Le fondamenta del Buddhismo 4
di Peter Della Santina (parte quarta)
Tratto da: (INTRODUZIONE ALLABHIDHARMA)
Dobbiamo perciò stare attenti a non rifiutare la possibilità di porre definitivamente fine alla
sofferenza (la realizzazione del Nirvana), solo perché non lo abbiamo sperimentato personalmente.
Una volta accettata la possibilità che si può por fine alla sofferenza, che esiste una cura per il
nostro male, possiamo cominciare a intraprendere i vari passi per realizzarla. Ma a meno e fino a
che non crediamo alla possibilità di una cura, non vi è alcuna possibilità di portare a termine con
successo la terapia necessaria. Quindi, per progredire nella Via e infine realizzare la completa
cessazione della sofferenza, dobbiamo avere perlomeno la fiducia iniziale di poter raggiungere
questo scopo. Quando parliamo della terza nobile verità, la verità della cessazione della sofferenza, ci riferiamo allo scopo stesso della pratica buddhista.
Una volta il Buddha disse che, per quanto vasto fosse loceano, aveva un solo sapore, il sapore del
sale, e così anche i suoi insegnamenti, sebbene multiformi e vasti come loceano, hanno un unico
gusto, quello del Nirvana. Come vedrete, ci sono molti aspetti negli insegnamenti del Buddha (le
Quattro Nobili Verità, le tre vie di pratica, lorigine interdipendente, le tre caratteristiche,
ecc.) ma tutte hanno un solo scopo in vista, la cessazione della sofferenza. E questo traguardo che dà significato e direzione ai vari aspetti dellinsegnamento buddhista.
La fine della sofferenza è lo scopo della pratica buddhista, eppure la cessazione della sofferenza
non è esclusivamente trascendente o ultramondana. E un punto, questo, piuttosto interessante. Se
consideriamo, per esempio, il traguardo finale delle religioni semitiche, cioè il cristianesimo, il
giudaismo e lislam, vediamo che ci sono due traguardi. Uno si ottiene in questa vita e in questo
mondo, costruendo un regno damore, di prosperità e di giustizia qui e ora; laltro, più eccelso,
consiste nellentrare in paradiso alla fine di questa vita. Nel buddhismo lo scopo della pratica ha
una maggiore ampiezza. La cessazione della sofferenza di cui parlò il Buddha ha uno scopo molto
ampio. Quando parliamo infatti della fine della sofferenza nel buddhismo possiamo vederla come: 1)
fine della sofferenza qui e ora, sia temporaneamente che in modo permanente; 2) felicità e fortuna nella prossima vita; e/o 3) lesperienza stessa del Nirvana.
Vediamo di spiegarci più dettagliatamente. Supponiamo di essere nella miseria più nera, con
insufficienti cibo, alloggio, vestiario, medicine, cultura, ecc. Queste condizioni costituiscono già
di per sé sofferenza, come lo sono la nascita, la vecchia, la malattia, la morte, la separazione da
ciò che si ama, ecc. Quando si migliora la situazione qui e ora, aumentando gli standard di vita, la
sofferenza diminuisce. Il buddhismo insegna che la felicità o sofferenza che sperimentiamo
individualmente in questa vita non sono che la conseguenza delle azioni che abbiamo compiuto nelle
vite passate. In altre parole, se ora godiamo di buone condizioni, questa fortuna è il risultato di
buone azioni compiute in passato. Al contrario, chi si trova in situazioni difficili, sta scontando le conseguenze di azioni negative fatte nel passato.
Che cosa offre il buddhismo sulla via che porta alla fine della sofferenza? Praticando il buddhismo,
a breve termine si ottiene una certa felicità in questa vita, felicità che può essere di natura
materiale, nel senso che migliora le condizioni fisiche, materiali; oppure può essere di natura
interiore, nel senso di procurare pace mentale o può essere entrambe. Tutto ciò lo si può ottenere
già in questa vita qui e ora. Questa è una dimensione della fine della sofferenza. Facendo parte di
questa vita, può essere paragonata allincirca a quello che i cristiani chiamano il regno di Dio in
terra. Oltre a ciò, la fine della sofferenza nel buddhismo significa felicità, prosperità, salute,
benessere e successo, sia come esseri umani su questa terra, che come esseri celesti in paradiso.
Potremmo paragonare questa dimensione con il paradiso di cui parlano le religioni monoteistiche. La
sola differenza è che, in queste religioni, il paradiso, una volta raggiunto, è permanente, mentre
nel buddhismo il diritto a godere della propria felicità va coltivato e rinnovato.
