Le fondamenta del Buddhismo 18

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Le fondamenta del Buddhismo 18

di Peter Della Santina (parte diciottesima)

Tratto da: < LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO > (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

COSCIENZA SOVRAMONDANA

In questo capitolo concludiamo l’esame dell’analisi della coscienza, con cui termina il primo libro
dell’Abhidharma Pitaka, il Dhammasangani (classificazione dei fattori). Parlerò dell’ultima delle
quattro classificazioni obiettive della coscienza, la coscienza sopramondana (alokiya chitta) a cui
ho già accennato nel capitolo XVI.

Ci sono due modi per distinguere fra i tipi di coscienza sopramondana e quelli di coscienza mondana
(cioè della sfera dei sensi, della forma e della non forma). La prima distinzione riguarda la
determinazione e la direzione. La coscienza mondana è determinata, indiretta e soggetta al karma e
alle condizioni, mentre la coscienza sopramondana è determinante, diretta a uno scopo e non più
soggetta a forze fuori dal suo controllo. E’ determinante perché non predomina il karma ma la
saggezza.

L’altra distinzione è che i tipi mondani di coscienza hanno come oggetti fenomeni condizionati,
mentre quelli sopramondani hanno come oggetto l’incondizionato, cioè il Nirvana. Il Buddha disse che
il Nirvana è uno stato non nato e non creato. Un tale stato è necessario affinché possa esistere una
via d’uscita dal mondo condizionato della sofferenza. E’ in questo senso che la coscienza
sopramondana è non creata e non condizionata.

Possiamo dividere i vari tipi di coscienza sopramondana in quattro gruppi di coscienze attive e in
quattro di coscienze passive. Normalmente i tipi di coscienza possono essere attivi o passivi e
quelli passivi possono essere reattivi (risultanti) o inattivi (funzionali). Tuttavia in questa
categoria non vi sono tipi di coscienza funzionali o inattivi, poiché qui i tipi di coscienza sono
determinanti non determinati. Questi otto tipi di coscienza sopramondana (quattro attivi e quattro
passivi) corrispondono ognuno alla Via e al Frutto dei quattro tipi di Nobili realizzati: colui che
entra nella corrente (sotapanna), colui che ritorna una sola volta (sakadagami), colui che non
ritorna più (anagami) e arahat.

A questo proposito vorrei fare un’altra distinzione fra coscienza mondana e sopramondana. Nei tipi
di coscienza mondana, le coscienze attive e risultanti possono essere separate da periodi di tempo
relativamente lunghi. In altre parole, il fattore cosciente attivo può produrre il fattore
risultante dopo molto tempo, in questa vita o addirittura in vite future. Per esempio, nel caso
della coscienza delle sfere di forma e non forma, la coscienza risultante non si manifesta fino alla
prossima vita. Invece nei tipi di coscienza sopramondana, la coscienza risultante (o Frutto) segue
immediatamente la coscienza attiva (o Via). Gli otto tipi di coscienza sopramondana possono essere
portati a 40, combinando ognuno degli otto tipi con ognuno dei cinque assorbimenti della sfera della
forma. Cioè i quattro tipi di coscienza attiva sopramondana (la coscienza della Via di chi è entrato
nella corrente e degli altri) si combina con la coscienza appartenente al primo assorbimento e così
via, in modo che ci saranno venti tipi di coscienza sopramondana attiva combinata con i quattro tipi
di Nobili e con i cinque assorbimenti della sfera della forma. Poi ci sono i 20 tipi di coscienza
risultante sopramondana (la coscienza-frutto di chi è entrato nella corrente e gli altri) con la
coscienza appartenente al primo assorbimento e poi agli altri. In tutto sono quaranta. Praticamente
avviene così: la coscienza della Via e del Frutto di chi è nella corrente sorge sulla base del primo
assorbimento della sfera della forma. Allo stesso modo, basata sul secondo, terzo, quarto e quinto
assorbimento della sfera della forma, sorge la coscienza di chi torna una sola volta, di chi non
torna più e degli arahat. Cioè la coscienza appartenente alla coscienza sopramondana si sviluppa
sulla base dei vari assorbimenti.

