Le fondamenta del Buddhismo 24

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Le fondamenta del Buddhismo 24

di P. Della Santina – parte 24a.

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO> (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

L’ABHIDHARMA NELLA VITA QUOTIDIANA

In questo capitolo vorrei puntualizzare alcune idee già trattate nei capitoli precedenti, mettendole
in relazione con la vita quotidiana e con la pratica dell’insegnamento del Buddha. Ho trattato
estesamente l’Abhidharma e abbiamo visto che parte del materiale è piuttosto tecnico. Anche se non
possiamo usare tutto ciò che abbiamo appreso spero però che esso vi rimanga in un angolo della mente
e che col passare del tempo possiate ritornarvi e usarlo.

Vorrei iniziare rammentandovi l’orientamento fondamentale del Buddha e del buddhismo sulla questione
del progresso spirituale. Ricorderete che la maggior parte dei 37 fattori di illuminazione (vedi
capitolo XXIV) riguardano lo sforzo e la mente. Sempre il buddhismo ha posto in rilievo questi due
aspetti, in palese contrasto con altre tradizioni religiose, in cui la risposta alla questione del
progresso spirituale verte soprattutto sul destino o sulla grazia, in altre parole su un potere a
noi esterno (sia un potere impersonale, invisibile come il destino, che un potere personale come
Dio) che determina il nostro progresso e il nostro destino. Anche al tempo del Buddha, come oggi,
destino e grazia erano le tipiche risposte di molte tradizioni. Hanno tutte una cosa in comune:
dipendono da qualcosa di esterno su cui abbiamo poco o nessun controllo.

Il Buddha invece ha detto che il proprio progresso e destino dipendono dallo sforzo e dalla mente.
La mente e lo sforzo sono la chiave per lo sviluppo personale, come chiaramente si percepisce nei 37
fattori di illuminazione. Per questo spesso è stato detto che la mente è la cosa più preziosa che
abbiamo; la mente è stata paragonata a una gemma magica che esaudisce ogni desiderio, in quanto può
far rinascere in mondi felici o miserevoli. Ed è sulla base della mente che uno varca la soglia
dell’esistenza condizionata per entrare negli stati sopramondani dei Nobili. E’ la mente che
determina e lo fa per mezzo di azioni volontarie o karma, che sono espressione della volontà della
mente e che portano alle condizioni particolari in cui ci troviamo ora.

Possiamo vedere l’importanza della mente nelle quattro vie di potere (vedi capitolo XXIV), che sono
fattori mentali con il potere di influenzare e controllare la materia. Ciò che dobbiamo fare è
potenziare, coltivare ed elevare la mente. Possiamo vederlo bene quando osserviamo i cinque fattori
di assorbimento o potenziamento (jhananga) e i cinque impedimenti (nivarana), due aspetti della
nostra coscienza ordinaria e mondana (vedi cap. XVIII). I cinque impedimenti sono tipici di un
livello di sviluppo della coscienza molto basso, come la coscienza degli animali che è satura di
questi fattori. La presenza di questi impedimenti significa che la mente è totalmente manipolata e
condizionata dai vari stimoli.

Opposti a questi impedimenti ci sono i cinque fattori di assorbimento che sono presenti anche nella
coscienza degli animali. I cinque assorbimenti contrastano e infine eliminano i cinque impedimenti.
In tal modo possiamo ridurre il potere di controllo degli impedimenti in proporzione a quanto
coltiviamo gli assorbimenti.

E’ come se fossimo a un incrocio stradale. Nella mente abbiamo tutti e dieci i fattori – gli
impedimenti e gli assorbimenti – e il punto sta nel lasciarci dominare dagli impedimenti o nello
sviluppare i fattori di potenziamento in modo che siano essi a dominare nella mente. E’ una
battaglia molto importante perché fino a che gli impedimenti predominano è probabile vederne i
risultati in questa vita e nella prossima sotto forma di rinascita miserevole o in stati di dolore.
Ma se la mente viene elevata coltivando i cinque fattori di assorbimento, raggiungeremo un alto
livello di sviluppo sia in questa vita che nella prossima.

