Le fondamenta del Buddhismo 5

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Le fondamenta del Buddhismo 5

di Peter Della Santina (parte quinta)

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

MORALITA’

Nel capitolo quarto abbiamo discusso delle Quattro Nobili Verità, concludendolo con la quarta
verità, l’Ottuplice Nobile Sentiero che porta alla cessazione della sofferenza. Abbiamo usato
l’analogia di salire su una montagna, in cui i primi passi dipendono dal fatto di mantenere in vista
la cima, e l’ultimo passo dipende dall’attenzione che mettiamo a non inciampare all’inizio. In altre
parole, ogni parte della via dipende dalle altre parti, e se non si completa una parte della via,
non si arriverà alla vetta. Allo stesso modo, nel caso dell’Ottuplice Nobile Sentiero, tutti i passi
sono in relazione e dipendenza uno dall’altro. Non possiamo fare a nemmeno di uno solo di essi.

Tuttavia, come detto alla fine del quarto capitolo, gli otto passi della via sono stati divisi in
tre modi di pratica: 1) moralità; 2) sviluppo mentale e 3) saggezza. Anche se strutturalmente e
concettualmente parlando, durante una scalata, il primo gradino dipende dall’ultimo e l’ultimo
dipende dal primo, a livello pratico dobbiamo comunque partire dal più basso, anche se siamo
attratti dalla cima. E’ per questa ragione che l’Ottuplice Nobile Sentiero è stato diviso in tre
parti.

La prima parte riguarda la moralità. Essa pone le fondamenta per il progresso nella pratica cioè per
lo sviluppo personale. Si dice che proprio come la terra è la base di tutte le cose animate e
inanimate, così la moralità è la base di ogni qualità positiva. Quando ci guardiamo intorno, vediamo
che tutto posa sulla terra, dalle case ai ponti, dagli animali agli esseri umani. La terra sostiene
tutto e allo stesso modo possiamo dire che la moralità è alla base di tutte le qualità, virtù,
realizzazioni sia mondane che ultramondane, dal successo alla fortuna, dall’abilità nella
meditazione fino alla saggezza e all’illuminazione. Con l’aiuto di questa analogia possiamo capire
quanto sia importante una buona condotta quale base e requisito essenziale per seguire la Via e
ottenerne risultati.

Perché sottolineiamo tanto la buona condotta quale elemento basilare di progresso spirituale? La
ragione è che c’è un po’ la tendenza a considerare la buona condotta come qualcosa di ottuso e
noioso. La meditazione dà l’idea di qualcosa di più emozionante e interessante e anche la filosofia
e la saggezza esercitano un certo fascino. C’è la pericolosa tentazione di lasciar perdere la
moralità e andare direttamente avanti verso la parte più interessante della pratica. Ma se non si
creano le basi di una buona 25/ 104 condotta, non riusciremo a progredire nel cammino.

E’ necessario capire come sono state stabilite le regole di buona condotta nel buddhismo, perché ci
sono vari modi in cui un codice morale o etico può essere stabilito. Se considerate gli insegnamenti
morali delle maggiori religioni del mondo, vi sorprenderete di quanti punti in comune abbiano tra di
loro. Se guardate, per esempio, gli insegnamenti morali di Confucio o Lao Tzu, quelli del Buddha e
dei maestri indiani, quelli degli ebrei, cristiani e musulmani, troverete che le regole essenziali
di buona condotta sono quasi identiche. Però, sebbene le regole nella maggior parte dei casi siano
molto simili, l’atteggiamento verso di esse, il modo in cui vengono presentate, capite e
interpretate, varia considerevolmente da religione a religione.

