Le Fondamenta del Buddhismo 21a

pubblicato in: AltroBlog 0
Le Fondamenta del Buddhismo 21a

di Peter della Satina

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO> (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

ANALISI DELLA MATERIA

L’Abhidharma tratta le quattro realtà ultime: coscienza (citta), stati mentali (cetasika), materia
(rupa) e Nirvana. La materia, come anche la coscienza e gli stati mentali, sono realtà condizionate
mentre il Nirvana è una realtà incondizionata. Considerare le tre realtà condizionate è come
considerare i cinque aggregati dell’esistenza psico-fisica.

Questo ci riporta a quanto detto nel capitolo XVII circa il rapporto tra soggetto e oggetto, tra
mente e materia. Entrambi questi schemi possono essere ridotti a due elementi: l’elemento mentale o
soggettivo e l’elemento materiale o oggettivo.

Da una parte c’è la mente e gli stati mentali:

coscienza, volizione, percezione e sensazione, e dall’altra abbiamo l’oggetto: forma e materia. Nel
contesto dell’Abhidharma bisogna ricordare che la materia non è separata dalla coscienza; mente e
materia possono essere considerate semplicemente le forme soggettiva e oggettiva dell’esperienza.
Vedremo meglio la validità di questa asserzione quando considereremo le quattro basi della materia
(terra, acqua, fuoco e aria), viste come qualità piuttosto che come sostanza della materia. Dato
l’approccio fenomenologico buddhista dell’esistenza, la materia è importante solo perché, come
oggetto di esperienza, influenza il nostro essere psicologico. Mentre gli altri sistemi sostengono
un dualismo assoluto e radicale, una dicotomia tra mente e materia, nel buddhismo abbiamo
semplicemente forme di esistenza soggettive e oggettive.

L’Abhidharma classifica e ordina la materia suddividendola in 28 elementi. I quattro elementi
primari, o quattro basi della materia, sono semplicemente chiamati terra, acqua, fuoco e aria.
Tuttavia sarebbe meglio chiamare la terra “principio di estensione o resistenza”; l’acqua “principio
di coesione”; il fuoco “principio di calore” e l’acqua “principio di movimento o oscillazione”.

Queste sono le componenti elementari della materia e da esse derivano i cinque organi dei sensi
fisici e i loro oggetti.

In questo contesto, come in quello dei cinque aggregati, la materia non è solo quella dei nostri
corpi, ma di tutti gli oggetti fisici dell’esperienza che fanno parte del mondo esterno. Oltre agli
organi e ai loro oggetti, la materia è presente anche nella mascolinità e femminilità, nel cuore o
principio di vitalità e nel nutrimento. Ci sono sei ulteriori elementi di materia: principio di
limite o spazio, due principi di comunicazione (comunicazione corporea e verbale), leggerezza,
morbidezza e duttilità. Infine ci sono quattro elementi chiamati “caratteristiche”: produzione,
durata, distruzione e impermanenza.

Quindi le componenti della materia (o più precisamente dell’esperienza materiale) sono 28 in tutto:
le quattro basi, i cinque organi dei sensi ed i loro rispettivi cinque oggetti, le due dimensioni
della sessualità, vitalità, nutrimento, spazio, due forme di comunicazione, leggerezza, morbidezza,
duttilità e le quattro caratteristiche.

Osserviamo meglio i quattro fondamenti della materia dal punto di vista della loro realtà come
qualità sensorie. E’ importante tener presente che quando parliamo dei quattro elementi primari
della materia, non li vediamo come terra, acqua, fuoco e aria di per sé, ma qualità sensorie di
questi elementi, cioè la qualità che possiamo sentire e che quindi rende possibile l’esperienza
della materia. Perciò abbiamo a che fare con qualità sensorie quali durezza e morbidezza che
appartengono al principio di estensione, e di caldo e freddo che appartengono al principio del
calore. Non parliamo di essenza ma di qualità che possono essere sperimentate.

E questo a sua volta significa che stiamo trattando l’aspetto puramente fenomenologico della
materia, in cui le qualità sensorie funzionano da caratteristiche definitive della materia. E sono
queste qualità sensorie che costituiscono la realtà ultima. In altre parole, non è né il tavolo né
il mio corpo che rendono possibile l’esperienza della materia, ma le qualità sensorie di durezza e
morbidezza, che appartengono sia al tavolo che al mio corpo. In questo contesto, gli oggetti della
mia esperienza (tavolo, corpo) sono realtà convenzionali, mentre le qualità sensorie di durezza,
morbidezza, ecc., che portano all’esperienza della materia, sono realtà ultime.

