Le esperienze sui risultati del Mantra dette da 9 iniziati
– di Swami Sivananda Radha
Tratto da:
Swami Sivananda Radha
MANTRA
Armenia
lista Sadhana > it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana
ESPERIENZE DELLA PRATICA DEL MANTRA
Ho chiesto ad alcuni dei miei discepoli di fornire un breve resoconto di
alcune esperienze fatte nella pratica dei rispettivi Mantra, sia all’inizio
che nel corso degli anni. Le loro testimonianze vi potranno aiutare ad
avviare e a mantenere la vostra pratica e vi mostreranno come il rapporto di
ciascuna persona con il suo Mantra sia estremamente individuale.
– Douglas –
Il canto del Mantra mi ha attirato fin dall’inizio. Durante la prima seduta
di yoga a cui ho partecipato mi sono sentito affascinato e addirittura
trasportato dal canto. Le parole e le melodie mi hanno catturato e sono
rimaste con me. Cantare era una liberazione e le parole, focalizzate
sull’Altissimo, mi elevavano spiritualmente.
Alle scuole superiori sono stato uno fra i parecchi studenti a cui è stato
intimato severamente di sedersi e di smetterla di cantare, rimprovero che mi
ha portato a sentirmi inibito ogni volta che tentavo di cimentarmi nel
canto.
Il canto del Mantra invece mi ha aiutato a superare la mia inibizione e a
cambiare anche la mia voce e il mio udito grazie alla pratica e alla
ripetizione. Dal momento che colgo con maggiore chiarezza le sfumature dei
suoni, adesso posso anche vocalizzarli meglio e quindi posso cantare, anche
se non entrerò mai in un coro.
Per perseverare nella pratica del Mantra per me è importante scegliere un
momento della giornata e un periodo prestabilito di tempo in cui cantare,
così come è utile stabilire una durata periodica della pratica: diciamo un
mese o quaranta giorni.
Dedicarmi ad essa indipendentemente dall’averne voglia, o meno, mi ha
consentito di superare quell’aspetto della mia personalità che mi spinge a
fare quello che preferisco; la libertà da quest’aspetto della mia natura è
di per sé una conquista meravigliosa e persistere nella pratica, a dispetto
di quelle voci interiori che vi si opponevano, ha generato alcune splendide
sensazioni di intima connessione con il Mantra.
Nella pratica del Mantra devo tuttavia guardarmi dalle mie ambizioni, perché
potrei cadere in uno stato di euforica esaltazione quando riesco a
raggiungere i risultati che desidero e di depressione quando non ci riesco.
In aggiunta a tutto questo devo continuamente superare la tendenza a
ritenere che non abbia importanza se trascuro le mie ore di canto.
Il mio lavoro va nel modo migliore quando parto dal poco e procedo
allungando il periodo di pratica o il numero di settimane o di mesi, o
effettuando altri cambiamenti. Mi dedico al canto più a lungo o in modo più
intenso quando mi accorgo che le emozioni stanno per avere il sopravvento,
per affinare e incanalare le energie trasformando tali emozioni in
devozione.
Il Mantra ha finito per diventare sempre più una parte integrante della mia
vita, come la pulizia quotidiana dei denti – cioè come una sorta di pratica
di igiene spirituale – e non soltanto un qualcosa di aggiuntivo che devo
fare. Come parte della mia struttura di pensiero, esso è diventato una forza
autorigenerante, un riflesso automatico che sposta la mia mente sul Mantra
nei momenti di bisogno, negli attimi di tranquillità o quando sto lavorando.
