Le coincidenze 6
di Deepak Chopra
– sesta parte –
Io sono emozionalmente libero.
NON appena capiamo che la realtà esteriore non può essere separata da quella interiore, e che l’universo non è altro che il nostro corpo ampliato, ci diventa ben chiaro che l’energia negativa che accumuliamo dentro di noi è distruttiva. L’inquietudine emozionale è una grossa barriera alla spontanea realizzazione dei desideri, ma per fortuna è possibile trasformare l’energia negativa in un livello più elevato di consapevolezza.
Il termine moksha significa “libertà”. Questo sutra risuona dentro di noi ed esprime il concetto: “Io sono emozionalmente libero. La mia anima è estranea a qualunque melodramma. Sono immune dal risentimento, dalle offese, dalle ostilità e dal senso di colpa. Sono libero dalla presunzione. Sono libero dalla vanità. Sono libero dall’autocommiserazione. So ridere di me stesso.
Vedo il lato umoristico della vita”. Tutto ciò fa parte della libertà emozionale: se non sono libero a livello emozionale, io eclisso l’esperienza dello spirito con l’ego, e le mie migliori intenzioni diventano irrealizzabili.
La libertà emozionale conduce a quella psicologica e a quella spirituale. In realtà esistono soltanto due emozioni – il piacere e il dolore – che ci fanno stare bene o soffrire. La maggior parte delle persone crede che le due emozioni fondamentali siano l’amore e la paura, che invece sono semplicemente due modi di reagire al potenziale del piacere e del dolore. “Amore” significa che vogliamo sentirci più vicini a una certa sensazione perché riteniamo che ci procurerà piacere. “Paura” vuol dire che vogliamo allontanarcene perché pensiamo che ci causerà dolore.
Trascorriamo l’intera esistenza cercando il piacere e facendo del nostro meglio per evitare la sofferenza, due condizioni provocate da cose diverse per ciascuno di noi perché sono diretta conseguenza dei nostri bisogni. Se io ho una gran voglia di mangiare un gelato al cioccolato e qualcuno me lo porta, questo gesto mi procura piacere. Ma se soffro di allergia al cacao e qualcuno mi offre un gelato al cioccolato, assocerò un simile dono all’idea del dolore. È una questione di percezione e interpretazione: l’ego interpreta ogni cosa come piacevole o dolorosa, e considera dolorose anche le eventuali violazioni ai propri confini.
La condizione migliore e più retta è quella dell’equilibrio. Ogni volta che siamo in preda all’inquietudine emozionale sovvertiamo l’equilibrio naturale interiore, bloccando così la nostra evoluzione spirituale ed eliminando la connessione con la sincronicità. Ciò non significa però che le emozioni siano tutte negative o che debbano essere evitate. In qualità di esseri umani, noi le proviamo sempre, sono parte integrante della nostra condizione; sono quelle più estreme che ci distolgono dal vero scopo della nostra esistenza. Certo, ci imbattiamo di continuo in eventi che scatenano in noi forti emozioni, e al mondo succede sempre qualche fatto che ci crea ansia o angoscia, ma dobbiamo evitare di lasciarci intrappolare da un’unica emozione.
Pensate alla vita come a un fiume: il piacere si trova su una riva, il dolore su quella opposta. Il modo migliore di avanzare consiste nello stare tra una sponda e l’altra. Se vi avvicinate troppo a un lato o all’altro, il vostro flusso rallenta e voi correte il rischio di ristagnare. Troppo piacere porta alle dipendenze, troppo dolore toglie la gioia di vivere.
Vorrei sottolineare che la sofferenza non deve essere per forza fisica, ma può essere anche emozionale, per esempio un tormento che risale al passato. Il nostro istinto naturale ci porta a evitarla, ma dobbiamo comunque affrontarla perché in caso contrario si ripresenterà in seguito,
assumendo le sembianze dell’insonnia, della malattia, dell’ansia o della depressione.
L’emozione più distruttiva è forse la rabbia. L’obiettivo finale della trasformazione spirituale è l’illuminazione, lo stato perpetuo di coscienza dell’unità, la consapevolezza costante del fatto che tutti noi e l’intero universo siamo disegni della stessa stoffa intrecciata dall’intelligenza non-locale. La rabbia ci spinge invece a ferire gli altri, ad avanzare nella direzione opposta a quella della coscienza dell’unità, la cui percezione viene offuscata impedendoci di ricevere i messaggi dell’universo che hanno lo scopo di trasformarci.
La capacità di tenere sotto controllo la turbolenza emozionale riveste quindi un’importanza fondamentale. Soffiare sul fuoco dell’ira serve solo a ingigantirlo. È meglio allora affrontare le emozioni di questo genere al più presto, non appena si presentano, adottando un atteggiamento positivo. Invece di alimentare o rimuovere le emozioni negative dobbiamo infatti trasformarle dentro di noi.
Il primo passo di tale conversione consiste nell’assumersi la responsabilità di ciò che si sta provando. Per riuscirci occorre innanzi tutto riconoscere l’emozione che ci ha assalito. Che cosa sentiamo? Dove lo percepiamo nel corpo fisico? Dopo aver capito di cosa si tratta, dobbiamo assumere il ruolo del testimone silenzioso nella maniera più obiettiva possibile. La rabbia viene scatenata dal dolore. Noi dobbiamo descrivere la sofferenza da un punto di vista imparziale.
Dopo aver così identificato la sofferenza, possiamo esprimerla, abbandonarla e condividerla. Trasformiamo l’esperienza dolorosa in una nuova consapevolezza. Alla fine saremo in grado di celebrarla come un altro passo lungo il sentiero dell’illuminazione spirituale. Abbracciamo il dolore, e l’inquietudine emozionale scomparirà lasciando di nuovo sgombro e aperto il sentiero che conduce alla sincronicità.