Cerchiamo ora di definire i quattro stadi di illuminazione: chi entra nella corrente (sotapanna),
chi ritorna una sola volta (sakadagami), chi non ritorna più (anagami) e arahat. Il progresso di un
Nobile attraverso i vari stadi è segnato dalla sua abilità a superare alcuni impedimenti che si
presentano ad ogni stadio. Vi è una progressiva eliminazione dei dieci impedimenti o vincoli
(samyojana) che ci tengono legati all’universo condizionato fino a quando non saremo in grado di
liberarcene. L’entrata nella corrente è segnata dall’eliminazione di tre vincoli: il primo è la
credenza in un’esistenza indipendente e duratura di un essere individuale (sakkaya ditthi), cioè
scambiare i cinque aggregati mentali e fisici di una persona (forma, sensazione, percezione,
volizione e coscienza) per un sé. Non è perciò a caso che diciamo che i tipi di coscienza mondani
sono condizionati dagli aggregati, mentre i tipi di coscienza sopramondana non sono determinati
dagli aggregati. Il superamento di questo primo vincolo segna il passaggio dallo stato di persona
comune a quello di Nobile.

Il secondo vincolo superato da chi entra nella corrente è il dubbio (vichikkicca), che riguarda
soprattutto il dubbio verso il Buddha, il Dhamma e il Sangha, ma anche sulle regole di disciplina e
sull’Origine interdipendente.

Il terzo vincolo è la credenza in regole e rituali (silabbataparamasa). Ci sono parecchi malintesi
sul suo significato, ma comunque si riferisce alle pratiche di quei non buddhisti che credono che il
solo aderire a codici di disciplina morale e a rituali ascetici, possa condurli alla liberazione.

Quando questi tre vincoli vengono superati uno entra nella corrente e otterrà la liberazione entro
un massimo di sette vite. Non rinascerà in stati di dolore (nel regno degli esseri infernali, degli
spiriti affamati e degli animali) e la sua fede nel Buddha, Dhamma e Sangha è garantita e
incrollabile.

Dopo questo primo stadio di illuminazione, il Nobile continua nella pratica per indebolire altri due
vincoli, il desiderio sensuale e la malevolenza, in modo da ottenere lo stato di sakadagami, colui
che ritorna una volta sola. Questi due vincoli sono talmente forti che perfino a questo stadio,
vengono solo indeboliti, non eliminati del tutto. Desideri sensuali e malevolenza possono ancora
sorgere, ma non più in modo così ossessivo come nelle persone comuni. Quando infine questi due
vincoli vengono eliminati uno raggiunge lo stato di anagami, di colui che non ritorna più. In questo
terzo stadio uno non rinascerà più nella ruota di nascita e morte ma solo nelle pure dimore
riservate a loro e agli arahat.

Quando anche gli ultimi cinque vincoli vengono eliminati (attaccamento alla sfera della forma (rupa
raga) , alla sfera della non forma (arupa raga) alla superbia (mana), all’agitazione (uddhacca) e
all’ignoranza (avijja) si arriva alla vetta della coscienza sopramondana, alla coscienza fruitiva
dell’arahat.

Questi quattro stadi possono essere divisi in due gruppi: i primi tre, chiamati di addestramento, e
il quarto che non ha più bisogno di addestramento o preparazione. Per questo è bene pensare il
progresso verso lo stato di arahat come un processo graduale, come in un programma di studi
accademici. A ogni stadio si superano certe barriere di ignoranza, fino a “laurearsi” quando si
arriva all’apice conclusivo degli studi.

A questo punto avviene un cambiamento qualitativo che porta da una condizione indiretta e
determinata, a una diretta e determinante.

Come si fa a rendere il Nirvana oggetto di coscienza, in modo da trasformare la coscienza mondana,
il cui oggetto è condizionato, in una coscienza sopramondana il cui oggetto è incondizionato? Come
si fa a realizzare il Nirvana? Si ottiene con lo sviluppo dell’intuizione profonda o saggezza
(panna). Per sviluppare l’intuizione profonda usiamo i due metodi abhidharmici di analisi e sintesi
(vedi cap. XVI). Applichiamo il metodo analitico per esaminare la coscienza e il suo oggetto, cioè
la mente e la materia. Attraverso questa analisi si arriva alla comprensione che ciò che abbiamo
sempre preso per un fenomeno omogeneo, unitario e sostanziale, è invece un fenomeno composto da
elementi singoli, impermanenti e in flusso continuo. E questo vale sia per la mente che per la
materia. Si applica poi il metodo sintetico, considerando le cause e le condizioni della nostra
esperienza personale: in rapporto a che fattori esistiamo come entità psico-fisica? Questo esame
rivela che la persona esiste in dipendenza di cinque fattori: ignoranza, bramosia, attaccamento,
karma e sostegno materiale della vita (cioè nutrimento).

L’intuizione profonda si sviluppa quindi applicando questi due metodi abhidharmici, cioè
dissezionando i fenomeni mentali e fisici, interni ed esterni, ed esaminandoli in rapporto alle loro
cause e condizioni. Questa duplice indagine analitica e relazionale svela le tre caratteristiche
dell’esistenza universali e in reciproco rapporto: impermanenza, sofferenza e non sé. Ogni cosa
impermanente è sofferenza, perché quando vediamo i fattori dell’esperienza disintegrarsi, questa
stessa disintegrazione e impermanenza è causa di sofferenza. Inoltre ciò che è impermanente e
doloroso non può essere il sé, perché il sé non può essere né transitorio né doloroso.

Il penetrare queste tre caratteristiche porta al desiderio di rinunciare e liberarsi da questo
universo condizionato. Comprenderle significa anche capire che le tre sfere mondane sono come un
albero di banano: senza essenza. Questa comprensione porta alla rinuncia, al distacco dalla sfera
condizionata, permettendo alla coscienza di dirigersi verso un oggetto incondizionato, il Nirvana.
Ognuna delle tre caratteristiche è una chiave per questa nuova direzione. Come possiamo vedere nella
biografia dei principali discepoli del Buddha, ognuna delle tre caratteristiche può essere presa
come oggetto di contemplazione per sviluppare l’intuizione profonda. La regina Khema, per esempio
ottenne la liberazione, contemplando l’impermanenza.

Quando l’intuizione profonda in una delle tre caratteristiche universali è completamente sviluppata,
si può avere una breve visione del Nirvana. La prima esperienza del Nirvana è come la luce di un
lampo, che illumina la via nel buio della notte. La chiarezza di questo lampo dura a lungo impressa
nella mente e spinge a proseguire la via, sapendo che si sta andando nella direzione giusta.

La prima visione del Nirvana sperimentata da colui che entra nella corrente, serve di orientamento
per progredire sulla via verso il Nirvana. Questo graduale sviluppo dell’intuizione potrebbe essere
paragonato all’acquisizione di un’abilità tecnica. Dopo essere riusciti a fare pochi metri in
bicicletta senza cadere, può passare del tempo prima di diventare un ciclista esperto, ma essendo
riusciti a stare in bici per quei pochi metri, non ci si dimentica più quell’esperienza e si ha
fiducia di riuscire a raggiungere il traguardo. E’ in questo senso che la contemplazione delle tre
caratteristiche conduce alle tre porte della liberazione: la porta del non segno, la porta del non
desiderio e la porta del non sé o vacuità. Contemplando la caratteristica di impermanenza si va alla
porta del non segno; contemplando la sofferenza si arriva a quella del non desiderio o libertà dal
desiderio e contemplando il non sé a quella della vacuità.

In tal modo si avanza attraverso i quattro stadi di illuminazione fino a diventare arahat, lo stadio
della vittoria sulle afflizioni, in cui le radici non salutari di bramosia, odio e illusione sono
totalmente sradicate. L’arahat, avendo sradicato le afflizioni, è ormai libero dal ciclo di nascita
e morte e non rinascerà mai più.

Anche se qualcuno ha cercato di sminuire lo stato di arahat con l’accusa di egoismo, va riconosciuto
invece che è uno stato benefico e compassionevole. Basta vedere le istruzioni del Buddha ai suoi
principali discepoli arahat e anche la loro stessa vita, per capire che al tempo del Buddha lo stato
di arahat non era né passivo né egoista. Sariputta, Moggallana e altri erano molto attivi e
impegnati ad insegnare sia ai laici che ai religiosi. Lo stesso Buddha esortò i suoi discepoli
arahat ad andare avanti per il beneficio di molti. Lo scopo dell’arahat è glorioso e meritorio e non
va sottovalutato, solo perché la tradizione buddhista riconosce anche la realizzazione dello stato
di Buddha individuale o isolato (pacceka Buddha) e quello della buddhità.

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