Le grandi religioni e gli animali. Il Buddhismo

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Le grandi religioni e gli animali. Il Buddhismo

di Gino Ditadi

– BUDDHISMO –

Il buddhismo costituisce la quarta comunità religiosa del mondo dopo i
cristiani, islamici e induisti. Attualmente conta 350 milioni di seguaci, il
7% della popolazione mondiale. E’ diffuso in 84 Paesi. Il 51% delle comunità
è in Asia meridionale, il 48% in Asia orientale. In alcuni Paesi come
Giappone, Vietnam, Birmania, Thailandia, Sri Lanka, Cambogia, Laos, Bhutan è
la religione principale. Dove è minoritario, come in Cina, Corea del Sud,
India, il buddhismo assolve a un ruolo di grande e profonda influenza
spirituale. In Europa occidentale vi sono circa 250.000 buddhisti.

Nel Museo d’Arte orientale di Roma vi è un rilievo del II secolo d.C.
rappresentante le divinità induiste Brahma e Indra che invitano il Buddha,
seduto sotto l’albero dell’Illuminazione, a comunicare agli altri esseri,
divinità comprese, essendo anch’esse iscritte nel ciclo delle trasmigrazioni
o reincarnazioni, la sua esperienza di liberazione.

Il fondatore di questa religione è un riformatore: il Principe Siddharta
Gautama, nato intorno al 563 a.C. a Kapilavasta, in una regione himalayana
oggi compresa tra il Nepal meridionale e l’estremo Nord dell’India. La sua
vita, come quella di tutti i grandi riformatori è intessuta di leggende. I
testi originari sono andati perduti. Il testo di riferimento fondamentale è
il Canone Pali o Canone dei Tre Canestri redatto dalla scuola dei
Theravadin, seguaci della dottrina ‘ortodossa’ del Buddha e dei suoi più
diretti discepoli. Il Primo Canestro contiene le regole etiche dei monaci;
il Secondo Canestro, il più importante dal punto di vista dottrinale,
contiene quattromila dialoghi del Buddha con i discepoli. Il Terzo Canestro
ospita trattati etici e filosofici.

Le tre correnti principali del buddhismo sono quelle del Mahayana, Hinayana
e Vajrayana. Nonostante i diversi approcci alla dottrina originale, i punti
di riferimento comuni, con particolare riguardo al mondo animale, sono
desumibili dall’impianto generale della dottrina alla quale necessariamente
ci si deve riferire. Si deve dire subito che il Buddha accettava il punto di
vista delle Upanishad. La filosofia delle Upanishad tentava di attenuare le
divisioni, distruggere gli odi e le avversioni di classe, ma in sostanza
venivano tollerate, senza essere incoraggiate, le regole castali.

Inoltre, se nella Chandogya- Upanishad è dichiarato che colui che aspira
alla liberazione deve, tra l’altro, “non procurare mai dolore alle altre
creature”, subito dopo si affretta anche a precisare “eccetto che in taluni
luoghi sacri”, cioè in occasione dei sacrifici di animali. Ma al Buddha,
all’Illuminato riformatore, ripugnavano assolutamente tutte le uccisioni di
animali come quelle di uomini. Per il Buddha le uccisioni di animali o
uomini sono facce di una stessa medaglia: espressione di una civiltà fondata
sul sangue.

Al clero ereditario il Buddha contrapponeva la fratellanza spirituale; alle
distinzioni di nascita, il merito personale; alla rivelazione vedica, il
ragionamento logico; alla pietà cerimoniale, il concreto esercizio della
compassione (karuna) per tutto ciò che vive e soffre. L’indignazione e
l’odio della casta sacerdotale indù divennero automatici perché si vide nel
buddhismo una forza dissolvitrice delle caste, quindi antisociale e nemica
della fede.

La visione del mondo del Buddha, in particolare di questo mondo, non poteva
essere accolta. Ancora oggi ciò che l’indù rifiuta del buddhismo non è tanto
la concezione metafisica, quanto il suo programma pratico. Fin dall’inizio
della sua storia l’induismo è stato caratterizzato da una estrema libertà di
pensiero e da una ferma rigidità nella vita pratica. L’induismo non può non
respingere il buddhismo, per la semplice ragione che tale dottrina
interferisce con l’organizzazione della società perchè si sforza di entrare
nella vita pratica, quotidiana delle masse.

Si è detto che il buddhismo è una religione atea, ma la questione è più
complessa. Per il buddhismo non vi è nessun Dio Creatore ex nihilo,
Universale, Eterno, Onnisciente. Il più alto principio divino non è né
onnipotente né perfettamente felice. Esistono invece innumerevoli divinità
di ogni rango, nate spontaneamente dall’energia dell’universo, e benché la
loro vita sia più lunga di quella degli uomini e degli animali, è comunque
destinata al dissolvimento. Una divinità Unica (Icvara) non c’è.

