12 marzo 2016
L’universo fisico verrebbe completamente stravolto se due costanti fondamentali come la costante di
struttura fine e il rapporto tra la massa del protone e quella dell’elettrone fossero lievemente
diverse. Eppure non esiste alcuna legge fisica che prescrive che il loro valore debba rimanere
immutabile nel tempo e nello spazio. Fin dagli anni trenta del Novecento, generazioni di fisici si
stanno occupando della questione, e l’unica via, oggi come allora, è condurre misure sperimentali in
diverse condizioni, specialmente sui segnali che ci arrivano dallo spazio profondo e che possono
essere catturati dai telescopi più moderni (red)
da lescienze.it
Quando Max Born si rivolse alla South Indian Science Association, nel novembre del 1935, era un
momento di grande incertezza nella sua vita. Il Partito nazista aveva già sospeso la rinomata
cattedra di meccanica quantistica presso l’Università di Gottinga nel 1933.
Era stato invitato a insegnare a Cambridge, ma era una posizione temporanea. Poi il Partito pose
fine alla sua permanenza a Gottinga nell’estate del 1935. Born accettò così l’offerta di lavorare
con C. V. Raman ed i suoi studenti per sei mesi presso l’Indian Institute of Science di Bangalore.
Mentre si trovava laggiù, scoprì che la sua famiglia aveva perso i suoi diritti di cittadinanza
tedesca. Era senza patria e senza una sede stabile. Inoltre, c’era una grande incertezza su due
numeri, emersi da una serie di scoperte e teorie negli ultimi quattro decenni. Erano immutabili e
adimensionali. Il primo, la costante di struttura fine, pari a 1/137, definisce l’intensità delle
interazioni tra le particelle fondamentali e la luce. L’altro numero, mu, indica il rapporto tra la
massa di un protone e quella di un elettrone.
Born era alle prese con la ricerca di teoria unificante per tutte le forze fondamentali della
natura, e voleva anche una teoria che spiegasse l’origine di queste costanti. Cercava qualcosa,
disse, per spiegare l’esistenza delle particelle elementari pesanti e leggere, il loro quoziente di
massa pari a 1840.
Potrebbe sembrare un po’ strano che Born si preoccupasse di un paio di costanti. Le scienze ne sono
piene: una definisce la velocità della luce, un’altra la forza di gravità, e così via. Noi usiamo
questi numeri abitualmente, li vediamo comparire nelle tabelle riportate sui manuali, li
codifichiamo nei nostri software, senza star troppo a pensare perché sono costanti. Una cosa strana
in effetti c’è: non esiste una teoria per spiegare la loro esistenza. Sono universali e sembrano
immutabili, come nel caso delle masse del protone e dell’elettrone. Ma di volta in volta, vengono
convalidate dall’osservazione e dall’esperimento, non dalla teoria.
Ciò che Born e tanti altri cercavano era una teoria unificante che dimostrasse che l’esistenza di un
solo un valore, invariabile, per una data costante. Senza questa teoria, gli scienziati non possono
fare altro che testarne i limiti. Misurare la costante è un buon modo per verificare se le teorie
che li utilizzano hanno senso, se la scienza si trova su un terreno solido. Un errore nelle misure
potrebbe essere un problema enorme. Così, invece di verificare le masse di protoni ed elettroni, è
utile misurare il rapporto delle loro masse, un numero che è privo del fardello dell’unità di
misura.