In generale ci sono due modi di stabilire un codice morale: un modo che possiamo chiamare
autoritario e l’altro democratico. Il primo è ben esemplificato da Dio che dà a Mosè le Tavole della
Legge con i Dieci Comandamenti. Nel buddhismo invece vi è un modo, per così dire, democratico, per
stabilire le regole basilari di buona condotta. Vi chiederete perché dico questo del buddhismo,
quando dopo tutto vi sono regole morali chiaramente trasmesse anche nelle Scritture buddhiste.
Potreste domandarvi: “E non sono queste simili a quelle che Dio ha dato a Mosè?”. Io credo di no,
perché se osserviamo attentamente il significato delle Scritture buddhiste, possiamo vedere ciò che
si cela dietro alle regole di buona condotta: il principio di uguaglianza e reciprocità. Il
principio di uguaglianza sostiene che tutti gli esseri viventi sono fondamentalmente simili per
quanto riguarda il loro orientamento e predisposizione. In altre parole, tutti gli esseri vogliono
essere felici, godere la vita, evitare la sofferenza e la morte. Questo vale per noi e vale per
tutti gli esseri. Il principio di uguaglianza sta al centro della visione universale del Buddha.
Capire il principio d’uguaglianza ci porta ad agire alla luce di una maggiore consapevolezza del
principio di reciprocità.

Reciprocità significa che, come noi non vogliamo essere offesi, derubati, feriti o uccisi, così
tutti gli altri esseri viventi non vogliono subire queste cose. Possiamo esprimere questo principio
di reciprocità molto semplicemente: “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi”.
Una volta ben consapevoli di questi principi di uguaglianza e reciprocità, non è difficile capire
perché formino la base delle regole buddhiste di buona condotta.

Diamo ora un’occhiata al contenuto specifico della moralità buddhista. La pratica di buona condotta
include tre elementi dell’Ottuplice Nobile Sentiero: 1) Retta Parola; 2) Retta Azione e 3) Retto
Sostentamento.

La Retta Parola costituisce un importantissimo aspetto del Sentiero. Spesso sottovalutiamo il potere
della parola, e come conseguenza non controlliamo sufficientemente questa facoltà. Ma non bisogna
far così. Sicuramente nella vita c’è capitato qualche volta di essere stati profondamente offesi
dalle parole di qualcuno e altrettanto siamo stati molto aiutati da ciò che qualcuno ci ha detto.
Nella vita pubblica possiamo vedere che chi sa comunicare bene è in grado di influenzare enormemente
la gente sia nel bene che nel male. Hitler, Churchill, Kennedy, Martin Luther King erano abili
oratori e influenzarono milioni di persone con le loro parole. Si dice che una parola dura può
ferire più di una spada, e che una parola gentile può cambiare il cuore e la mente anche del
criminale più incallito. Forse la cosa che ci differenzia maggiormente dagli animali è la facoltà
della parola; quindi se vogliamo creare una società che abbia lo scopo di comunicare e cooperare
armoniosamente per il benessere di tutti, è necessario controllare, coltivare e usare la parola in
modo appropriato.

Tutte le regole di buona condotta implicano il rispetto di quei valori che nascono dalla
comprensione dei principi di uguaglianza e reciprocità. In questo contesto quindi, Retta Parola
significa dire la verità e rispettare il benessere altrui. Se usiamo la parola tenendo presente
questi valori, mettiamo in pratica la Retta Parola e ciò facendo beneficeremo di una maggiore
armonia nei nostri rapporti con gli altri.

Tradizionalmente si parla di quattro aspetti della Retta Parola: 1) astenersi dal mentire, 2)
astenersi dal pettegolezzo e dalla calunnia; 3) astenersi da parole offensive e 4) astenersi dal
parlare ozioso e vano.

Forse conoscete le istruzioni date dal Buddha a suo figlio Rahula sull’importanza di evitare la
menzogna. Usò l’esempio di un vaso. Chiese a Rahula di guardare nel vaso che aveva un po’ d’acqua
sul fondo, commentando: “La virtù e la rinuncia di chi non ha scrupoli sono poca cosa come poca è
l’acqua nel vaso”. Poi il Buddha gettò via l’acqua e disse: “Coloro che non hanno scrupoli nel
mentire, gettano via la virtù come io ho gettato via quest’acqua”. Poi mostrò a Rahula il vaso vuoto
e disse: “La virtù e la rinuncia di coloro che sono abituati a mentire sono vuote come questo vaso”.
Il Buddha volle in tal modo farci notare come la menzogna può minare l’integrità delle nostre
azioni, della buona condotta e del nostro stesso carattere. Se crediamo di poter agire in un modo e
parlare in un altro, non esiteremo ad agire male, perché saremo convinti di essere in grado di
nascondere le cattive azioni con la menzogna. Il mentire perciò apre la porta a ogni tipo di brutta
azione.