In filosofia viene chiamata “visuale modale”, una visuale che si concentra sulle qualità
dell’esperienza piuttosto che sull’essenza dell’esperienza. Cercare l’essenza della materia vuol
dire entrare nella sfera della speculazione, andando oltre l’esperienza empirica, mentre osservare
le qualità della materia è rimanere nel campo dei fenomeni, dell’esperienza. E’ interessante notare
che questa visuale modale della materia è condivisa da alcuni filosofi moderni, tra cui il più noto
è forse Bertrand Russell. Ed è sempre questa visuale modale della realtà che sta alla base di gran
parte del pensiero contemporaneo sulla materia. Gli scienziati sono giunti a riconoscere che la
materia è un fenomeno, che è impossibile arrivare all’essenza della materia e questo è stato
convalidato dalla scoperta dell’infinita divisibilità dell’atomo.

La visuale modale della realtà ha anche un’altra importante implicazione: prendendo visione della
realtà, dell’esistenza puramente fenomenologica ed esperienziale, non sorge il problema del mondo
esterno, nel senso di una realtà che sta in qualche posto “fuori”, oltre i limiti della nostra
esperienza. In quanto il mondo esterno rende possibile l’esperienza della materia, esso è solo la
dimensione obiettiva o materiale della nostra esperienza, non una realtà indipendente che esiste di
per sé. A livello personale vediamo che la nostra esistenza psico-fisica è formata da due
componenti: la componente mentale o mente, e la componente fisica o corpo.

La mente e il corpo hanno una natura alquanto diversa, soprattutto perché la mente è più duttile e
mutevole del corpo. Il Buddha disse che è più comprensibile identificarsi col proprio corpo che
considerare la mente il proprio sé, in quanto il corpo almeno mantiene a lungo dei tratti
riconoscibili. Possiamo verificarlo attraverso l’esperienza personale. La mente cambia molto più
velocemente del corpo. Per esempio, posso prendere la risoluzione di non mangiare cibi farinacei o
grassi, ma ci vuole un bel po’ prima che questo cambiamento mentale si rifletta sulla forma del
corpo. Il corpo resiste ai cambiamenti molto più della mente e questo ha a che fare con la
caratteristica dell’elemento terra, che si manifesta nel principio di resistenza. Il corpo è il
prodotto del karma passato, della passata coscienza ed è allo stesso tempo la base della coscienza
presente. Questo spiega il disagio profondo che molti intellettuali provano nei riguardi del corpo.
Un famoso filosofo, Plotino, una volta disse che si sentiva prigioniero nel proprio corpo, che egli
considerava una tomba.

Talvolta vorremmo sedere più a lungo in meditazione, ma non possiamo a causa del disagio che il
corpo ci procura per il fatto stesso di esserci. Certe volte vorremmo continuare a lavorare (o a
stare svegli per guardare un particolare programma in TV), ma non possiamo a causa della stanchezza
proveniente dal corpo. C’è tensione tra mente e corpo, perché il corpo è la materializzazione del
karma passato; e siccome ha la caratteristica di resistenza, risponde più lentamente della mente
alle azioni volontarie. Il corpo perciò è, in un certo senso, d’ostacolo allo sviluppo mentale.

Possiamo veder ciò nel caso di esseri liberati. Nel libro “Domande del Re Milinda” il re chiede a
Nagasena se gli arahat possono sperimentare dolore. Nagasena risponde che, sebbene gli arahat non
sperimentino più la sofferenza mentale possono però sentire il dolore fisico. Gli arahats non
sentono la sofferenza mentale perché le basi per sentirla (avversione, ostilità, odio) non ci sono
più; però possono sperimentare il dolore fisico fino a che è presente la base di esso, cioè il
corpo. Fino a che un arahat non entra nel Nirvana finale (“Nirvana senza residui”, senza la
personalità psicofisica), rimane la possibilità del dolore fisico.

E’ per questo che, nella storia della vita del Buddha e dei suoi discepoli principali, ci furono dei
momenti in cui essi provarono dolore fisico. Il corpo occupa una posizione intermedia, speciale, in
quanto è il prodotto della coscienza passata e la base di quella presente. Questa posizione
intermedia si riflette anche nel fatto che alcune funzioni corporali sono coscienti e possono essere
controllate dalla volontà, mentre altre sono inconsce ed automatiche. Si può decidere di mangiare
altro cibo, ma è una funzione fisica inconscia quella che lo digerisce o non lo digerisce; non posso
costringere il corpo a digerirlo.

Anche il respiro è rappresentativo di questa posizione intermedia del corpo, perché può avere sia
una funzione inconscia oppure può essere portato a livello conscio e volitivo allo scopo di
concentrare e calmare il corpo e la mente.

Parlando della nostra esistenza fatta di mente e corpo, dobbiamo tener presente che la mente
rappresenta il principio dinamico, fluido, volitivo, mentre il corpo rappresenta il principio di
resistenza. E’ per questa ragione che il corpo non può cambiare così velocemente come la mente
durante il processo di sviluppo e liberazione.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *