Le catene di S. Antonio e la memetica

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Le catene di S. Antonio e la memetica

Che c’entra la teoria dell’evoluzione di Darwin con Internet e con la posta elettronica? Risponde la
memetica, una nuova disciplina scientifica.

da ZEUS News – zeusnews.it – Prima Pagina, 23-08-2003

Aprendo, come ogni giorno, il programma di posta elettronica, scopro di avere cinque messaggi tutti
per me, e tutto felice e pronto ad accogliere le novità, mi accingo a leggerli: il primo di questi
mi offre un metodo rapido e indolore per diventare miliardario; il secondo mi avvisa che se inoltro
il messaggio a un certo numero di persone Bill Gates mi regalerà una Ferrari; il terzo mi consiglia
di cancellare un certo file del mio sistema operativo perché, sostiene, si tratta in realtà di un
virus letale; il quarto è un invito a boicottare una ditta di surgelati perché produce i bastoncini
di merluzzo utilizzando in realtà organi di bambino argentino; e il quinto è un appello a favore di
una bimba di tre anni che soffre di un male raro e incurabile. Tutti quanti contengono un invito a
rispedire il messaggio al maggior numero di persone possibile, e ciascuno di essi è completamente
fasullo, una bufala.
È probabile che prima di arrivare nella mia casella di posta questi messaggi siano stati visti da
decine di migliaia di persone, e se io li diffondessi ulteriormente li aiuterei a raggiungere altre
migliaia di potenziali vittime. Per fortuna il loro cammino, per quanto mi riguarda, si arresta nel
mio cestino virtuale, e per fortuna ho a mia disposizione un efficace antidoto nella forma del
servizio anti-bufala di Zeus.

Restano alcune domande e lo sconforto che le accompagna: perché simili messaggi continuano a
circolare? Perché la gente è così credulona? Perché il senso critico è così poco praticato? Perché
messaggi magari di reale importanza trovano invece tanta fatica a trovare ascolto? Per esempio, se
la gente è così incline alla solidarietà come sembrerebbe quando spedisce centinaia di milioni di
cartoline di auguri a un singolo bimbo malato di tumore al cervello, allora perché non accogliamo
con maggiore umanità i nostri tanti immigrati clandestini? E perché non siamo disposti a pagare più
tasse a favore di chi è meno fortunato di noi?

Esiste una nuova disciplina scientifica (o aspirante tale) che, se non fornisce proprio le risposte
a queste domande, può almeno aiutare a inquadrarle in una luce completamente nuova. Si tratta della
memetica.

Nel 1976 lo zoologo britannico Richard Dawkins pubblica un libro intitolato Il gene egoista, che
diventa rapidamente un classico del pensiero neo-evoluzionista. La tesi principale del libro, in
termini tecnici, è che l’individuo non è più da considerarsi l’unità di selezione dell’evoluzione
naturale (e tanto meno la specie), ma che la natura seleziona, in realtà, geni.

Detto altrimenti, e utilizzando una metafora, ciò significa che noi (gli individui) non siamo altro
che involucri protettivi, macchine da sopravvivenza per il nostro codice genetico. Praticamente
tutto ciò che facciamo, lo facciamo in quanto manipolati inconsapevolmente dai nostri geni, e anche
quando crediamo di curare il nostro interesse stiamo in realtà facendo l’interesse del nostro Dna.

Spesso, e fortunatamente per noi, gli interessi dei geni coincidono con i nostri: quello che un gene
desidera maggiormente è replicarsi, produrre copie di se stesso in modo da preservare la sua
esistenza. Dato che, da morti, sarebbe molto difficile per noi spargere nel mondo copie del nostro
patrimonio genetico (vale a dire trovare un partner e accoppiarsi), è tutto interesse dei nostri
geni garantire la nostra sopravvivenza e il nostro benessere.

Il messaggio rivoluzionario del libro, però, consiste nel fatto che non sempre i due interessi,
quello dell’individuo e quello del gene, coincidono. Proprio come esistono casi in cui un individuo
può sacrificare il benessere della collettività per ottenere un vantaggio personale, esistono anche
casi in cui il gene è disposto a sacrificare il benessere del proprio ospite per perseguire i propri
egoistici obiettivi.

Infatti l’unico scopo del gene, ricordiamolo, è quello di replicarsi; una volta ottenuto questo
scopo può anche scaricare il proprio ospite senza troppi scrupoli. Il gene che ci spinge a consumare
alcol, per fare un esempio, può renderci meno timidi e più disinibiti con le ragazze, quando abbiamo
vent’anni. Se poi a quaranta ci viene la cirrosi epatica, pazienza: saremo pianti da una numerosa
prole.