La ricerca di una teoria unificante non è mai finita. Due anni dopo la conferenza di Born, il suo
collega di Cambridge, Paul Dirac, si chiedeva su “Nature” se le costanti fossero davvero costanti,
guardando all’intera storia del cosmo. Le misure sulla Terra sono utili, ma il nostro pianeta è un
minuscolo punto blu nel vasto universo. Ciò che Dirac si domandava decenni fa è quello che i fisici
continuano a chiedersi oggi. È una costante in tutto l’universo? Perché è una costante? Quanto è
costante? La domanda è rimasta senza risposta, anche se sono passati i decenni. Il valore più
preciso attualmente disponibile per il rapporto tra la massa del protone e quella dell’elettrone è
1836,12 +/- 0,05, scriveva Friedrich Lenz nel 1951 sulle Physical Review Letters”. “Può essere
interessante notare che questo numero coincide con 6pi^5 = 1836,12.” Questo è tutto ciò che dice
l’articolo.
Mettere in discussione le costanti non è un’idea balzana, poiché le teorie esistenti non impediscono
che abbiano un valore diverso. L’universo ha attraversato tre grandi fasi: quella iniziale, dominata
dalla radiazione, subito dopo il big bang; una lunga fase dominata dalla materia; infine una fase
molto lunga dominata dall’energia oscura che ha avuto inizio sei miliardi di anni fa. Un’ipotesi è
che il rapporto delle masse potrebbe essere variato solo nelle transizioni tra le fasi. Il valore
effettivo del rapporto delle masse, 1836.15267389, non desta tante preoccupazioni quanto
l’incertezza circa la sua effettiva natura di costante. E gli scienziati hanno fatto incredibili
progressi nell’affrontare questa incertezza.
Nei prossimi mesi, i ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam, in collaborazione con i
colleghi dell’Università di Amsterdam e della Swinburne University of Technology di Melbourne,
pubblicheranno il resoconto dei loro risultati sulla rivista Review of Modern Physics (l’articolo
è disponibile su arXiv). Il rapporto delle masse, scrivono, varia per meno dello 0,0005 per cento,
non abbastanza per definirlo un cambiamento. Il dato è basato su osservazioni da telescopio che
tornano indietro nel tempo addirittura di 12,4 miliardi di anni, quando l’universo aveva solo il 10
per cento della sua età attuale.
La conclusione è allo stesso tempo banale e sorprendente. Il cambiamento è così onnipresente che non
riflettiamo mai su quanta parte abbia nella nostra esistenza. Una cellula umana può sopportare un
milione di mutazioni del DNA al giorno. Le foglie che sono verdi d’estate ingialliscono in autunno,
prima di cadere e seccare sotto i nostri piedi, il tutto nell’arco di un anno. Gas ruotarono per
milioni di anni fino ad aggregarsi e formare le rocce e l’acqua che oggi costituiscono il nostro
pianeta in orbita intorno al Sole. Eppure alla base di tutto questo cambiamento si trova un numero,
un numero che rimane invariato, da quanto si può vedere nel cosmo. E non sappiamo perché. Il mu è
come un Verbo scientifico che crea l’universo.
La storia del cosmo è un buon terreno di prova per misurare le variazioni della costante. Dal
momento che la luce prodotta dall’universo primordiale continua a raggiungere la terra, i
radiotelescopi sono strumenti efficaci per studiare il rapporto delle masse. La luce più antica
interagisce con i gas in galassie e stelle lontane prima di raggiungere terra. La luce ci arriva
pertanto con una firma caratteristica di questi gas, che assorbono determinate frequenze di luce.
Negli spettri registrati con gli strumenti dei telescopi, questi assorbimenti si manifestano come
righe mancanti. Confrontando questa firma con le misurazioni fatte in laboratorio sullo stesso gas,
i ricercatori possono dedurre le variazioni del rapporto tra le masse.
Il gruppo della Vrije Universiteit è uno dei pochi al mondo che si stanno occupando del rapporto
delle masse protone-elettrone da oltre un decennio. Ha collaborato con scienziati provenienti da
Australia, Francia, Russia, Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito, India e Filippine. Ha studiato
piccole quantità di idrogeno, ammoniaca e metanolo rimaste a fluttuare nello spazio per miliardi di
anni. Ha confrontato i segnali provenienti dal Very Large Telescope, situato nel deserto freddo e
asciutto del Cile settentrionale, da un radiotelescopio di 100 metri in una storica città termale in
Germania, e da un radiotelescopio di 30 metri situato nella Sierra Nevada spagnola. Ha anche
utilizzato il telescopio spaziale Hubble per osservare nane bianche e vedere se gli ambienti con una
gravità 10.000 volte più intensa della Terra potessero alterare il rapporto delle masse.