Per eseguire questo esercizio vi bastano una decina di minuti e un luogo tranquillo dove siete certi che nessuno verrà a disturbarvi. Iniziate meditando per alcuni istanti.
Tenendo gli occhi chiusi, riportate alla mente alcuni eventi o situazioni del passato che vi hanno in qualche modo sconvolti. Può essere stata una discussione sgradevole, un’occasione in cui i vostri sentimenti sono stati calpestati o uno spiacevole incontro casuale. Dopo aver scelto, focalizzatevi sull’episodio in maniera da ricordare il maggior numero possibile di dettagli. Create una sorta di rappresentazione mentale di ciò che vi è accaduto.
Quando si vuole affrontare il dolore, il primo passo consiste nell’identificare con esattezza ciò che si prova. Quale parola definisce meglio lo stato in cui vi sentite a causa di tale episodio? Focalizzatevi ora per qualche secondo sul termine che descrive più precisamente possibile tutte le sensazioni che provate.
Lasciate poi che la vostra attenzione si sposti lentamente da quella parola al vostro corpo. Quali sensazioni fisiche provate dopo aver rivissuto le varie emozioni? Poiché nasce contemporaneamente nella nostra mente e nel nostro corpo, ogni singola emozione ha un aspetto mentale e uno fisico che non possono essere separati. Percepite fino in fondo le sensazioni che l’episodio ricordato aveva suscitato in voi. Le vostre mani si sono automaticamente serrate a pugno? Vi si è chiuso lo stomaco? O avvertite una fitta al ventre? Diventate consapevoli dell’esperienza fisica dell’emozione, e localizzatela in un punto specifico del vostro corpo.
Il passo successivo consiste nell’esprimere l’emozione in oggetto. Appoggiate la mano sul punto del corpo che avete individuato e dichiarate ad alta voce: “Mi fa male qui”. Se ci sono più punti, toccateli uno dopo l’altro e ripetete ogni volta la frase: “Mi fa male qui”.
Noi abbiamo il potere di far scomparire il tormento di ogni sofferenza emozionale. Le nostre reazioni agli eventi esterni si localizzano all’interno del nostro organismo. Noi creiamo le emozioni, che a loro volta danno vita al dolore fisico. Ci basta comprendere questo semplice concetto per imparare a cambiare il nostro modo di reagire a ciò che ci capita. Siamo infatti liberi di scegliere come comportarci: se ci abbandoniamo alla rabbia, alla depressione, all’ansia o a qualche altra emozione intensa, il nostro corpo si adegua, fabbrica gli ormoni necessari, contrae i muscoli e
crea le varie manifestazioni fisiche che provocano in noi una sofferenza concreta, materiale. Dobbiamo quindi tenere bene a mente che noi stessi siamo responsabili di queste conseguenze, e possiamo cambiarle per evitare di esserne danneggiati. Siamo in grado di liberarci dei drammi emozionali e dell’inquietudine. Meditate per un istante sul concetto della responsabilità soggettiva delle reazioni emozionali.
Dopo aver individuato e riconosciuto la sofferenza, ve ne assumete la responsabilità e potete quindi lasciarla andare. Concentrate la vostra attenzione sulla parte del corpo che trattiene il dolore. Con ogni espirazione formulate l’intenzione di liberare la tensione che state trattenendo. Per mezzo minuto focalizzatevi per allentare la tensione e il dolore a ogni respiro. Espirate e lasciate andare.
La fase seguente ci porta a condividere il dolore. Immaginate di poter parlare con la persona coinvolta nell’evento che state ricordando. Che cosa le direste? Rifletteteci sopra, tenendo presente che il vostro interlocutore non era la causa del vostro patimento. Voi avete avuto una reazione emozionale che ha causato la vostra sofferenza fisica. Ve ne siete assunti la responsabilità. Sapendo tutto ciò, che cosa direste ora a quella persona? Le vostre parole sarebbero più connesse alla vostra situazione soggettiva? Qualunque cosa diciate per condividere il dolore che avete provato servirà a purificare e cancellare per sempre quell’esperienza dalla vostra coscienza. Condividete ciò che avete provato, ciò che provate adesso e il modo in cui intendete affrontare in futuro questo stesso tipo di emozioni.
Ricorrete a questo esercizio ogni volta che percepite la presenza di qualche turbolenza emozionale nella vostra vita. E dopo averlo terminato, concedetevi il tempo necessario per celebrare il fatto di aver utilizzato un’esperienza dolorosa per trascendere a un livello superiore di consapevolezza.
Seguendo con costanza questo procedimento riuscirete a liberarvi completamente dalla sofferenza e dall’inquietudine emozionale, aprendovi così il cammino che porta a vivere la sincronicità.
La quotidianità ci offre sempre situazioni e circostanze in cui qualcuno oltrepassa i nostri limiti personali, scatenandoci forti reazioni emotive.
L’esercizio che vi propongo ora è tratto dall’eccellente libro di Marshall Rosenberg intitolato ‘Nonviolent Communication’.
Per acquisire la capacità di comunicare in maniera non violenta occorre superare quattro fasi, rispondendo a quattro domande che dobbiamo porci ogni volta che ci accorgiamo di aver assunto un atteggiamento difensivo. Quando qualcuno ci colpisce, la tentazione di restituire il colpo ricevuto è inevitabile. Questa non sarebbe però la risposta ideale perché da un lato rappresenta una notevole perdita di energia e dall’altro aumenta il livello di discordia nel mondo. Focalizzatevi ora su una situazione recente che è stata per voi fonte di disappunto o irritazione, e procedete passo dopo passo tenendola sempre bene in mente.