È essenzialmente questo il motivo per cui siamo tutti destinati a diventare vecchi e morire: i
nostri geni spremono tutte le risorse del nostro povero corpo finché, raggiunta una certa età,
dovremmo già esserci riprodotti a sufficienza, e se poi non ci siamo riusciti si vede che abbiamo
qualcosa che non va, e non vale comunque la pena di investire nel prolungamento della nostra
esistenza.

Il nostro organismo, inoltre, è suscettibile di essere attaccato dai virus, piccoli pacchetti di
geni estranei che tentano a loro volta di sfruttare il nostro corpo al fine di riprodursi con grande
velocità e diffondersi poi in altri corpi. Può essere utile sottolineare che il comportamento di un
virus non è poi così diverso da quello del nostro Dna: anche i virus hanno tutto l’interesse a non
ucciderci troppo velocemente.

Così facendo, infatti, ucciderebbero se stessi prima di avere la possibilità di contagiare altre
persone. Il loro scopo, identico a quello dei nostri geni, è semplicemente quello di servirsi di noi
fino a quando non gli serviamo più. L’unica differenza è che i virus adottano una strategia più del
tipo “mordi e fuggi”, piuttosto che una strategia d’investimento a lungo termine come i nostri geni.

Qualche volta, infine, succede che un gene impazzisce e comincia a riprodursi con eccessiva
frenesia, causando la rapida morte del proprio ospite (e in conseguenza di se stesso). È quel che
chiamiamo tumore o cancro.

Cosa c’entra tutto questo con la posta elettronica e le catene di sant’Antonio? Dawkins intende
mostrare come l’evoluzione per selezione naturale sia un processo di tipo algoritmico, che può anche
prescindere dai particolari meccanismi biologici con i quali, di fatto, funziona. Perché sia abbia
questo tipo di evoluzione, cioè, occorre semplicemente avere:
1) entità auto-replicantesi, di qualsiasi tipo;
2) un meccanismo di replicazione non assolutamente perfetto, che ogni tanto produce “copie” con
caratteristiche lievemente diverse da quelle degli “stampi”.

Il più delle volte gli errori comprometteranno l’efficienza della progenie, ma ogni tanto invece la
doteranno di una aumentata capacità di replicarsi rispetto ai “rivali”. Il risultato di tutto questo
sarà che le entità che replicano se stesse con minore efficienza tenderanno a scomparire, mentre
quelle più efficienti, più “adatte”, prenderanno il sopravvento.

Esistono, dunque, altre entità oltre ai geni che subiscono questo tipo di processo evolutivo?
Dawkins suggerisce un possibile candidato: il meme. Il meme potrebbe essere definito come l’unità di
selezione culturale; in termini più familiari, i memi non sono altro che le idee e le nozioni che
abbiamo in testa. Esempi di memi potrebbero essere: il fascismo, la teoria della relatività,
Topolino, il detto “non esistono più le mezze stagioni”, la religione induista, la moda di indossare
mini-gonne, Linux, il film Matrix, il libro Neuromante di William Gibson, o il balletto Aserejè
delle Ketchup.

I memi, proprio come i geni, si riproducono: per esempio se io memorizzo una filastrocca posso
ripeterla davanti ad altre persone, che a loro volta possono memorizzarla e ripeterla ad altri. I
memi, come i geni, possono mutare: io posso memorizzare la filastrocca in maniera errata e
diffonderne quindi una versione lievemente alterata. Alcuni memi, infine, si replicheranno peggio di
altri (una filastrocca può essere troppo lunga e difficile da memorizzare) e perderanno quindi la
lotta per la sopravvivenza nelle nostre menti.

Esattamente come i geni cooperano fra di loro al fine di costruire un corpo in grado di proteggerli,
i memi possono essere considerati gli artefici delle nostre menti. I memi abitano le nostre menti in
attesa di replicarsi nella mente di altre persone. Questo può avvenire anche per il tramite di
intermediari come libri stampati e supporti audiovisivi o elettronici, ma la destinazione finale del
meme è la mente: la tiratura di un libro, o il numero di link in rete che rinviano a una data
pagina, possono così essere considerati una buona misura per il successo di un meme, ma bisognerebbe
anche assicurarsi che il libro venga letto, e il suo messaggio effettivamente recepito dal lettore.