Neppure il Brahman, quell’Io cosmico in cui crede l’induista è universale ed
eterno. Manca un centro divino stabile; manca altresì un politeismo stabile;
infatti anche le nature divine, eteree o ctonie sono mortali. Nessun centro
dell’universo, nessuna Coscienza Assoluta.

Così, nei soggetti viventi non vi è nessun lo, nessuna coscienza permanente,
perché gli elementi di cui tutti i viventi sono costituiti sono il prodotto
di forme impermanenti. Tutte le vite, quelle degli dèi, quelle degli uomini,
quelle degli animali sono penose e, fondamentalmente, vuote, anatam, prive
di un principio stabile di individualità. Il buddhismo nega con forza
l’esistenza di un elemento eterno nell’uomo capace di godere, dopo la morte,
di una beatitudine infinita; allo stesso modo nega che, sulla difficile via
della liberazione, si possa avere il soccorso di una divinità o sperare di
unirsi al Divino o, adulando il presunto Creatore o gli dèi attraverso i
sacrifici, sperare di avere benefici.

Tutti gli esseri sono immersi in un ciclo di vite (samsara) legato alla
Legge del karma, ossia alla legge della causalità per cui ad ” ogni azione
nella vita presente corrisponde un effetto adeguato in quella successiva.
Antitesi del samsara è il nirvana. Tutti gli esseri sono un impasto di
materia e la materia è composta di atomi. Le forme di vita, più o meno pure,
che si generano, sono inesorabilmente sottoposte alla Legge
dell’aggregazione (vita) e della disgregazione (morte).

Carattere primo di tutto ciò che esiste è l’impermanenza (anitayta) e
proprio questo fa sì che l’esistere, l’uscire come forme aggregate
dall’oscurità della materia, sia inscindibilmente connesso con il dolore. Il
comune denominatore per tutti i viventi è la sofferenza; è dunque necessario
comprendere che, nel mutare delle forme, il destino è lo stesso.

Ne seguono regole pratiche semplici che il Buddha raccomanda in un suo
Discorso. “Non uccidere esseri viventi; esortare gli altri a non farlo.
Avere compassione di colui che è nelle ristrettezze. Dare a tutti i viventi
cibi e bevande affinché si ristorino. Avere compassione di colui che è nelle
ristrettezze.”

E, in un altro Discorso, il Buddha precisa; “Non dobbiamo uccidere e neppure
ordinare di uccidere”. Ogni vita, anche la più piccola, ha pari dignità. Il
monaco buddhista che, assetato, ha egualmente bevuto acqua in cui sapeva ci
fossero piccoli esseri viventi, dovrà fare lunghe penitenze.

Diversamente dal credo induista, il buddhismo non crede alla trasmigrazione
delle anime (metempsicosi), ma nella reincarnazione in un pincipio di vita
stabile (l’empedoclea metensomatosi) legata alla Legge del karma.
L’aggregato fisico-chimico è sempre lo stesso, cambia la forma. Poiché
l’anima non può trasmigrare, visto che non esiste, sono le componenti
aggregative di base a farlo, per cui in una sorta di metamorfosi la vita
fiorisce, patisce e si dissolve in un ciclo di forme tutte diverse e,
insieme, tutte uguali. I corpi sono solo ‘immagini dipinte’. Con la morte la
Legge cosmica (Dharma) dissolve gli elementi (skandha) e con essi le
sensazioni (vedana), le idee (samjna), le impressioni, le emozioni
(samskara) e la coscienza (vijaana). Questo il percorso per animali e
uomini.

Gli animali, come gli uomini, hanno sentimento, memoria, intelligenza, sono
capaci di amore e di sacrificio, possono imparare e migliorarsi. II rispetto
per la vita animale è grande e non può essere paragonato alle etiche
religiose occidentali o del vicino Oriente.

Specie per il buddhismo mahayanico, virtù principale è la benevolenza, la
fratellanza universale estesa a tutti gli esseri viventi, l’amore. Ed è
proprio il Mastreya, il Compassionevole, l’Illuminato, il Buddha del
prossimo futuro evo cosmico. La seconda virtù è la Grande Compassione
(Mahaka-runa), la solidarietà che lega tutti gli esseri della terra
prigionieri dello stesso dolore. Tali virtù fanno del buddhismo, dal punto
di vista cronologico, il primo sistema religioso del mondo fondato su
un’estensione totale, a tutti i viventi, del diritto alla vita e al
perfezionamento.

Colui che esercita al meglio tali virtù è un Arya, un Meritevole, un essere
nobile che, se necessario, si sacrifica per il bene del prossimo, come hanno
testimoniato, nella storia recente, i monaci che si sono dati fuoco in
Vietnam quale sacrificio estremo contro la guerra.

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