Primo passo: separate l’osservazione dalla valutazione. Definite con precisione ciò che è accaduto, invece di fare affidamento sulla vostra interpretazione. Descrivete l’evento con la massima precisione. Chiedete a voi stessi: a che cosa ho davvero reagito? Che cosa è effettivamente successo? Che cosa ho visto e sentito?
Per esempio, mentre siete alla guida della vostra auto vi state chiedendo se vi serve qualcosa per la cena di stasera, quando vostro marito nota il vostro silenzio e vi chiede: “Per quale motivo sei arrabbiata?”
“Non sono affatto arrabbiata, sto solo pensando alla cena”, rispondete voi.
Vostro marito ha reagito al vostro silenzio con una valutazione, e non con un’osservazione. Ogni volta che collegate un significato preciso a una certa azione, formulate un’interpretazione o valutazione. Provate a individuare tra le frasi successive quali sono le valutazioni e quali le osservazioni:
1. “Ti ho visto flirtare con quella persona al party.”
2. “Ti ho visto chiacchierare per più di un’ora con quella persona al party.”
3. “Tu consideri il lavoro più importante della famiglia.”
4. “Nelle ultime tre settimane sei uscito/a prima dell’alba per andare al lavoro e sei tornato/a ogni sera dopo le dieci.”
1. “Non mi ami più.”
2. “Quando rientri dall’ufficio non mi baci più come facevi un tempo.” Nelle tre coppie di frasi, la prima è sempre
un’interpretazione.
Ogni volta che vi accorgete di rispondere con una reazione emotiva, fermatevi per un momento e cercate di identificare la differenza tra la vostra interpretazione dell’evento e la sua osservazione obiettiva. Le osservazioni ci colmano di potere perché ci consentono di riconoscere fino a che punto la nostra reazione si basa su
un’interpretazione, aiutandoci così a modificare i nostri modelli comportamentali di relazione errati.
Secondo passo: definite le vostre emozioni. Chiedete a voi stessi: Quali emozioni ha provocato questa situazione? Che cosa sto provando? Nella vostra descrizione usate un linguaggio che rifletta solo le sensazioni di cui siete direttamente responsabili, evitando i termini che possano far pensare a una persecuzione nei vostri confronti.
Per esempio, potete sentirvi arrabbiati, in competizione, ansiosi, spaventati, coraggiosi, sicuri, beati, increduli, contenti, liberi, allegri, calmi, sbalorditi, contenti, disponibili, speranzosi, lieti, ottimisti, orgogliosi, raggianti, rilassati, sensibili, vergognosi, annoiati, confusi, scontenti, delusi, noiosi, affaticati, colpevoli, ostili, irati, gelosi, pigri, soli…
Non usate definizioni che richiedono la presenza di un’altra persona per farvi sentire in un certo modo. Per esempio, non potete sentirvi “attaccati” da voi stessi, si tratta di un’emozione che non nasce dentro di voi bensì deriva dalla vostra reazione al comportamento di qualcun altro. Altre parole da evitare: abbandonato, maltrattato, ingannato, costretto, sminuito, manipolato, incompreso, sfruttato, rifiutato, inascoltato, invisibile. Ogni volta che le usate attribuite a coloro che vi stanno intorno un potere eccessivo sulle vostre emozioni, quindi attirate persone che evocano queste stesse sensazioni e vi ritrovate infine imprigionati in un circolo vizioso. E rischiate di non conoscere più la felicità fino a quando non vi riappropriate delle vostre emozioni; fossero state soddisfatte, non vi ritrovereste turbati da forti emozioni. Identificate i vostri bisogni con la massima precisione possibile. Iniziate dalla vostra reazione istintiva, e procedete poi lungo la catena dei desideri fino a trovare indicazioni specifiche circa le cose da chiedere. Per esempio: “Ho bisogno di sentirmi amato. Perché?” “Ho bisogno di sentirmi meno solo. Perché?” “Non ho amici, quindi devo sviluppare rapporti interpersonali migliori e fare amicizia con qualcuno.” Questa successione di pensieri vi conduce a qualcosa che potete chiedere agli altri. Non potete domandare a una persona di farvi sentire amati, perché è un compito che va oltre le possibilità di chiunque. Potete però chiedere a un amico o a un conoscente di venire al cinema con voi, partecipare a una festa o bere insieme una tazza di caffè.
Quarto passo: chiedete, non pretendete. Dopo aver identificato il nostro bisogno ed essere pronti a formulare una richiesta in merito, ci ritroviamo spesso a pretendere di essere accontentati. Ma le persone reagiscono male alle pretese, mentre sono molto più disposte a esaudire una richiesta.
Invece di ordinare: “Vai a prendere la biancheria pulita”, chiediamo: “Per favore, puoi andare a prendere la biancheria pulita?” e avremo molte più probabilità di essere accontentati.
In aggiunta, così come accade nel terzo passo, dovete richiedere un comportamento specifico, definendo con la massima precisione possibile ciò che volete. La richiesta: “Mi amerai per sempre?” ha meno possibilità di successo rispetto a: “Vuoi sposarmi?” E invece di porre la questione generica: “Possiamo trascorrere più tempo insieme?” proponete: “Questo pomeriggio ti va di andare al parco insieme?”
Questi passi sono utili in ogni situazione, ma si rivelano
particolarmente efficaci in caso di conflitti. Quando vi ritrovate coinvolti in una situazione di grande tensione, fate un passo indietro, staccatevi dalle emozioni del momento e scegliete di comunicare in maniera consapevole.
Che cosa osservate? Come vi sentite? Definite le vostre necessità. Formulate una richiesta esauriente. In questo modo sarete in grado di mandare in corto circuito una situazione potenzialmente instabile, mantenendo o recuperando il vostro equilibrio.