Il traguardo del buddhismo inizialmente è felicità e prosperità in questa vita e in quelle future.
Ma cè anche molto di più, e in ciò differisce da tutte le altre religioni monoteistiche. Il
buddhismo non solo promette felicità e prosperità in questa e nelle prossime vite, ma offre anche la
liberazione, cioè il Nirvana o illuminazione. E questa è la completa cessazione della sofferenza. E il fine ultimo del buddhismo. E anche questo lo si può ottenere qui e ora.
Quando si parla di Nirvana nasce qualche difficoltà di espressione, perché le sole parole non
possono comunicare lesatta natura di unesperienza; bisogna farne direttamente lesperienza. E
questo vale per ogni tipo di esperienza, che sia lesperienza del gusto del sale, dello zucchero o
del cioccolato o del primo tuffo in mare. Sono esperienze che non possono essere descritte con
precisione. Mettiamo che sono appena arrivato in Asia e qualcuno mi parla di un frutto locale molto
apprezzato, il durian. Posso chiedere che sapore ha alla gente locale che lo mangia abitualmente, ma
come possono spiegarmi esattamente il gusto che si ha nel mangiarlo realmente? E semplicemente
impossibile descrivere lesatto sapore del durian a qualcuno che non lha mai assaggiato.
Possiamo fare confronti o dire come non è. Per esempio potremmo dire che il durian è cremoso o che
è dolce o acidulo e aggiungere che ha qualcosa del frutto dellalbero del pane o somiglia a una
mela, ma comunque rimane impossibile comunicare lesatta natura dellesperienza che si ha mangiando
un durian. Ci troviamo nella stessa situazione quando cerchiamo di descrivere il Nirvana. Il Buddha
e gli insegnanti buddhisti attraverso i secoli hanno usato degli espedienti per descrivere il
Nirvana, con paragoni e negazioni. Il Buddha ha detto che il Nirvana è pace e felicità supreme. Ha
detto che il Nirvana è immortale, increato, senza forma; al di là di acqua, terra, aria, fuoco, sole
e luna; che è insondabile e incommensurabile. Vediamo qui i vari metodi che il buddhismo ha usato
per descrivere il Nirvana, come quello di paragonarlo a qualche esperienza mondana. Per esempio,
certe volte siamo così fortunati da provare una grande felicità accompagnata da una profonda pace
della mente e potremmo immaginarci che questo stato sia come una fugace pallida esperienza del
Nirvana. Ma come il frutto del pane non è identico a un durian così il Nirvana non è come
unesperienza mondana. Non ha nulla a che fare con nessun tipo di esperienza quotidiana; va oltre alle stesse forme e concetti che usiamo e attraverso cui sperimentiamo il mondo.
Insomma, per sapere cosa è il Nirvana bisogna sperimentarlo personalmente, alla stessa maniera che
bisogna assaggiare il durian per sapere esattamente comè. Nessuno studio o descrizione poetica del
durian può avvicinarsi allesperienza che si ha mangiandolo realmente. Similmente, dobbiamo noi
stessi sperimentare la fine della sofferenza e il solo modo per farlo è quello di eliminare le cause
della sofferenza, cioè le afflizioni di attaccamento, avversione e ignoranza. Quando abbiamo
eliminato le cause della sofferenza, sperimenteremo personalmente il Nirvana. E allora come possiamo
eliminare le cause della sofferenza? Che mezzi ci sono per sbarazzarci delle afflizioni, causa di
sofferenza? Per mezzo della via insegnata dal Buddha, la Via di Mezzo, la Via della moderazione.
Ricorderete che la vita del Buddha, prima della sua illuminazione, può essere divisa in due
distinti periodi: la parte precedente la rinuncia è quella in cui godette ogni possibile lusso; le
storie dicono, ad esempio, che aveva tre palazzi, uno per ogni stagione, pieni di talmente tante
amenità che è difficile anche immaginarle. Questo periodo di godimenti fu seguito da sei anni di
estremo ascetismo e auto-mortificazione, in cui si privò perfino delle necessità più basilari, in
cui visse allaria aperta, indossò solo stracci e digiunò per lunghi periodi di tempo. Oltre a
queste privazioni tormentò il corpo in vari modi, come ad esempio dormendo su letti di spine e
sedendo accanto al fuoco sotto il sole cocente di mezzogiorno. Avendo provato gli estremi del lusso
e delle privazioni fino al limite massimo possibile, il Buddha alla fine ne vide la futilità e
scoprì la Via di Mezzo, in cui vanno evitati gli estremi di indulgere completamente ai piaceri sensuali o quello di auto-mortificarsi.