– Katherine –
Quando ho sentito parlare per la prima volta del Mantra, desideravo sapere
molto in fretta di che cosa si trattasse esattamente, prima di dedicare ad
esso una grande quantità di tempo. Dopo la riunione in cui sono stata
introdotta ai Mantra, ho cantato ad alta voce per tre ore; il giorno
successivo, quando sono tornata al mio lavoro di insegnante, ho scoperto che
il Mantra aveva in effetti esercitato su di me il suo potere, perché nei due
giorni successivi ho avuto la sensazione di non avere più alcun sistema di
difesa: era come se tutti i miei meccanismi di protezione, buoni e cattivi,
mi fossero stati sottratti, mettendomi a nudo.
Sono stati due giorni di tormento, ma mi hanno convinta di aver trovato uno
strumento potente.
In seguito ho scoperto che, tanto per cominciare, quindici minuti sono un
periodo di canto più che sufficiente e che il sistema nervoso esce
rafforzato da periodi brevi e regolari di pratica.
Adesso canto i Mantra ormai da molti anni ed essi mi hanno aiutata a
liberarmi di gran parte della mia negatività e a infrangere la morsa di
potenti emozioni. A volte sono rimasta seduta a cantare anche per due
settimane di fila, nonostante un risentimento non focalizzato – ma
incombente – che non riuscivo a evitare per quanto mi sforzassi.
Con il tempo mi sono resa conto che questo rancore è un’espressione del
materiale subconscio che il Mantra sta portando alla superficie e che, se si
prosegue nel canto nonostante le difficoltà, ci si libera di esso e si è in
grado di andare avanti.
Nel corso degli anni la pratica del Mantra mi ha consentito di sviluppare un
concetto personale dell’Altissimo e di creare un rapporto altrettanto
personale con il Divino nella forma della Madre Divina.
Ritengo che Swami Radha abbia ragione quando afferma che il Mantra serve
come una lente mediante la quale focalizzare la mia attenzione e a volte
come lente per focalizzare il potere del Mantra che c’è intorno a me.
– Sandra –
Mi sento davvero benedetta per aver ricevuto il dono del Mantra nella mia
vita. Sono stata introdotta al canto del Mantra durante un corso di yoga a
cui ho partecipato circa undici anni fa e presto mi sono resa conto che
aveva l’effetto di calmare e di elevare la mente.
Dopo di allora mi sono trovata entro breve tempo di fronte alla possibilità
di morire a causa di un tumore, una circostanza che mi ha messa in
condizione di rendermi conto che non conoscevo effettivamente lo scopo della
mia vita e che ero davanti alla prospettiva di perderla.
Dinanzi alla morte, la parte razionale della mia mente, su cui avevo sempre
fatto affidamento, ha avuto ben poco da offrire e in quel periodo
estremamente difficile ho infine preso l’impegno di usare nel modo migliore
il resto della mia esistenza dando tutto il supporto possibile al lavoro di
Swami Radha.
La mia insegnante di yoga è venuta ogni giorno a cantare il Mantra con me
per un periodo di sei settimane e alla fine sono guarita. Quell’esperienza
ha costruito un profondo collegamento con il Mantra, apportando maggiore
chiarezza in merito allo scopo della mia vita.
Una volta tornata al lavoro, mi sono trovata presto coinvolta dagli impegni
numerosi e spossanti della mia professione; spesso avevo ben poco tempo o
scarsa energia da dedicare al Mantra, ma ho fatto quello che potevo.
Ogni giorno mi sistemavo in un angolo comodo e morbido del mio divano e
cantavo per venti minuti. La mia esigente mente razionale giudicava il mio
impegno insufficiente, in quanto il periodo che dedicavo al canto era troppo
breve e mi sistemavo in una posizione troppo comoda, e di conseguenza non
riusciva a capire in che modo la mia pratica potesse produrre il genere di
risultati desiderato. In quel periodo, però, tutto quello che avevo da
offrire erano la mia sincerità e la mia fede.