Esercizio 10. Guarire la rabbia dell’infanzia
Sedetevi in un posto tranquillo dove siete certi di non essere disturbati per una decina di minuti.
Ripensate alla giornata di ieri. Immaginate che la vostra memoria sia una videocassetta che potete riavvolgere in qualunque momento. In questo preciso istante riportatela indietro di ventiquattr’ore. Che cos’avete fatto? Avete provato paura o rabbia? Non importa se non vi è successo nulla di particolarmente importante o drammatico: magari eravate nervosi perché avete dovuto fare una coda con molta altra gente, o avete assistito al comportamento maleducato di una certa persona. Per un minuto cercate di richiamare alla mente il maggior numero possibile di dettagli legati alla giornata di ieri.
Focalizzatevi sulla rabbia, diventando consapevoli delle sensazioni fisiche oltre che delle emozioni.
Riavvolgete ancora di più la cassetta, riportandola indietro di un anno esatto e cercando di ricordare che cosa avete fatto alla stessa data di ieri. Che cosa pensavate? Eravate preoccupati o arrabbiati per qualcosa? Provate a rivivere nel cuore e nella mente le emozioni di quel giorno: sono le stesse che avete provato ieri?
Adesso tornate ai tempi della vostra adolescenza, e concentratevi su una situazione che vi ha particolarmente spaventato o fatto
arrabbiare. Rivivete a livello fisico e mentale quelle emozioni, e scoprite che la rabbia che avete provato ieri è stata costruita su emozioni che risalgono a molto tempo prima.
Provate infine a ricordare un incidente avvenuto nella vostra infanzia. Qual è stata la prima arrabbiatura della vostra vita? Fate affiorare quell’esperienza nella vostra consapevolezza. Dove eravate? Era presente qualcun altro? Chi o che cosa vi ha fatto arrabbiare? Percepite tutte le sensazioni create da quell’attacco d’ira.
Siete diventati consapevoli del modo in cui la paura e la rabbia si sono accumulate nel corso degli anni? Anche se non riuscite a ricordarvelo, il periodo della vostra esistenza precedente alla prima comparsa della rabbia e della paura era dominato dalla pace e dalla tranquillità. Immaginate come poteva essere una simile esperienza di beatitudine totale, e focalizzatevi su di essa. Riavvolgete il nastro immaginario della vostra vita finché lo schermo non diventa nero, e guardate scomparire i confini che vi separano dall’ambiente che vi circonda. Per un minuto percepite la perdita totale di tutta la rabbia e la paura accumulate.
Mantenendo nella vostra consapevolezza quella sensazione di
beatitudine totale, iniziate a spostare in avanti la vostra cassetta. Fermatevi negli stessi punti che avete appena rivisto – i momenti di rabbia o paura della vostra infanzia, dell’adolescenza, di un anno fa, di ieri. Mentre esaminate di nuovo queste scene, introducete in ognuna di loro l’esperienza della beatitudine. Invece di lasciare che i momenti di rabbia si sommino, cancellateli tutti dall’infanzia fino a ieri. Per un minuto sentite la rabbia e la paura che vengono dissolte dalla beatitudine, poi notate come sparisca così anche la montagna di emozioni negative accumulatasi nel corso degli anni nel vostro spirito.
Ricorrete a questo esercizio ogni volta che ritenete di dover affrontare il problema della rabbia. Molte persone lo eseguono di sera, prima di addormentarsi, in modo da svegliarsi poi al mattino in una condizione di totale serenità.
Sutra per il Quinto Principio
Immaginate di non avere alcuna forma fisica e di essere sempre e dovunque un campo di consapevolezza. (moksha)
Immaginate di esservi lasciati per sempre alle spalle qualunque forma di rabbia o risentimento. (moksha)
Immaginate di essere liberi dal desiderio di accusare gli altri e da qualunque senso di colpa. (moksha)
Immaginate di non lasciarvi mai coinvolgere da melodrammi e isterie. (moksha)
Immaginate di poter stabilire qualsiasi obiettivo e di riuscire poi a raggiungerlo. (moksha)
Immaginate di essere liberi dalle vostre compulsioni e dai vostri consueti modelli comportamentali. (moksha)
Immaginate di essere liberi da qualsiasi dipendenza. (moksha)
Immaginate di non aver mai diffuso alcun pettegolezzo. (moksha)
Immaginate di essere liberi di reagire sempre nella maniera più evoluta possibile, indipendentemente dalla situazione in cui vi ritrovate e dall’atteggiamento assunto da chi vi circonda. (moksha)
Immaginate che non ci sia alcun limite a ciò che potete manifestare. (moksha)
Immaginate di poter sempre vedere le infinite possibilità che avete a disposizione. (moksha)
Il Sesto Principio: celebrare la danza del cosmo SUTRA: Shiva-shakti
Io dò vita agli dei e alle dee che racchiudo in me; attraverso di me le divinità esprimono i loro attributi e i loro poteri.
Per riuscire in questo compito possiamo evocare gli archetipi maschili e femminili. Secondo Carl Jung, gli archetipi sono ricordi ereditati, presenti nella mente in qualità di simboli universali rintracciabili nei sogni e nei miti. Sono stati di consapevolezza, concentrazioni cosmiche di energia psichica.
Gli archetipi esistono come potenziale, e giacciono latenti nella nostra coscienza. Ognuno di noi ne possiede almeno uno, che rimane sopito fino a quando non viene attivato da una situazione esterna o nella vita mentale (conscia e inconscia) di una persona. Una volta ridestato, l’archetipo manifesta attraverso di noi i suoi
poteri e i suoi attributi. Di solito ciò che vogliamo ottenere dalla vita è la rappresentazione della combinazione dei nostri archetipi. Per esempio, una persona di eccezionale potere materiale, come un re o un presidente della repubblica, con ogni probabilità ha Zeus o Era come archetipi di potere e comando; un individuo particolarmente saggio può invece avere come archetipo Atena.