Solo avendo sperimentato nella propria vita la natura di questi due estremi, il Buddha fu in grado
di scoprire la Via di Mezzo, la via che evita ogni esagerazione. Come vedremo in seguito, la Via di
Mezzo si presta a molte profonde interpretazioni, ma fondamentalmente significa moderazione nel
proprio rapporto con la vita e nel comportamento con ogni oggetto. Per comprendere meglio questo
atteggiamento possiamo usare lesempio delle tre corde di un liuto. Il Buddha aveva un discepolo di
nome Sona, che praticava la meditazione con un tale impeto che non faceva altro che procurargli
ostacoli. Sona stava ormai pensando di lasciar perdere e abbandonare la vita monastica. Il Buddha
capì il suo problema e gli disse: Sona, prima di diventare monaco eri un musicista. Sona lo
ammise: Sì, è vero. Il Buddha proseguì: Come musicista sai senzaltro come deve essere la corda
per produrre un suono piacevole e armonioso. Deve essere molto tirata?. No, replicò Sona, la corda
troppo tesa produce un brutto suono e corre il rischio di rompersi da un momento allaltro. E
allora, continuò il Buddha, deve essere allentata? No, ribatté Sona, la corda troppo lenta non
produce un bel suono armonioso. La corda che dà un bel suono armonioso è quella che non è né troppo
tesa né troppo lenta. In questo caso una vita troppo dedita ai piaceri e al lusso la si può
definire troppo allentata, senza disciplina e determinazione, mentre una vita di auto-mortificazione
è troppo tirata, troppo dura e repressa, col rischio di un improvviso collasso del corpo o della
mente, così come la corda eccessivamente tesa può rompersi da un momento allaltro.
Più appropriatamente la via che porta alla cessazione della sofferenza è come una ricetta medica.
Quando un bravo medico cura un malato grave, la ricetta non è solo fisica ma anche psicologica. Per
esempio, se soffrite di cuore non solo il dottore vi prescrivere di prendere delle medicine, ma vi
dice anche di sorvegliare la dieta ed evitare situazioni stressanti. Allo stesso modo, se guardiamo
le istruzioni date per seguire la via che porta verso la cessazione della sofferenza, troviamo che
non si riferiscono solo al corpo (azioni e parole), ma anche alla mente, cioè ai pensieri. In altre
parole, lOttuplice Nobile Sentiero, la via che porta alla cessazione della sofferenza, è una via
globale, una terapia completa. E concepita per curare la malattia della sofferenza, attraverso
leliminazione delle sue cause e lo fa con un trattamento che non solo riguarda il corpo ma anche la mente.
La Retta Visione è il primo passo dellOttuplice Nobile Sentiero a cui segue Retto Pensiero, Retta
Parola, Retta Azione, Retto Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta
Concentrazione. Perché inizia con la Retta Visione? Per raggiungere la cima di una montagna la vetta
deve essere bene in vista. In questo senso il primo passo del nostro cammino dipende dallultimo. Il
traguardo deve essere chiaro in vista se vogliamo percorrere un cammino che ci porti sani e salvi
alla meta. In questo modo la Retta Visione dà la direzione e lorientamento agli altri passi sulla
via. Vediamo anche che i primi due passi sulla via, Retta Visione e Retto Pensiero riguardano la mente.
E attraverso questi due gradini che possono essere eliminate ignoranza, attaccamento e avversione.
Ma non basta fermarsi lì perché per ottenere la Retta Visione e il Retto Pensiero dobbiamo
sviluppare e purificare la mente e il corpo, e per far ciò dobbiamo seguire gli altri sei passi
della via. Purifichiamo il corpo in modo che sia più facile purificare la mente, e purifichiamo e
sviluppiamo la mente affinché sia più facile ottenere la Retta Visione. Per comodità della pratica
lOttuplice Nobile Sentiero è stato diviso in tre parti: 1) moralità o buona condotta; 2) sviluppo mentale; 3) saggezza.
Gli otto passi della via sono divisi nei seguenti modi di pratica:
1) Retta Parola, Retta Azione e Retto Sostentamento riguardano la pratica della moralità;
2) Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta Concentrazione riguardano lo sviluppo mentale e
3) Retta Visione e Retto Pensiero formano la pratica della saggezza.
Siccome è necessario purificare le parole e le azioni prima di purificare la mente, cominciamo il
cammino lungo la via con la moralità o buona condotta. E siccome lOttuplice Nobile Sentiero è il
mezzo per realizzare lo scopo del buddhismo, dedichiamo i seguenti tre capitoli a questi tre modi di pratica.
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