Poi, mi è stato concesso un sogno in cui ho visto un gong che, colpito al
centro, emetteva un suono delizioso, mentre intorno un gruppo di persone
cantava «Cuore del mio cuore». La mia impressione è stata che quel sogno mi
stesse dicendo che la mia offerta era stata accettata e che in qualche modo
attraverso il Mantra stavo entrando in contatto con il Divino mediante il
mio cuore spirituale. La mia vita ha assunto un significato diverso allorché
ho capito che è il Divino a essere vita, non il corpo e neppure la mente.
– Janice –
Ho instaurato un dialogo con il Mantra fin dalla prima volta che ne ho
ascoltato uno in un seminario yoga di dieci giorni. Durante quel seminario
‘l’Om Namah Sivaya’ mi ha persistentemente incitata a riesaminare la mia
vita e a indagare su di essa. Adesso, parecchi anni più tardi, questo Mantra
continua a parlarmi e a pungolarmi perché attinga ulteriori verità per
perfezionare la mia concezione di chi sono e di cosa posso fare.
Dopo molti mesi di pratica, una mattina d’inverno in cui stavo cantando mi è
parso che il Mantra formasse una sorta di rivestimento argenteo all’interno
del mio ventre. Esso è ancora presente e mi ha risanata e rafforzata di
fronte alle reazioni emotive, sia mie che degli altri.
Per me è importante continuare ad alimentarmi con il Mantra, essere nutrita
dal suono e dalla vibrazione senza mai perdere il collegamento con la fonte
di forza e di chiarezza racchiusa in esso. Un’immagine che spesso mi affiora
nella mente assorbita dal canto del Mantra è quella di un impianto di
perforazione petrolifera che scende sempre più in basso e porta alla
superficie la ricca sostanza scura racchiusa nelle profondità del mio mondo
e al di là di esse.
Il Mantra è il mio collegamento con gli Insegnamenti, con il Guru, con il
mio Io Superiore; è un vero amico e sono profondamente grata di aver
ricevuto questo tesoro che porto sempre con me.
– John –
Ho sperimentato per la prima volta il Mantra durante un corso di yoga in cui
mi è stato spiegato che mi avrebbe aiutato a eseguire alcune asana difficili
dal punto di vista fisico Ho verificato in effetti la sua utilità e in
seguito, durante un seminario intensivo di dieci giorni, ho sperimentato
l’effetto autorigenerante del Mantra come risultato di un canto di gruppo
prolungato e costante. Nessuna di queste due esperienze mi ha però permesso
di capire cosa fosse il Mantra.
Alcuni anni più tardi, nel corso di un seminario sui Mantra, tenuto
nell’arco di un fine settimana, ho conosciuto un diverso approccio al Mantra
proposto da un insegnante proveniente dall’Ashram Yasodhara.
Sono andato a quel seminario senza sapere cosa aspettarmi e, anche se la
prima sessione non è stata per me molto significativa, mi sono sentito
attirato dal canto e disposto a tentare.
Abbiamo passato tutto il giorno successivo a cantare e scrivere Mantra e al
termine di quella giornata mi sono sentito pronto a gettare la spugna.
Per quanto scettico, sono però tornato per il giorno conclusivo del
seminario e alla fine mi sono sentito più calmo e sollevato che fosse tutto
finito! È stato soltanto il giorno successivo alla conclusione del
seminario, mentre ero in viaggio d’affari verso un’altra città, che ho
cominciato a sperimentare qualcosa di effettivamente diverso. Ricordo con
estrema nitidezza il profondo calore interiore e il senso di sicurezza che
ho avvertito. Quello è stato l’inizio.
Nel corso degli ultimi quindici anni ho imparato a usare il Mantra come
mezzo per controllare le emozioni e rimettere a fuoco la mente. A volte, la
mia pratica è stata ricca e manifestamente utile, altre volte mi è parsa
arida e vuota; spesso ho allentato la mia tensione emotiva ritrovando
un’altra dimensione del mio essere, qualcosa che è presente ogni giorno,
dovunque mi trovi.