Una volta intensificato e aumentato il potere della mente per mezzo dei cinque fattori di
assorbimento, possiamo motivare e dirigere la mente in una certa direzione. E questo vien fatto
dalle cinque facoltà di controllo: fede, energia, consapevolezza, concentrazione e saggezza (vedi
capitolo XXIV). Si dice che per praticare il Dharma siano necessarie due cose: fede e saggezza. La
fede è il prerequisito della cosa principale che è la saggezza. In alcune tradizioni non buddhiste
fede significa cieca aderenza, ma nella tradizione buddhista fede significa fiducia nella
possibilità di riuscire. In altre parole se non abbiamo fiducia nella riuscita, non ci sarà la
possibilità di riuscire, per quanto uno ci provi. In questo senso, la pratica senza la fede è come
un seme bruciato che non emette mai il germoglio del progresso spirituale, anche se il terreno è
fertile e ben coltivato.

La fede e la saggezza sono la prima e l’ultima delle facoltà di controllo. Insieme alle altre tre –
energia, consapevolezza e concentrazione – sono presenti nell’Ottuplice nobile sentiero. Energia,
consapevolezza e concentrazione corrispondono ai tre fattori di Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e
Retta Concentrazione del gruppo dello sviluppo mentale dell’Ottuplice nobile sentiero. La fede può
essere inclusa nel gruppo morale dell’Ottuplice Nobile Sentiero, perché è la fede, in fondo, che
all’inizio della pratica ci spinge ad osservare le regole di buona condotta e credere nella legge
del karma.

Fino a che, e a meno che, non otterremo livelli sopranormali di coscienza (come il Buddha e i suoi
principali discepoli che erano in grado di percepire direttamente gli effetti di azioni salutari e
non salutari), dobbiamo basarci sulla fede per gettare le fondamenta della nostra pratica morale. La
saggezza corrisponde esattamente al gruppo della saggezza dell’Ottuplice Sentiero. Perciò nelle
cinque facoltà di controllo abbiamo in embrione gli otto punti dell’Ottuplice Nobile Sentiero.
Riassumendo: per avanzare verso il traguardo dell’illuminazione dobbiamo potenziare, elevare e
motivare la mente. Il modo per farlo è: coltivare i cinque fattori di assorbimento in modo da
ridurre l’influenza dei cinque impedimenti e poi sviluppare le cinque facoltà di controllo e
combinarle con la pratica dell’Ottuplice Nobile Sentiero. Quando le cinque facoltà di controllo sono
incrollabili diventano i cinque poteri (vedi capitolo XI), che portano a realizzare lo stato
sopramondano dei Nobili.

La saggezza, ultimo gruppo dell’Ottuplice Nobile Sentiero, è particolarmente rilevante negli studi
abhidharmici che abbiamo intrapreso, perché la saggezza è la comprensione della verità ultima, e
l’Abhidharma appunto tratta la verità ultima. Quando parliamo di saggezza ne consideriamo i due
aspetti di non sé e vacuità.

Abbiamo già discusso l’approccio analitico e quello relazionale all’analisi dell’esperienza
personale negli insegnamenti, rispettivamente, del non sé e dell’Origine interdipendente. Quando
consideriamo il non sé dobbiamo pensare al sé in rapporto ai cinque aggregati. Come l’idea sbagliata
di un serpente esiste in dipendenza e in relazione alla corda e al buio, così quando cerchiamo il sé
in rapporto agli aggregati, troviamo che non esiste in nessun modo. Il sé non può essere trovato
negli aggregati di coscienza, sensazioni, percezioni, volizioni e forma. Il sé non può possedere gli
aggregati come uno possiede una macchina. Il sé non controlla gli aggregati, non controlla la mente
né il corpo. Il sé non è accertabile né dentro né fuori dagli aggregati.

