Le fondamenta del Buddhismo 17

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Le fondamenta del Buddhismo 17

di Peter Della Santina

(parte diciassettesima)

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO> (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

LA SFERA DELLA FORMA E DELLA NON FORMA

Nel capitolo precedente ho presentato vari schemi di classificazione della coscienza, che potrebbero
risultare difficili da comprendere, soprattutto da parte di chi ha appena cominciato lo studio
dell’Abhidharma. Perciò prima di continuare la discussione, vorrei aggiungere due punti. Primo, per
acquistare conoscenza uno deve coltivare lo studio, la riflessione e la meditazione. Non basta
leggere o sentir parlare delle classificazioni della coscienza; bisogna anche riflettere sul modo in
cui funzionano precisamente e il loro esatto significato. Per esperienza personale, devo dire che
sono riuscito a capire questi schemi di classificazione, solo dopo averli passati e ripassati in
mente per un certo tempo. Infine, dopo averli studiati e averci riflettuto, li si può usare per la
propria meditazione.

Secondo: per capire queste classificazioni ci è d’aiuto considerare un esempio più concreto e
accessibile. Supponiamo che vogliate sapere quante persone stanno probabilmente guardando la TV di
giorno a Singapore. Potete classificare la popolazione in lavoratori e disoccupati, e poi i
disoccupati in quelli che parlano inglese o cinese, in modo da sapere quanti guardano i programmi
inglesi e quanti quelli cinesi. Potete dividere la popolazione in maschi e femmine, studenti e non
studenti, e il gruppo di studenti potete dividerlo in quelli che vanno a una scuola cinese e quelli
che vanno ad una scuola inglese. Dato un certo fattore (in questo caso la gente che individualmente
forma la popolazione) ci sono vari modi di classificarli a seconda di ciò che volete scoprire.

Lo stesso accade per la classificazione abhidharmica della coscienza; si stabiliscono alcuni tipi di
coscienza, e poi li classifichiamo in vari modi a seconda di ciò che vogliamo scoprire. Se teniamo a
mente questa regola generale su come e perché classificare i fattori di coscienza, e poi ripassiamo
questi schemi in mente per un po’, cominceremo a vederne sempre più chiaramente il senso.

In questo capitolo parleremo della coscienza della sfera della forma (rupavachara) e quella della
sfera della non forma (arupavachara. Vedi cap. XVII). La cosa che qui ci interessa è l’analisi dei
tipi di coscienza che sorgono dalla meditazione, concentrazione o assorbimento (jhana). Come
nell’origine dell’Abhidharma stesso, così per gli inizi dell’analisi abhidharmica della coscienza,
Sariputta riveste un ruolo di primaria importanza. Nell’Anupada Sutta si dice che Sariputta, dopo
aver raggiunto i vari stadi di meditazione, applicò ai vari tipi di coscienza che aveva sperimentato
un’analisi di tipo abhidharmico, enumerandoli, classificandoli e identificandoli.

Fin dall’inizio della storia del buddhismo è sempre stata attribuita particolare importanza
all’analisi, poiché l’esperienza di stati straordinari in meditazione poteva essere facilmente
fraintesa, come accadeva infatti nelle tradizioni non buddhiste, in cui tali stati erano ritenuti la
prova evidente dell’esistenza di un essere soprannaturale e trascendente, e di un’anima eterna.
Mettendo in rilievo che i vari stadi di meditazione, come d’altronde tutta l’esperienza in generale,
sono caratterizzati da impermanenza, transitorietà e insostanzialità, l’analisi allontana le tre
impurità di 1) attaccamento a stati di coscienza soprannaturali e straordinari ottenuti per mezzo
della meditazione; 2) false idee, che portano a considerare questi stati meditativi come prova
dell’esistenza di un essere trascendente o di un’anima eterna; 3) presunzione che nasce dall’aver
ottenuto straordinari stati meditativi.

Lo sviluppo degli stati meditativi e il raggiungimento degli assorbimenti è una parte molto
importante della pratica buddhista perché è lo scopo della coltivazione mentale, che a sua volta è
una delle principali divisioni della Via buddhista (moralità, coltivazione mentale e saggezza). Per
ottenere questi stadi meditativi si deve partire da una base di moralità e ritirarsi il più
possibile da attività mondane. Stabilite queste condizioni preliminari, si procede a coltivare gli
stati meditativi, attraverso vari metodi, che tradizionalmente comprendono quaranta oggetti di
meditazione, in cui sono inclusi dieci supporti (kasina). Questo oggetti sono coordinati con il
temperamento del meditatore. In altre parole, particolari oggetti di meditazione sono prescritti per
certi temperamenti.