E… nada. Risultato nullo è una delle frasi più ricorrenti negli articoli del gruppo. Il che è
una buona cosa. Anche un piccolo cambiamento di qualche punto percentuale nel valore del rapporto
significherebbe un universo diverso. Un rapporto delle masse minore potrebbe significare un protone
più evanescente e forse anche un’attrazione debole per gli elettroni che orbitano intorno al nucleo,
con il risultato di diversi tipi di materia.
Anche se il mondo non è molto tenero con le ricerche che non hanno nulla di nuovo da sbandierare, un
risultato nullo non significa che la questione possa essere accantonata. Qui sta il dilemma che fa
sentire il gruppo di ricerca della VU ugualmente inutile e importante. Nessuna teoria fisica può
spiegare la costanza del rapporto delle masse, garante delle leggi della fisica.
Naturalmente, il gruppo della VU non è solo nella ricerca. Già nel 1996, un altro team dello Ioffe
Physical Technical Research Institute, in Russia, analizzò le linee spettrali provenienti dallo
spazio esterno per misurare le variazioni nel rapporto delle masse. Gli scienziati di Cambridge e
della Swinburne University of Technology hanno cercato variazioni nella costante di struttura fine.
Ma è forse il gruppo della VU quello che si è occupato maggiormente del problema del rapporto delle
masse. Nell’arco di più di un decennio, questa dedizione ha prodotto uno dei lavori più completi e
interessanti. Anno dopo anno, generazioni di studenti laureati e post-doc si sono succedute per
affrontare la questione da diverse angolazioni, consderando un posto più lontano nell’universo, un
ambiente gravitazionale diverso, un nuovo strumento per misurare un vecchio problema.
L’obiettivo per le ricerche future è quello di proseguire la caccia più indietro nel tempo e in
ambienti diversi. Telescopi più grandi, come lo European Extremely Large Telescope consentiranno di
raccogliere i segnali più deboli dell’universo. E nonostante la maestosità delle misurazioni, molti
d questi segnali sono in una porzione di cielo molto ristretta. Ampliando il campo di osservazione,
gli scienziati possono verificare i dati provenienti da altre parti dell’universo.
La ricerca sperimentale su una costante che può variare probabilmente continuerà finché non esisterà
una teoria per sostenere la sua esistenza. Una serie di risultati nulli e piccole modifiche alla
variabilità della costante consentirà di colmare le lacune. Come hanno scritto gli autori
dell’articolo apparso su “Reviews of Modern Physics”, “Vale la pena di perseguire anche lievi
miglioramenti incrementali che pongono dei limiti alle variazioni delle costanti fondamentali, data
l’importanza, per la natura stessa delle leggi fisiche della domanda: è costante o no?”
Ogni piccola sfumatura di questo dubbio cosmico è sotto studio, o per produrre un risultato nullo o
per manifestarsi come prova al prossimo ricercatore.
(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 7 marzo.
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blogs.scientificamerican.com/guest-blog/are-the-constants-of-physics-constant/
www.nature.com/nature/journal/v139/n3512/abs/139323a0.html
www.nature.com/scientificamerican/journal/v23/n4s/full/scientificamericantime1114-70.html
adsabs.harvard.edu/abs/1951PhRv…82..554L
www.nat.vu.nl/en/sec/atom/Publications/pdf/PhysRevLett_093007.pdf
www.nat.vu.nl/en/Images/bagdonaite-thesis-full-text_tcm208-442626.pdf
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