La portata di questo processo ha cominciato a rivelarsi durante un periodo
di isolamento di tre mesi, che ha compreso un’intensa pratica del Mantra di
quattro ore al giorno: due prima dell’alba, una prima di mezzogiorno e
un’altra dopo mezzogiorno.
È stato allora che ho scoperto il ruolo fondamentale che il Mantra svolge
nelle profondità dell’intimo, ma ho appurato anche che esistono dei limiti.
Quando ho deciso di estendere la pratica a cinque ore al giorno i miei sogni
mi hanno comunicato senza incertezze che la mia decisione era pericolosa e
tutt’altro che utile. Come ogni altro strumento, il Mantra è una cosa che si
può usare o di cui si può abusare, come ho avuto modo di sperimentare.
– Aileen –
Una delle maggiori difficoltà che ho dovuto superare nella mia pratica del
Mantra è stata quella di passare da come pensavo che avrei dovuto praticarlo
a scoprire ciò che il Mantra significa per me e a lasciarmi coinvolgere in
esso.
Quell”avrei dovuto’ si accentrava intorno alle tecniche relative alla
pratica, come avere la schiena eretta e sedere immobile, ma il
coinvolgimento provocato dal Mantra ha cambiato radicalmente le cose.
Lasciarsi coinvolgere vuol dire aprire il cuore, mentre agire sulla base di
un “avrei dovuto” significava operare tramite la mente razionale ed
escludere i sentimenti.
Le implicazioni derivate dal cambiare il punto focale nella pratica non sono
immediatamente evidenti e tuttavia proprio quel cambiamento ha richiesto che
io modificassi il mio generale approccio alla vita.
Il problema si è presentato nella pratica del Mantra, ma in effetti questo
modo di operare sulla base di quello che “dovevo” fare era presente in molte
aree della mia vita quotidiana. Non appena ho cominciato a esaminarmi, mi
sono resa conto che questa dinamica del giusto-sbagliato, buono-cattivo
permeava la mia mente e in virtù dell’effetto che il Mantra stava
esercitando su di essa della sua capacità di elevarla al di sopra di
quell’ottica rigida e limitata – ho potuto vedere con estrema chiarezza che
c’era qualcosa che doveva cambiare nel mio modo di affrontare la vita, prima
che potessi essere in grado di muovere il passo successivo sul sentiero
dello spirito.
Ho dato avvio dunque a un processo che si è realizzato in modo fluido, a
mano a mano che mi lasciavo coinvolgere progressivamente dal Mantra e al
tempo stesso operavo il cambiamento nella vita quotidiana, lasciandomi
effettivamente coinvolgere da tutto quello che facevo. Ciò ha comportato la
necessità di imparare a essere ricettiva in tutte le aree della mia vita, in
quanto esse si influenzano reciprocamente.
– Jay –
Inizialmente, cantare il Mantra è stata per me un’esperienza molto
positivaL; a volte, addirittura, esaltante,- ma il mio entusiasmo iniziale e
i primi risultati non sono durati a lungo ed è passato un certo tempo prima
che io riuscissi a superare gli ostacoli che impedivano un’esperienza più
profonda e sostanziale. I progressi iniziali mi hanno tuttavia fornito
un’indicazione del potenziale racchiuso nelle sillabe sacre, tale da
incoraggiarmi a continuare nel canto.
Con il tempo ho cominciato a vedere che gli impedimenti a una pratica più
profonda erano prodotti del mio forte intelletto. L’orgoglio dell’intelletto
era la forza che rifiutava di aprire la porta al genere di esperienza che
l’intelletto stesso aveva già concettualizzato come irrazionale e quindi
indegna di fiducia.
La presunzione intellettuale alimenta la convinzione che l’intelletto sia
superiore alla mente soggettiva e irrazionale, un’opinione che trovava
naturalmente un notevole sostegno nella mia educazione e nei processi di
socializzazione di stampo occidentale.