È possibile attivare in maniera consapevole i propri archetipi grazie all’intenzione. Dopo aver individuato i vostri archetipi primari, cominciate a evocarli quotidianamente. Circondate voi stessi con i simboli, le parole o gli oggetti che ve li ricordano; teneteli vicino al letto in modo che siano la prima cosa che vedete al mattino al vostro risveglio. Chiedete ai vostri archetipi di concedervi la loro guida e la loro saggezza, di diventare parte del vostro essere e di agire tramite voi: “Vi chiedo di diventare parte di me e di agire attraverso di me. Guidatemi attraverso la mia esistenza”.
Invitate così i vostri archetipi al termine della meditazione quotidiana e subito avvertirete in maniera intensa e diretta la loro presenza: grazie a loro potrete accedere alle forze interiori nascoste in voi.
Esercizio 11. Trovare il cosmo interiore
Leggete ad alta voce il testo di questo esercizio per registrarlo su un’audiocassetta, in modo da poterlo risentire ogni volta che vi servirà.
Fatto questo, sedetevi comodamente con gli occhi chiusi. Placate il dialogo interiore osservando il vostro respiro.
Dopo alcuni minuti focalizzate l’attenzione sul vostro cuore, visualizzatelo come una sfera pulsante di luce che contiene due o tre esseri divini o energie archetipiche. Anche il resto del vostro corpo è fatto di luce; osservatelo mentre si espande fino a riempire completamente la stanza in cui vi trovate e si spinge poi al suo esterno, finché voi non siete più nella stanza ma è la stanza che si trova dentro di voi. Continuate il processo di espansione fino a comprendere dentro di voi l’intera città in cui vivete – gli edifici, le persone, il traffico – e la campagna circostante.
Allargate la vostra percezione del sé per includere nel vostro essere fisico lo stato in cui vivete, il vostro continente e l’intero pianeta. Il mondo è dentro di voi, tutti gli esseri viventi – umani o meno -, gli alberi e le foreste, i fiumi e le montagne, la pioggia e i raggi del sole, la terra e l’acqua… tutti sono componenti della vostra persona, proprio come gli organi che costituiscono il vostro organismo.
Ripetete in tono pacato: “Io non sono dentro il mondo; il mondo è dentro di me”. Qualunque squilibrio riscontriate in questo vostro mondo, chiedete alle divinità che danzano nella sfera di luce all’interno del vostro cuore di correggerlo, di realizzare i vostri desideri e di donare armonia, bellezza, salute e gioia alle varie parti del vostro sé cosmico. Ampliate il senso del vostro sé fino ad assorbire i pianeti e i satelliti, le stelle e le galassie.
Dite ora a voi stessi: “Io non sono dentro l’universo; l’universo è dentro di me”. Diminuite poi pian piano il volume del vostro sé cosmico fino a tornare a sperimentare il vostro corpo soggettivo. Immaginate miliardi di cellule del vostro organismo impegnate in un’unica danza; ogni cellula è un intero universo in sé. Ricordatevi che la vostra vera essenza abita tutti i livelli della creazione, dal microcosmo al macrocosmo, dall’atomo all’universo, dal corpo individuale a quello cosmico. A ognuno di questi piani dell’esistenza avete a disposizione le energie divine che orchestrano non-localmente la danza cosmica per creare l’armoniosa interazione degli elementi e delle forze che possono realizzare qualunque desiderio. Esprimete la vostra gratitudine a queste energie archetipiche.
Rimanete ora tranquillamente seduti o sdraiati, percependo tutte le sensazioni del vostro corpo. Può darsi che avvertiate un intenso formicolio o un senso di grande allegria.
Aspettate due o tre minuti, poi aprite gli occhi. L’esercizio è finito.
Sutra per il Sesto Principio
Immaginate di poter modificare la vostra forma esteriore. (Shiva-shakti)
Immaginate di poter scegliere di essere contemporaneamente entità maschili e femminili. (Shiva-shakti)
Immaginate di essere forti, decisi, coraggiosi, decisi e potenti. (Shivashakti)
Immaginate di essere splendidi, sensuali, intuitivi, premurosi e affettuosi. (Shiva-shakti)
Immaginate di essere solidi come una roccia. (Shiva-shakti)
Immaginate di essere mutevoli come il vento. (Shiva-shakti)
Immaginate di essere angeli con le ali. (Shiva-shakti)
Immaginate di essere creature illuminate e colme di compassione. (Shivashakti)
Immaginate di nuovo di poter modificare la vostra forma esteriore, in modo da trasformarvi in qualsiasi animale, uccello, insetto, pianta o roccia. (Shiva-shakti)
Immaginate che tutti gli esseri mitologici risiedano in voi, e che alcuni tra loro siano i vostri archetipi preferiti. (Shiva-shakti)
Immaginate di poter diventare gli eroi e le eroine che più ammirate. (Shiva-shakti)
Il Settimo Principio: avere accesso alla cospirazione delle
improbabilità SUTRA: Ritam
Io sono all’erta, capace di identificare le coincidenze: so che sono messaggi da parte di Dio e mi lascio andare alla danza cosmica.
IL Settimo Principio racchiude in sé tutti gli altri aspetti del sincrodestino per formare un approccio alla vita che deriva dalla tranquilla consapevolezza.
Ritam significa: “Io sono all’erta per ciò che riguarda la
cospirazione delle improbabilità”.