La calunnia divide, crea contese tra amici e porta dolore e discordia nella società. Perciò, come
non vogliamo che un nostro amico si rivolti contro di noi influenzato dalle calunnie di qualcuno,
così noi stessi non dobbiamo calunniare gli altri. Allo stesso modo non dobbiamo offendere gli altri
con parole ingiuriose. Dobbiamo invece usare parole cortesi perché anche noi vorremmo che gli altri
ci parlassero gentilmente.

Per quanto riguarda il parlare ozioso, ci si può chiedere che male c’è a fare quattro chiacchiere.
Ma questa proibizione non è assoluta e generale e riguarda solo il pettegolezzo malevolo, cioè il
divertirsi alle spalle altrui, raccontando i difetti e le mancanze degli altri.

Riassumendo, è bene non usare della facoltà della parola, che abbiamo visto quanto sia potente, per
ingannare, creare divisioni, offendere e passare il tempo divertendosi alle spalle altrui. Meglio
usarla in modo costruttivo per comunicare profondamente, per unire, incoraggiare, comprendersi
meglio e consigliare. Una volta il Buddha disse: “La parola piacevole è come un dolce miele; la
parola veritiera è bella come un fiore, mentre la parola non retta è disgustosa”. Cerchiamo perciò,
sia per il nostro bene che per quello degli altri, di coltivare la Retta Parola, cioè di avere
rispetto sia per la verità che per il benessere degli altri.

L’altro elemento dell’Ottuplice Nobile Sentiero che fa parte della moralità, è Retta Azione. Retta
Azione implica: rispetto per la vita, rispetto della proprietà e rispetto dei rapporti personali.
Abbiamo detto che la vita è cara a tutti. Nel Dhammapada si dice che tutti tremano all’idea di
essere puniti, tutti temono la morte e amano la vita. Quindi, sempre sovvenendoci dei principi di
uguaglianza e reciprocità, non dovremmo uccidere alcun essere vivente. E’ facile accettarlo per gli
essere umani ma le riserve nascono nei riguardi di altre creature, specie gli insetti. Ma i recenti
sviluppi nel campo scientifico e in quello tecnologico possono dare molto da pensare agli scettici.
Per esempio quando si distrugge un particolare tipo di insetto, siamo certi di fare una cosa
vantaggiosa a lungo termine o non piuttosto di contribuire allo squilibrio dell’ecosistema che
creerà grossi problemi nel futuro?

Rispetto della proprietà significa non appropriarsi, non rubare, non imbrogliare. Chi prende ciò che
non è dato con la forza, furtivamente o con l’inganno è colpevole di infrangere questo precetto. Il
datore di lavoro che non dà la giusta paga commensurata al lavoro svolto è colpevole di prendere ciò
che non è dato; l’impiegato che prende la paga ma non compie il suo lavoro è colpevole di mancanza
di rispetto verso la proprietà. Infine il rispetto nei rapporti personali significa evitare un
comportamento sessuale scorretto, cioè l’adulterio. Significa anche evitare rapporti sessuali con
persone che possono esserne danneggiate. In senso generale, significa evitare l’abuso dei sensi. E’
facile capire che se una comunità osserva questi precetti, la vita sarà migliore.

Retto Sostentamento è il terzo elemento del gruppo della moralità dell’Ottuplice Nobile Sentiero.
Retto Sostentamento significa estendere le regole della Retta Azione al modo di guadagnarsi da
vivere. Abbiamo visto che i valori alla base della Retta Parola e Retta Azione sono il rispetto per
la verità, per il benessere degli altri, per la vita, per le proprietà e per le relazioni personali.
Retto Sostentamento significa guadagnarsi da vivere in modo da non violare questi valori morali
basilari.