Essendo arrivati a questa comprensione del non sé, diamo un’occhiata ai cinque aggregati. A questo
punto passiamo dall’analisi dell’esperienza personale nei termini dei cinque aggregati all’analisi
dei cinque aggregati in termini di Origine interdipendente. I cinque aggregati non sono originati
per caso, né senza una causa. Nascono in dipendenza dalle afflizioni (ignoranza, bramosia e
attaccamento) e dal karma, volizione e divenire. E’ stato detto che l’Origine interdipendente è il
tesoro più prezioso degli insegnamenti del Buddha. Capire l’Origine interdipendente è la chiave per
rompere la catena che ci ha tenuti avvinti al samsara per così tanto tempo.

Il Buddha stesso ha detto che chi vede l’Origine interdipendente vede il Dharma e chi vede il Dharma
vede il Buddha. Questa è un’affermazione molto incoraggiante, perché se cominciamo a vedere la vita
quotidiana in termini di Origine interdipendente, cioè nei termini di natura condizionata, relativa
e vuota dei fattori di esperienza, allora vedremo il Dharma e vedendo il Dharma, vediamo il Buddha.
Non sarà più valido quindi dire che non possiamo vedere il Buddha, che il Buddha non è presente qui
e ora.

Spero che questo studio dell’Abhidharma non rimanga un esercizio intellettuale, ma venga applicato
alla vita quotidiana, anche se superficialmente. Sarebbe certo difficile applicare tutto ciò di cui
abbiamo parlato in questi capitoli, ma credo comunque che tutti noi che abbiamo studiato
l’Abhidharma non cadremo più nell’errore di pensare alla realtà come a un sé unitario, indipendente
e duraturo e a degli oggetti intorno a noi sostanziali e con un’essenza.

Poiché abbiamo cominciato a comprendere la realtà in modo nuovo in termini di fattori e funzioni
interdipendenti e relative, ci siamo avviati nella direzione che ci porterà a vedere il Dharma e il
Buddha.

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SULL’AUTORE

Peter Della Santina è nato negli Stati Uniti. Ha passato molti anni a studiare e ad insegnare nel
sudest asiatico. Ha ricevuto il B.A. in religioni dalla Wesleyan University di Middletown,
Connecticut, USA, nel 1972 e un MA in filosofia dall’Università di Delhi, India, due anni dopo.
Sempre all’Università di Delhi fece il suo Ph.D. sugli studi buddhisti, nel 1979.

Ha lavorato come ricercatore tre anni per l’Istituto di Studi Superiori nelle Religioni Mondiali di
Fort Lee, New Jersey, studiando e traducendo testi buddhisti tibetani filosofici dell’VII secolo. Ha
insegnato in varie università e centri buddhisti in Europa e in Asia, inclusa l’università di Pisa
in Italia, l’università nazionale di Singapore e alla Tibet House a Delhi in India. E’ stato il
coordinatore del progetto di studi buddhisti al Curriculum Development Institute di Singapore,
dipartimento del Ministero dell’Educazione, dal 1983 al 1985.

Più recentemente è stato membro anziano dell’Istituto Indiano di Studi Superiori a Simla in India e
ha insegnato filosofia al Fo Kuang Shan Academy of Chinese Buddhism a Haoh-shiung, Taiwan. Per 25
anni Peter Della Santina è stato discepolo di Sua Santità Sakya Trizin, capo dell’ordine tibetano
dei Sakya e di eminenti figure della tradizione Sakya. Ha praticato la meditazione buddhista e fatto
molti ritiri.

Ha pubblicato vari libri e articoli su riviste accademiche, incluso “Le lettere di Nagarjuna al Re
Gautamiputra” nel 1978 e 1982 e “Madhyamaka Schools in India”, Delhi 1986 e “Madhiamaka and Modern
Philosophy”, Haway 1986.

(Questa traduzione, a cura di Silvana Ziviani, è stata ricavata dal suo libro “The Tree of
Enlightment” stampato da Chico Dharma Study Foundation 1997 e donato per distribuzione gratuita.
L’uso di questa traduzione è strettamente privato e non deve essere commercializzato)

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