In generale uno comincia con un supporto esterno che man mano viene interiorizzato e
concettualizzato fino a che viene scartato e si entra così nello stato meditativo vero e proprio.
Per sviluppare gli stati meditativi che risultano in tipi di coscienza appartenenti alle sfere di
forma e non forma è importante avere cinque fattori di assorbimento (jhananga): 1) applicazione
iniziale (vitakka), 2) applicazione sostenuta (vichara), 3) interesse, entusiasmo o estasi (piti),
4) felicità o beatitudine (sukha) e 5) unificazione mentale (ekaggata). Questi fattori sono presenti
in molti tipi di coscienza che include, oltre alla coscienza della sfera dei sensi, anche la
coscienza di alcuni animali altamente sviluppati. Prendiamo ad esempio l’unificazione: ogni momento
cosciente ne possiede un certo grado ed è essa che ci permette, durante l’esperienza cosciente, di
fissarci su un oggetto particolare. Se non fosse per l’unificazione non saremmo in grado di isolare
un oggetto di coscienza dal flusso continuo di oggetti di coscienza.

I cinque fattori di assorbimento giocano un ruolo particolare nello sviluppo della coscienza
meditativa, in quanto elevano la nostra coscienza dalla sfera dei sensi a quella della forma e poi a
quella della non forma, per mezzo dell’intensificazione, che è un rafforzamento e aumento del potere
di alcune speciali funzioni della coscienza.

L’intensificazione dei primi due fattori, applicazione iniziale e applicazione sostenuta, porta allo
sviluppo dell’intelletto, che a sua volta serve a sviluppare l’intuizione profonda. Allo stesso
modo, l’intensificazione del quinto fattore, l’unificazione, porta allo sviluppo di una coscienza
completamente concentrata e assorbita. L’intensificazione di tutti e cinque i fattori porta
progressivamente alla realizzazione di poteri soprannaturali. I cinque fattori aiutano anche ad
elevare la mente dalla sfera dei sensi a quella della forma e della non forma, allontanando i cinque
impedimenti (nivarana); l’applicazione iniziale tiene a bada indolenza e torpore; l’applicazione
sostenuta tiene a bada il dubbio; l’entusiasmo tiene a bada l’ostilità; la felicità tiene a bada
l’agitazione e l’ansia; l’unificazione tiene a bada il desiderio sensuale.

Studiamo ora meglio i cinque fattori di assorbimento per vedere come fanno a produrre una coscienza
concentrata e per far ciò dobbiamo conoscere il loro preciso significato. Nel contesto dello
sviluppo della coscienza meditativa, l’applicazione iniziale (vitakka) viene più propriamente
chiamata “pensiero applicato”, poiché significa urtare, colpire, sovrapporre. Vitakka si sovrappone
alla mente portandola verso l’oggetto di meditazione; vichara (applicazione sostenuta) tiene invece
la mente ferma sull’oggetto, mantenendola “in posizione”. Il terzo fattore d’assorbimento
(entusiasmo, interesse o estasi, piti) dà la motivazione per proseguire la meditazione con
diligenza. E’ utile confrontare piti (interesse) con sukha (felicità) per capire in che rapporto
sono tra di loro.

Interesse e felicità appartengono a due classi diverse di esperienza: l’interesse appartiene alla
classe della volizione (sankhara) e la felicità a quella delle sensazioni (vedana). L’interesse è
attiva partecipazione ed entusiasmo, mentre la felicità è una sensazione di contentezza e
beatitudine. I commentari, per illustrare la relazione tra i due termini, danno il seguente esempio:
supponiamo che un uomo sia nel deserto e gli venga detto che c’è una pozza d’acqua fresca alle porte
del villaggio vicino. Sentendo la notizia, egli prova un forte senso di interesse (piti) e viene
motivato e incoraggiato a proseguire da queste informazioni. Ma quando realmente raggiunge l’acqua
ed estingue la sete, sperimenta felicità (sukha). Quindi è l’interesse o entusiasmo che ci spinge a
sviluppare una coscienza concentrata, mentre la felicità o beatitudine è la vera esperienza della
felicità che si ottiene con una coscienza concentrata.

L’unificazione (ekaggata) è raccoglimento della mente, non distrazione, focalizzazione della mente
sull’oggetto di meditazione senza oscillazioni. E’ come la fiamma di una lampada immobile in una
stanza senza correnti d’aria.

Quando sono presenti tutti e cinque i fattori di assorbimento, si è raggiunta la prima coscienza
della sfera della forma, o assorbimento. Man mano che i fattori di assorbimento vengono eliminati,
si prosegue passo dopo passo verso la quinta coscienza della sfera della forma. In altre parole,
quando viene eliminata l’applicazione iniziale si entra nel secondo assorbimento e quando viene
rimossa l’applicazione sostenuta si ha il terzo assorbimento; quando si lascia l’interesse si entra
nel quarto e lasciando la felicità, infine nel quinto assorbimento della sfera della forma.