Aggrapparmi a questa mia persuasione non serviva però a risolvere i
conflitti mentali/emotivi che erano emersi durante i miei sforzi per portare
avanti la pratica e alla fine ho dovuto riconoscere che la fonte di quei
conflitti era la mia paura che l’intelletto potesse perdere il controllo del
modo in cui io usavo la mia mente.
Il fatto che un’intensa emozione – nella fattispecie la paura – stesse
controllando la mia mente mi ha alla fine dimostrato che non stavo ben
impiegando l’intelletto, in quanto non stavo utilizzando il potere
intellettuale della logica e della ragione per valutare in modo adeguato e
trasporre in parole quello che stava accadendo alla mia mente.
La difficoltà a cui mi sono trovato davanti (e che può essere familiare a
molti uomini) è stata creata dal mio rifiuto di accettare il fatto, reso
evidente nella pratica stessa, che il vero sapere – il sapere dell’Io – è
contenuto in una parte della mente che attinge a un tipo di intelligenza
molto diverso.
Quando ho compreso questo fatto e ho, in certa misura, sperimentato le
profondità della mia mente a cui potevo accedere attraverso il canto, mi
sono reso conto che ciò che in precedenza chiamavo conoscenza consisteva in
semplici informazioni.
Cantare il Mantra mi ha portato oltre una linea di confine e in un
territorio che la mia mente ha caratterizzato mediante immagini e a volte
tramite ricordi molto vecchi, che spesso portavano a potenti emozioni e a
sentimenti intensi. Il mio canto si concludeva però sempre con un profondo
senso di pace e di benessere, credo perché lo dirigevo intenzionalmente
verso un’immagine del Divino – l’aspetto Radha – al fine di risvegliare la
parte devota e intuitiva del mio essere: il regno dei sentimenti più elevati
e della maggiore sensibilità. Di per sé, il solo intelletto non può fornire
una simile esperienza.
Ho anche scoperto che l’intento della pratica del Mantra è quello di entrare
in comunione con il Divino e che la sua durata non è importante quanto la
sincerità dello sforzo compiuto. In altre parole, ciò che conta
effettivamente è se posso focalizzare tutta la mia attenzione,
concentrazione e disponibilità nel canto anche per pochi minuti appena, e se
posso invocare una dose di umiltà sufficiente a contrastare l’orgoglio
intellettuale trasformando la pratica in un’offerta.
Ho scoperto che ero in grado di ascoltare con concentrazione il suono creato
dalla mia voce e dal mio respiro e che ascoltare calmava la mia mente
irrequieta, dandomi modo di arrivare al cuore del Mantra. Indirizzando la
mia volontà all’ascolto, ho sperimentato un frammento dell’essenza del
Mantra e sono riuscito a instaurare con la stessa un rapporto privo di
paura.
– Anne –
Nella mia pratica del Mantra ho scoperto di essere coinvolta in modi che
andavano al di là della semplice espressione vocale. Il fondamento della mia
adorazione è il rituale, che si impone anche con lo spazio in cui canto,
allorché predispongo l’altare con le sue immagini. Per me è importante
disporre i fiori scegliendo per l’altare soltanto i migliori e togliendo
quelli avvizziti, spolverare il tavolo dell’altare, accendere le candele,
organizzare quello spazio in modo che sia invitante per me e per il Divino.
L’invito rivolto al Divino deriva dalla meravigliosa fragranza e bellezza
dei fiori, come anche dalla cura e dalle attenzioni che ho per l’altare,
tirato a lucido in ogni particolare. Esiste un elemento di stabilità
derivante dal mio interesse per i fiori che comincia con il decidere quali
fiori coltivare, per poi curarli, sceglierli, disporli sull’altare fragranti
e splendidi, e infine rimuoverli per sostituirli con altri freschi,
continuando il cerchio.