Ogni evento ha una possibilità più o meno alta di realizzarsi. Per esempio, le mie probabilità di vincere il primo premio della lotteria sono scarse, a maggior ragione se non compero nemmeno un biglietto.
Possiamo aumentare la probabilità che qualcosa accada attraverso le azioni, le quali però dipendono molto dal nostro condizionamento karmico – inteso come interpretazione delle esperienze e delle relazioni passate, che hanno formato e influenzato i ricordi e i bisogni della nostra vita attuale. Così, se in passato siamo stati fortunati, è più probabile che ora decidiamo di acquistare un biglietto della lotteria; una persona che in vita sua non ha mai vinto nulla si sente invece sconfitta in partenza, e difficilmente avrà voglia di tentare la sorte.
Per modificare la nostra esistenza dobbiamo quindi liberarci dei condizionamenti karmici, cambiare la nostra interpretazione di ciò che ci accade giorno dopo giorno e trasformarci in una persona capace di aumentare le probabilità di far succedere grandi cose. Si tratta di un mutamento che inizia al livello dell’anima ed è capace di attribuire un significato a ogni evento. L’anima agisce influenzando la nostra mente. A ogni azione corrispondono un ricordo e un’interpretazione. Il significato, l’esperienza, l’interpretazione, il ricordo e il desiderio sono tutti elementi connessi tra loro per mezzo del ciclo karmico.
In genere noi ci abituiamo a un certo modo di fare le cose e poi manteniamo tali modelli comportamentali semplicemente perché questo ci risulta comodo. Per cambiare la nostra vita dobbiamo invece trovare il modo di rompere questi modelli. È un compito per nulla facile, ma ogni giorno c’è chi lo fa. Per riuscirci occorre osservare i segnali delle nuove probabilità, che giungono a noi sotto forma di coincidenze.
Le coincidenze sono messaggi provenienti dal regno non-locale, inviti ad abbracciare l’ignoto, creativi balzi quantici nel comportamento dell’universo. Poiché ciò che conosciamo dipende dalla consuetudine dei condizionamenti passati, la creatività e la libertà esistono allora nell’ignoto, in qualunque cosa che esuli dalle probabilità prestabilite dal karma. È per questo motivo che occorre cercare di identificare le coincidenze e prenderne debita nota, per poi decifrare i messaggi nascosti che ci trasmettono.
Per definizione, una coincidenza è un’esperienza sincronicistica che influenza in maniera imprevedibile il nostro mondo. La sua stessa esistenza è la prova che Dio vuole comunicarci qualcosa. Noi abbiamo il compito di riconoscerla e di agire di conseguenza. È la nostra opportunità di fornire una risposta creativa, di sperimentare la vera libertà. Per questo motivo non bisogna mai ignorare una coincidenza. Non lasciatevi mai sfuggire l’opportunità di vedere che cosa ha in serbo per voi l’universo: prestando attenzione alle coincidenze ne aumentate inoltre la frequenza, creando così maggiori opportunità.
È questo il segreto del sincrodestino. Tutti i concetti fin qui illustrati sono i princìpi che regolano l’universo: fate in modo che siano i punti di riferimento della vostra esistenza, e potrete condurre la vita che sognate.
Capire che questi princìpi non sono semplici astrazioni ma regole sottese a tutto ciò che facciamo non è una semplice consapevolezza, ma una sorta di celebrazione. Non appena diventiamo partecipi del sincrodestino e impariamo a sincronizzare le nostre giornate al ritmo dell’universo, noi celebriamo la danza cosmica.
Esercizio 12. Fondere ogni cosa
Raggiungete un luogo animato da un’attività frenetica, per esempio un centro commerciale. Comperate qualcosa da mangiare, sedetevi su una sedia o una panchina, chiudete gli occhi, e con piena consapevolezza assaporate il cibo, sentitene il profumo e percepitene la consistenza. Continuando a tenere gli occhi chiusi, prestate quindi attenzione ai suoni dell’ambiente che vi circonda. Che cos’è questa musica di sottofondo, un coro di carole natalizie o la colonna sonora di un film? Riuscite a sentire la conversazione che si sta svolgendo a pochi passi da voi? Siete in grado di catturare qualche parola o qualche frase? Udite qualche suono piacevole o che attira la vostra attenzione più degli altri?
Focalizzate ora la vostra consapevolezza sul vostro corpo, e percepite tutto ciò che vi sta intorno. Siete seduti sul duro o sul morbido? Su una sedia imbottita o una panchina di metallo?
Adesso aprite gli occhi e osservate l’ambiente circostante, le persone che camminano, i colori, i negozi, le merci esposte in vetrina eccetera.
Chiudete di nuovo gli occhi e rivedete con l’immaginazione ciò che avete finora sperimentato – i sapori, gli odori, le consistenze, i suoni, i colori e gli oggetti che avete visto o sentito. Scegliete un’esperienza sensoriale per tipo (per esempio il gelato alla fragola sulla lingua, l’aroma del pane appena cotto, la superficie ruvida dei sassi sotto i piedi, un quadro che ritrae un paesaggio al tramonto, i canti di Natale o il tema del film di James Bond Goldfinger). Tutti questi elementi fanno parte di una storia. Chiedete a voi stessi di quale si tratti. Chiedete al vostro sé non-locale di raccontarvela. Smettete poi di pensarci, sicuri che il vostro sé fornirà la risposta sotto forma di esperienza sincronicistica.
.