Lo scopo della memetica è quindi quella di sfruttare l’analogia con la genetica al fine di
comprendere le ragioni del successo o del fallimento di un certo fenomeno culturale, e di studiare
le dinamiche evolutive dei cambiamenti in atto nella cultura di una certa società.

Ora, alcuni ritengono che la memetica sia (o possa diventare) una vera e propria scienza destinata a
illuminare, con un approccio e quantitativo e preciso, la storia del pensiero umano; altri ritengono
che si tratti al massimo di un’azzeccata metafora, in quanto l’evoluzione culturale segue in realtà
dinamiche molto diverse da quella biologica. Senza entrare nei termini di un complicato dibattito,
il punto è stabilire quanto una metafora o un’analogia possa essere utile e feconda nel tentativo di
comprendere certi fenomeni.

Ritengo che il paragone risulti davvero utile una volta che si comprenda come, proprio come i geni,
anche i memi sono degli egoisti che ci sfruttano e talvolta possono persino lavorare per la nostra
distruzione. Il meme dell’attentato terroristico suicida, per esempio, non sembra particolarmente
destinato a favorire il proprio ospite nella lotta per la sopravvivenza. Eppure proprio l’esempio di
persone che si sono uccise in questo modo (amplificato dai media), ha aiutato il meme a replicarsi
ulteriormente. Dawkins, che non è esattamente un chierichetto, arriva a definire tutte le religioni
come dei veri e propri virus della mente, dai quali dovremmo liberarci.

Ma ciò che assomiglia maggiormente al comportamento di un virus, per tornare finalmente al nostro
punto di partenza, sono le famigerate catene di sant’Antonio che oggi circolano tanto frequentemente
via posta elettronica. Una religione, dopo tutto, è un fenomeno culturale di grande complessità,
mentre questi altri dispositivi di replicazione sono, come i veri virus, di una diabolica
semplicità. Contengono poco di più che l’istruzione replicami, replicami, replicami, avvolta da un
sottile involucro protettivo che cerca di mascherarne la natura.

Come veri e propri virus, questi memi tentano di aggirare le nostre difese immunitarie (che vanno
sotto il nome di scetticismo e senso critico) colpendoci là dove siamo più vulnerabili. Cosa può
ferire di più la nostra sensibilità dell’idea di un bambino innocente destinato a morte prematura?
Come si può resistere a una simile richiesta d’aiuto? E cosa può allettarci maggiormente della
promessa di una facile ricchezza? Cosa può indignarci di più del bieco comportamento di una
multinazionale alimentare? Siamo tutti predisposti a credere che, visto che le multinazionali sono
capaci di tutto in vista del profitto, allora devono essere capaci anche di questa ennesima
atrocità, e non ci viene neanche in mente di controllare l’attendibilità della notizia.

Esattamente come i veri virus, questi memi sono tutt’altro che innocui. Tralasciando i danni che
possono procurare all’intera società nel suo complesso, questo genere di messaggi indesiderati (come
qualsiasi altro fenomeno di spam) procura un danno economico non indifferente ai gestori di rete e,
in ultima analisi, a chi li riceve. Ovvero rendono la rete, il luogo in cui questi memi proliferano,
meno efficiente e più costosa, “febbricitante”.

Come riflessione finale, c’è da augurarsi di non assistere al nascere di fenomeni “tumorali”, o
“cancerosi”. Un tumore memetico potrebbe prendere la forma di un messaggio che si diffonde con tanta
eccezionale efficacia da occupare, da solo, la quasi totalità delle risorse della rete, fino a
provocarne il collasso e la morte (oppure di un ritornello in stile Chihuahua in grado di
ossessionare l’umanità intera al punto di non permettere a nessuno di pensare ad altro).

L’unico consiglio che si può dare per combattere e prevenire questi fenomeni è quello di rinforzare
sempre le proprie difese immunitarie. La prossima volta che qualcuno vi chiede di mandare una
cartolina d’auguri a Craig Shergold, spero che una spia d’allarme si accenda nella vostra testa.
Craig Shergold è guarito ormai da anni dal proprio tumore, ed è diventato un ragazzone sano come un
pesce (buon per lui). Ma non facciamolo diventare il cancro dell’umanità.

Fra i siti in italiano che si occupano di memetica, segnaliamo Virus della mente
www.virusdellamente.com/ e Memetica memetica.interfree.it/ .

Erik Boni

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