Una volta avevo sull’altare un’immagine di Tara e davanti a lei c’erano
sempre sette ciotole d’ottone, che riempivo d’acqua ogni mattina e svuotavo
ogni sera. Mentre riempivo e svuotavo le ciotole, ripetevo il mio Mantra, o
quello della Madre Divina; un rito che è diventato per me molto
significativo, in quanto rendeva visibile il mio impegno nei confronti del
Divino.
Se non avessi mantenuto questo impegno le ciotole sarebbero rimaste vuote,
ricordandomi quello che dovevo fare. Compiere questo gesto prima di
cominciare il canto mi aiutava anche a entrare nella pratica del Mantra;
avevo inoltre un piccolo scialle che ero solita avvolgere intorno a Tara
ogni notte, in modo da concederle uno spazio privato in cui riposare, per
poi svegliarla rimuovendo lo scialle alla Luce del mattino. In quei momenti
le parlavo,chiedendo guida e aiuto, e aspettavo in silenzio che la parte di
me che rispondeva a tali suppliche si destasse, ascoltando con attenzione la
mia voce interiore o i messaggi che giungevano intorno a me. Nel cantare il
Mantra mi servivo della mia voce per trasmettere intenzionalità e
disponibilità, il mio desiderio e bisogno di essere con lei. Ogni mattina e
ogni sera mi chiedevo se le ciotole d’acqua fossero piene o vuote, se lo
scialle fosse al suo posto o meno, se i fiori fossero
freschi e fragranti, la mia voce limpida nel suo intento, la voce di Tara
udibile nel silenzio.
Quanto più sono coinvolta nel rituale tanto più forte diventa il mio impegno
nell’adorazione e tanto più ricca si fa la mia pratica.
– Carol –
Ho cominciato a praticare il Mantra come mezzo per controllare l’ira. Essa
costituiva per me un vero e proprio problema e per la maggior parte del
tempo la dirigevo contro mio marito.
Swami Radha mi ha fatto capire quanto fosse importante liberarmi della mia
collera, sottolineando che uno scoppio d’ira consumava l’equivalente di
mesi di pratica spirituale. Riuscirci mi era molto difficile perché l’ira mi
appariva fuori da ogni controllo: facevo ogni sorta di piani e di patti con
me stessa per non cedere ad essa, ma le mie buone intenzioni risultavano
sempre vane, parole ed emozioni scaturivano da me prima che mi rendessi
conto di cosa stavo facendo.
È stato mio marito a incoraggiarmi a sottoporre il problema all’influsso del
Mantra e ho iniziato con trenta minuti di pratica al giorno, per quaranta
giorni, scegliendo il Mantra Hari Om in quanto connesso con la guarigione.
Ho pregato il Divino perché mi aiutasse a cambiare e ho cominciato; in un
primo tempo mi sono sentita confortata dal canto, senza però che ci fosse il
minimo cambiamento nel mio modo di comportarmi, ma con il passare dei giorni
ho cominciato a sentirmi più contenta, più appagata.
Dopo circa una ventina di giorni, mi sono resa conto di un sottile
spostamento, o cambiamento, dentro di me: l’ira ha iniziato a placarsi di
sua iniziativa, un fatto che mi ha lasciata stupita e mi ha indotta a
chiedermi se quel fenomeno sarebbe continuato.
Alla fine dei quaranta giorni ho compreso che si era verificato un mutamento
profondo e duraturo; potevo avvertirlo e le mie reazioni lo dimostravano.
Quest’esperienza mi ha dato la comprensione del termine “trasformazione”, in
quanto la mia collera, o per meglio dire l’energia racchiusa in essa, era
stata trasformata in un carattere controllato e in sentimenti di
compassione.
Adesso mi rendo conto che inizialmente ho impiegato il potere della volontà
per cercare di cambiare, e che non ha funzionato perché ciò per cui era
effettivamente necessario usare la volontà era stabilire i ritmi della
pratica in modo che il Mantra potesse – come ha fatto – compiere la sua
opera.
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