..Per questo esercizio mi sono ispirato a un’esperienza che ho veramente vissuto in un centro commerciale nel periodo natalizio. Esattamente un anno dopo mi trovavo in Giamaica. Guidando attraverso la campagna vidi una scena molto simile a quella ritratta nel quadro – il sole che tramontava dietro una collina sull’oceano. Mi informai, e scoprii che quel luogo si chiamava Strawberry Hill, e vi erano state girate alcune scene del film Goldfinger. Da quelle parti c’era un bellissimo hotel. Decisi di andare a dare un’occhiata, e vidi che ospitava delle magnifiche terme. Il direttore mi accolse con gioia: sperava da tempo di conoscermi perché voleva che lo consigliassi su alcune terapie ayurvediche. Iniziammo così a studiare una possibile collaborazione.
Molti anni dopo incontrai il proprietario di quell’albergo, che era anche dirigente di una casa di produzione discografica, il quale mi consultò per la malattia della moglie. Diventammo presto grandi amici, e i suoi consigli mi furono di grande aiuto quando pubblicai il mio primo CD di musiche e meditazioni terapeutiche. Nel corso degli anni la nostra amicizia ha continuato a evolversi, e noi ci sentiamo uniti nello spirito dell’amore, consapevoli di essere connessi a livello karmico.
Sutra per il Settimo Principio
Immaginate di muovervi al ritmo degli impulsi dell’universo consapevole. (ritam)
Immaginate di danzare al ritmo dell’universo. (ritam)
Immaginate che i ritmi del vostro corpo siano in perfetto ordine. (ritam)
Immaginate che il vostro corpo sia una sinfonia. (ritam)
Immaginate di essere l’armonia dell’universo. (ritam)
Immaginate che ogni volta che cercate qualcosa, l’universo vi fornisca indicazioni utili sotto forma di coincidenze. (ritam)
Immaginate che esista una connessione tra ciò che accade nei vostri sogni e ciò che vi succede durante le ore di veglia. (ritam)
Immaginate di trasformarvi per evolvervi in un essere superiore. (ritam)
Immaginate che esistano un significato e uno scopo per tutto ciò che accade e che fate. (ritam)
Immaginate di contribuire alla creazione del mondo. (ritam)
Immaginate che la vita sia piena di coincidenze. (ritam)
Immaginate di notare ciò che gli altri non vedono. (ritam)
Immaginate di vedere il significato nascosto di ogni singolo evento. (ritam)
Immaginate che la vita sia colma di esperienze importanti. (ritam)
Immaginate di possedere talenti unici che utilizzate per servire e aiutare gli altri. (ritam)
Immaginate che tutti i vostri rapporti personali siano all’insegna dell’affetto e della gioia. (ritam)
Immaginate di giocare ed essere allegri. (ritam)
Vivere il sincrodestino
VORREI tornare all’interrogativo che vi ho posto all’inizio del libro: se voi foste certi che i miracoli avvengono, quali vorreste
realizzare?
La maggior parte delle persone sogna soprattutto di avere molto denaro. Certo, un miliardo di euro o di dollari in banca rappresenta la fine di qualunque preoccupazione economica, ma spesso pensiamo che la sicurezza finanziaria ci possa garantire anche la piena libertà di scegliere il tipo di vita che più ci renda felici, che meglio soddisfi le nostre esigenze interiori e che faccia diventare in qualche modo memorabile il nostro soggiorno terreno. Se poteste avere e fare tutto ciò che volete, come vi regolereste?
Il sincrodestino ci consente di realizzare i miracoli, senza alcun genere di limiti, spingendoci in maniera dolce e graduale dal regno locale a quello non-locale. Se viviamo solo al livello locale, la nostra esistenza è povera, il nostro libretto di risparmio spirituale è vuoto, e non sappiamo mai quello che ci può capitare da un giorno all’altro. Arriveremo a sera, alla fine della settimana o del mese? Le nostre azioni sono appesantite dal fardello dell’ansia, i nostri pensieri sono offuscati dai dubbi, le nostre intenzioni bloccate dalle preoccupazioni dell’ego.
Usare il sincrodestino per entrare in contatto con il regno non-locale ci aiuta invece ad accedere al regno della creatività e delle correlazioni infinite. Qui possiamo contare sulla sicurezza interiore, siamo liberi dall’ansia e possiamo diventare la persona che vorremmo essere. E come se possedessimo l’equivalente spirituale di un miliardo di euro in banca: una scorta illimitata di conoscenza, ispirazione, creatività e potenziale, in pratica di tutto ciò che l’universo può offrirci. Qualunque cosa ci succeda, noi rimaniamo sempre calmi, sicuri e benedetti.
I princìpi del sincrodestino ci mostrano la via che porta direttamente allo sviluppo della sintonia con il regno non-locale. Dedicatevi alla meditazione
e rivedete i sutra del giorno, e con il passare del tempo sarete talmente connessi con lo spirito da rendere i miracoli una componente naturale della vostra quotidianità.
Come ogni altro viaggio importante, la capacità di vivere il sincrodestino richiede qualche sacrificio da parte nostra. Dobbiamo abbandonare l’errata convinzione che il mondo sia una macchina ben oliata che funziona autonomamente, senza il concorso della nostra consapevolezza. E necessario rivedere la certezza di essere soli al mondo. Bisogna anche lasciarsi alle spalle il mito secondo cui non è possibile condurre un’esistenza magica: alcune persone ci riescono alla perfezione perché hanno recuperato il contatto con l’energia infinita alla base dell’universo, sanno decifrare le tracce lasciate dalle coincidenze e quindi sanno quale comportamento assumere per aumentare la probabilità che si verifichino cose magiche e
meravigliose.