Questi cinque tipi di coscienza sono karmicamente attivi e di tipo salutare. Inoltre ci sono cinque
tipi di coscienza reattiva, risultante e cinque tipi di coscienza inattiva e funzionale. I primi
cinque sono karmicamente attivi e presenti in questa vita; i secondi cinque sono il risultato dei
primi cinque. In altre parole, la coltivazione degli assorbimenti nella sfera della forma ha come
risultato la rinascita nella sfera della forma. Il terzo gruppo dei cinque sono gli assorbimenti
nella sfera della forma praticati dagli arahats che hanno spezzato la catena di azione e reazione ed
è per questo che gli assorbimenti praticati da loro sono inattivi.

Perciò ci sono 15 tipi di coscienza della sfera della forma: cinque salutari attivi; cinque
risultanti e cinque inattivi. Quando uno ha ottenuto la quinta coscienza della sfera della forma,
sperimenta una certa insoddisfazione per la natura limitata degli assorbimenti nella sfera della
forma; perciò prosegue verso gli assorbimento nella sfera della non forma, sempre usando un oggetto
di meditazione, che di solito è uno dei dieci sostegni (kasina). Per far ciò allarga il sostegno
fino a coprire lo spazio infinito, poi lo scarta e medita sull’infinità dello spazio, raggiungendo
così il primo assorbimento della sfera della non forma. Poi va avanti verso il secondo assorbimento,
dimorando nell’infinità della coscienza. A questo stadio, invece di meditare sull’oggetto della
coscienza meditativa (cioè l’infinità dello spazio) si fissa sull’oggetto della coscienza
meditativa, cioè sulla coscienza stessa che pervade lo spazio infinito o coscienza infinita.

Il terzo assorbimento nella sfera della non forma si ferma sulla non esistenza attuale della
precedente coscienza infinita che pervadeva l’infinito. In altre parole, rimane nel niente assoluto
o vuoto. Infine il quarto assorbimento si ferma sulla sfera di “né percezione né non percezione”,
una condizione in cui la coscienza è così sottile che non la si può dire né esistente né non
esistente. Come per gli assorbimenti della sfera della forma, anche in questi della non forma ci
sono tre gruppi di coscienza (ma con quattro invece che con cinque tipi ognuna). Quattro tipi di
coscienza appartengono alla categoria salutare e attiva; quattro a quella risultante-reattiva, cioè
alla rinascita nella sfera della non forma; quattro appartengono alla categoria inattiva o
funzionale, che sono gli assorbimenti praticati dagli arahat. In tutto ci sono dodici tipi di
coscienza della sfera della non forma: quattro salutari-attive, quattro risultanti e quattro
inattive.

Se osserviamo la progressione degli assorbimenti in questa sfera della non forma, vediamo una
graduale unificazione e rarefazione della coscienza: un assorbimento nell’infinità dell’oggetto
(spazio), uno nell’infinità del soggetto (coscienza), uno nel nulla e infine un assorbimento in “né
percezione né non percezione”. Ricorderete che quando abbiamo parlato della coscienza e dei suoi
oggetti come strutture di base per generare l’esperienza, abbiamo trovato che nella coscienza della
sfera dei sensi vi è un tipo di esperienza molto frammentata, in cui la coscienza e i suoi oggetti
si spezzettano in molti fattori. Man mano che si progredisce attraverso la sfera della forma e
quella della non forma, vi è una graduale unificazione del soggetto e dell’oggetto, per cui quando
si arriva al quarto assorbimento della sfera della non forma, si è raggiunto il culmine
dell’esperienza mondana. E’ interessante notare che gli assorbimenti della sfera della forma e della
non forma erano praticati dagli yogin prima del tempo del Buddha ed erano ancora praticati dai suoi
contemporanei. C’è ragione di credere che i due insegnanti con cui Gotama studiò prima della sua
illuminazione, praticassero queste meditazioni. Gli assorbimenti della sfera della non forma erano
il livello più alto di sviluppo spirituale a cui l’uomo potesse giungere prima del Buddha. Ma nella
notte della sua illuminazione il Buddha dimostrò che gli assorbimenti devono essere uniti alla
saggezza per diventare veramente sopramondani.

Per questo si dice che, sebbene uno raggiunga i più alti livelli di sviluppo meditativo e possa così
rinascere nei punti più alti della sfera della non forma, tuttavia, quando il potere di quella
meditazione (che è comunque impermanente) svanisce, rinascerà in una sfera inferiore. Per questa
ragione si deve andare al di là persino di questi livelli di coscienza meditativa, estremamente
sottili e altamente sviluppati.

Bisogna saper abbinare la coscienza concentrata e unificata dagli assorbimenti con la saggezza. Solo
così si può progredire passando dai vari tipi di coscienza mondana fino a quella sovramondana.

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