volta c’era un nuovo
gruzzolo di storie avvincenti.
A volte, Baba può benedirci con una lezione di silenzio ironico. Il più
delle volte accade quando siamo in aereo con Lui. Quand’Egli sta in
silenzio, le nostre menti smettono di galoppare. Il cuore viene soffuso dal
calore di un Amore assolutamente spassionato e inalterabile. I sensi
soggiacciono alla melodia, al fascino, al profumo, alla fragranza, alla
tenerezza e alla dolcezza da cui ogni cosa, dovunque, è permeata. Il respiro
stesso segue un ritmo regolare e i pensieri si arrestano in un contorno di
pace. La compagine corporea, inspiegabilmente, freme: è il veicolo che vibra
di gioia. Quando poi Baba decide di riprendere contatto, ci troviamo
automaticamente innalzati nel regno della filosofia.
Baba trae il proprio sostentamento appagando la nostra sete e la nostra
fame. Quando vuol fare un viaggio in macchina, la fa caricare di ceste colme
di vivande per la colazione, il pranzo e la cena, oltre a vari spuntini e
frutta in abbondanza. Scruta la campagna alla ricerca di un angolino
ombreggiato e circondato da fiori, e lo trova in un batter d’occhio. Poi si
stende un tappeto, si portano brocche d’acqua, si aprono le ceste da cui si
estraggono piatti e tazze.
Quindi, Mamma Sai, seduta al centro fra varie esclamazioni di apprezzamento,
mette una porzione di ogni vivanda sul piatto di ciascuno dei Suoi figli. I
devoti con problemi di digestione, o pregiudizi dietetici, o timori di
allergie, o altro, non osano dire “Basta”, oppure “No, grazie”; assaggiano
tutto, qualunque cibo e in qualsiasi quantità provenga dalle Mani Divine.
Perciò, Baba, per ognuno di noi, decide sia il tipo che la quantità del
cibo: è Lui che proibisce, persuade e propone. “Tu hai un po’ di diabete”,
dice a uno; “Tu sei in sovrappeso”, dice a un altro; “Questa salsa è molto
nota nel tuo Paese”, commenta riempiendo il piatto a un altro.
Un giorno, accortosi che nel mio piatto vi erano tre porzioni di idli, ne
prelevò una, dicendo che due erano anche troppe per me. Essendone ghiotto,
avevo esagerato, ma la Sua ammonizione mi intimorì a tal punto da
ridimensionare istantaneamente il mio appetito. Più tardi, Baba mi spiegò
che il composto leguminoso dell’idli, in un fisico d’età avanzata, può dar
adito ad artriti. Mi fece così comprendere che, dal momento che ogni essere
umano ha un ruolo da recitare sulla scena cosmica, Egli ama vederci forti e
in forma, come richiede la parte.
Anche il Bhagavan divide con noi colazione o pranzo; Gli piace guardarci
mentre gustiamo il cibo che ci dispensa. Persino in auto, dalla borsa che
tiene accanto a Sé, estrae una delle Sue mele lustre, le affetta, e poi ci
invita a mangiarne. Una volta, in viaggio da Bombay a Bangalore, dopo aver
ascoltato alcuni canti eseguiti da Dikshit, a ciascuno di noi distribuì alla
fine degli spicchi di mela. Io, che avevo una dentiera di scarsa adesione,
non riuscivo a masticarne la buccia; non osavo nemmeno sputarla dal
finestrino, per timore che alla buccia seguissero i denti. Swami, notato il
mio imbarazzo, mi allungò la fetta successiva sbucciata!
Baba premia la disciplina col darsan; ma bisogna riconoscere che, quando c’è
il richiamo di Dio, riesce assai difficile ad un cuore affamato rimanere
seduto aspettando pazientemente in fila, nella speranza che accada il
meglio. Ebbi modo di apprezzare a Kakinada i poliziotti in servizio;
tenevano a freno la calca della gente, ma si tuffavano ai piedi di loto di
Colui che stava passando. Le guardie più assennate, che erano state
incaricate di regolare il traffico all’esterno del mandir, si misero a
cantare dei bhajan laddove il Bhagavan era atteso, o già era arrivato.
Quando Baba si reca in visita in un posto, ai Suoi ospiti fornisce solo il
minimo di informazioni, altrimenti la buona novella si divulgherebbe facendo
precipitare in ogni casa amici e parenti, obbligandoli di conseguenza a
rimanervi per giorni o, comunque, fino al termine della visita; gli alberghi
darebbero il “tutto esaurito” e, nei piccoli centri, scarseggerebbero acqua
e generi alimentari. Baba, per questo, non sosta a lungo nello stesso luogo.
La folla di gente aumenta vieppiù ogni giorno, poiché i nuovi arrivati non
ripartono finché anche il Bhagavan non riparta.
Ogni giorno, dunque, Egli si sposta da un luogo all’altro per dare il Suo
darsan in vicini villaggi o cittadine, facendo ritorno solo in serata al
luogo prescelto come residenza di transito. In questo modo, la popolazione è
incoraggiata a rimanere nella propria città, evitando di affluire al luogo
che Baba ha scelto come punto d’appoggio. L’Albero che esaudisce i desideri
gira per spargere la Grazia su tutti.
“Questa montagna di zucchero non viaggerà per nutrire le formiche; saranno
loro ad accorrere”.
Così qualche anno fa disse Baba, quando dei devoti se Lo contendevano perché
andasse a visitare le loro città. Ma, la compassione per le formichine
seriamente intenzionate L’ebbero indotto ad annullare quella decisione.
In automobile, oggi come allora, sistema due persone sedute, una di fronte
all’altra, e si gusta il dibattito con le tesi e le antitesi, le botte e le
risposte con cui ognuno cerca di lasciare senza argomenti l’altro; Egli ne
osserva la diatriba, con un malcelato divertimento, ma, quando la
schermaglia verbale si avvicina al punto critico, sdrammatizza il tutto con
una sintesi determinante. Baba ha l’abitudine di esasperare i contendenti
appoggiando ora l’uno ora l’altro; alla fine, emette un giudizio liberatorio
per entrambi.
“Tratto dalla mailing list Sadhana
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