IL SINCRODESTINO E GLI STATI DI COSCIENZA
Secondo il Vedanta, esistono sette stati di coscienza, molti dei quali non hanno subito una profonda indagine da parte della medicina moderna. Alcuni non sono nemmeno riconosciuti in campo scientifico. Uno dei più grandi veggenti del ventesimo secolo, l’indiano Sri Aurobindo, ha dichiarato che, poiché ci troviamo ancora nelle fasi iniziali dell’evoluzione umana, la maggior parte di noi sperimenta solo i primi tre stati di consapevolezza: il sonno, il sogno e la veglia. Un giorno potremo riconoscere e comprendere gli stati più ampliati, e in tal caso concetti come sincronicità, telepatia, veggenza e conoscenza delle vite passate verranno comunemente accettati.
Ciascuno di questi sette stati rappresenta un aumento della nostra percezione delle sincronicità, e ci fa progredire lungo il cammino dell’illuminazione. Come ho già detto, i primi tre sono i più diffusi, e purtroppo sono anche gli unici a cui molti individui hanno accesso.
Il primo stato della consapevolezza è il sonno profondo, che comporta un certo grado di reattività – reagiamo infatti agli stimoli come il rumore, la
luce intensa o il tocco – anche se i nostri sensi sono sopiti, e la cognizione e la percezione sono quasi nulle.
Il secondo stato è il sogno. Durante l’attività onirica noi siamo leggermente più consapevoli e all’erta che durante il sonno profondo. Viviamo determinate esperienze, vediamo immagini, sentiamo rumori e addirittura pensiamo. Il mondo dei sogni ci sembra reale e
significativo; è solo dopo esserci svegliati che riconosciamo il sogno come una realtà circoscritta al tempo del sonno e che forse non è direttamente legata alla nostra vita da svegli.
Il terzo stato è lo stato di veglia, durante il quale la nostra attività cerebrale è diversa rispetto al sonno e al sogno.
Il quarto stato avviene quando riusciamo a scorgere l’anima, trascendiamo, e per una frazione di secondo diventiamo completamente immobili e silenziosi, consapevoli del testimone che è in noi. Si verifica durante la meditazione, negli attimi in cui sperimentiamo il varco, quel momento di pace assoluta che separa i nostri pensieri. Coloro che meditano con regolarità vivono questa esperienza ogni volta che praticano la meditazione, e di conseguenza la consapevolezza del loro sé si espande.
Anche il quarto stato di coscienza produce precisi effetti
fisiologici: i livelli del cortisolo e dell’adrenalina si riducono; la pressione sanguigna si abbassa e il funzionamento del sistema immunitario migliora. I ricercatori che studiano il cervello hanno dimostrato che quando sperimentiamo il momento di distacco tra un pensiero e l’altro, l’attività cerebrale è molto diversa rispetto a quando siamo semplicemente desti e all’erta. Così come sbirciamo l’anima, in questo quarto livello riusciamo a intravedere anche qualche sprazzo di sincronicità.
La coscienza cosmica corrisponde al quinto stato della consapevolezza, nel quale il nostro spirito osserva il nostro corpo materiale. La coscienza non è semplicemente sveglia all’interno dell’organismo e capace di scorgere l’anima, ma è anche consapevole del ruolo che riveste nell’ambito dello spirito infinito. Durante il sonno lo spirito – l’osservatore silenzioso – guarda il corpo addormentato, come nel caso dei viaggi extracorporei. In questi momenti c’è una consapevolezza all’erta, non solo quando dormiamo e sogniamo, ma anche quando siamo perfettamente svegli. Lo spirito sta osservando, e noi siamo lo spirito. Colui che osserva può vedere il corpo che sta sognando e seguire al tempo stesso anche il sogno. La medesima esperienza si verifica durante la veglia. Il nostro corpo può giocare a tennis, parlare al telefono o assistere a uno spettacolo televisivo. Nel frattempo, il nostro spirito osserva l’unità corpo/mente impegnata in queste attività.
Il quinto stato è chiamato consapevolezza cosmica perché possiede contemporaneamente due qualità, quella locale e quella non-locale. In questa condizione la sincronicità comincia a manifestarsi non appena percepiamo la nostra connessione all’intelligenza non-locale. Ci rendiamo conto che una parte di noi è localizzata e un’altra è non-locale e quindi connessa a ogni cosa. Viviamo allora in maniera totale e completa la nostra inseparabilità da tutto ciò che esiste, il nostro intuito aumenta, e così anche la creatività. Vari studi hanno dimostrato che quando le persone raggiungono uno stato di
consapevolezza cosmica che consente loro di vivere l’esperienza dell’osservatore, le loro onde cerebrali presentano le caratteristiche della meditazione anche se sono impegnate in altre attività.
Il sesto stato è quello della consapevolezza divina, nella quale il testimone è sempre più all’erta. In questo caso, non solo avvertiamo in noi la presenza dello spirito, ma lo percepiamo anche in tutti gli altri esseri viventi. Vediamo lo spirito nelle piante e nelle rocce, e sappiamo che la forza vitale si esprime in ogni cosa, in colui che osserva e in ciò che viene osservato, in colui che guarda e nella scena che viene guardata. Gli individui che raggiungono la
consapevolezza divina vedono ovunque la presenza di Dio, e sono in grado di comunicare con gli animali e le piante.
Per la maggior parte delle persone questa condizione non è costante come lo è invece per i grandi profeti e veggenti, come Gesù Cristo, Buddha, numerosi santi e yogi.
Il settimo e ultimo stato, quello supremo, è la consapevolezza dell’unità o illuminazione. In questo caso lo spirito di colui che percepisce e quello racchiuso in ciò che viene percepito si fondono. Quando ciò accade, noi vediamo il mondo come un’estensione del nostro sé individuale, mentre il sé personale si trasforma completamente nel sé universale. In questa fase i miracoli sono molto comuni pur non essendo necessari, dato che il regno infinito dell’impossibile è sempre disponibile. Noi trascendiamo così la vita e la morte, siamo lo spirito che è sempre stato e sempre sarà.
…
Lascia un commento