I buddhisti dovrebbero astenersi dal praticare i seguenti cinque modi di sostentarsi: commercio di
animali da macello, di schiavi, armi, veleni e intossicanti come droghe e alcool. Sono da evitare
perché contribuiscono a rendere malata una società e a violare i valori di rispetto della vita e del
benessere altrui. Trattare animali da macello viola il rispetto per la vita. Commerciare gli schiavi
viola sia il rispetto per la vita che la Retta Azione nei rapporti personali. Anche commerciare in
armi viola il rispetto per la vita, mentre trattare veleni e droghe non rispetta la vita e il
benessere degli altri. Sono tutte queste forme di commercio che aumentano l’insicurezza, la
discordia e la sofferenza nel mondo.

Come funziona la pratica di buona condotta o moralità? Abbiamo visto che, nel contesto della società
in generale, seguire le norme di buona condotta crea un ambiente sociale armonioso e pacifico. Si
può raggiungere ogni traguardo sociale, pur mantenendosi all’interno delle regole di buona condotta
basate su uguaglianza e reciprocità, e oltre a ciò ognuno trae beneficio da una tale pratica. In uno
dei suoi discorsi il Buddha ha detto che chi osserva il rispetto per la vita e le altre norme si
sente come un re sul trono dopo aver vinto i nemici. Una persona così si sente a suo agio e in pace.

La pratica della moralità crea un senso interiore di tranquillità, stabilità, sicurezza e forza.
Una volta raggiunta la pace interiore potete procedere sulla Via, coltivando e perfezionando i vari
aspetti dello sviluppo mentale. Potete così ottenere la saggezza, ma solo dopo aver posto le
necessarie basi della moralità sia interiormente che all’esterno, sia in se stessi che nei propri
rapporti con gli altri. E’ questo, per sommi capi, l’origine, 29/ 104 il contenuto e lo scopo della
buona condotta per il buddhismo. Prima di concludere il discorso sulla moralità, vorrei aggiungere
ancora una cosa. Quando la gente considera le norme di buona condotta, spesso è portato a pensare:
“Ma come è possibile seguirle?” Sembra incredibilmente difficile osservare i precetti.. Per esempio,
perfino la proibizione di uccidere che è la più basilare, ci sembra difficile da rispettare
completamente. Ogni giorno, pulendo la cucina o lavorando in giardino, è facile che uccidiate
qualche insetto. Certe volte sembra anche difficile evitare di mentire. Come dobbiamo comportarci in
questi casi?

Il punto non è osservare tutte le regole e sempre, ma abbiamo il dovere di seguirle il più
possibile, quando esse sono bene interiorizzate: se i principi di uguaglianza e reciprocità sono ben
radicati, troveremo che le norme di condotta sono un modo appropriato per applicarli. Non vuol dire
perciò che dobbiamo seguirle in modo assoluto, ma che dobbiamo fare del nostro meglio per seguire le
regole di buona condotta che ci sono state indicate. Se vogliamo vivere in pace con noi stessi e con
gli altri dobbiamo rispettare la vita e il benessere altrui, le loro proprietà e tutto il resto. Se
ci troviamo in una situazione in cui non possiamo seguire una delle regole, non è colpa della
regola, ma semplicemente l’indicazione della differenza tra la pratica e l’ideale.

Quando nei tempi antichi i naviganti attraversavano i mari con l’aiuto delle stelle, non erano in
grado di seguire esattamente la rotta indicata da questi corpi celesti, eppure i marinai, pur
seguendola solo in modo approssimativo, erano in grado di giungere a destinazione. Allo stesso modo,
cerchiamo di seguire le regole di buona condotta senza pretendere di osservarle tutte e sempre. E’
perciò che vengono chiamati “precetti di pratica” e che vengono rinnovati periodicamente.

Sono come un’intelaiatura che fa da cornice ai due principi fondamentali che illuminano
l’insegnamento del Buddha: il principio di uguaglianza di tutti gli esseri viventi e il principio di
rispetto reciproco.

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