Le mutazioni del DNA spazzatura associate all’autismo

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Le mutazioni del DNA spazzatura associate all’autismo

28 maggio 2019

Sono migliaia le mutazioni spontanee nel cosiddetto “junk DNA” che possono aumentare il rischio di
autismo. La scoperta è avvenuta grazie a una tecnica di intelligenza artificiale che potrebbe essere
applicata anche nella ricerca sui tumori e le malattie cardiovascolari

da lescienze.it/news

Il genoma umano è costituito solo in minima parte da DNA codificante, cioè da geni che contengono le
informazioni per sintetizzare le proteine utili al funzionamento dell’organismo. Il resto – il 98
per cento circa – era stato ribattezzato junk DNA, DNA spazzatura, perché tradizionalmente
considerato inutile. Questa visione è cambiata in anni recenti, quando si sono accumulate sempre più
prove che alcune parti di quel DNA hanno importanti ruoli di regolazione dell’espressione dei geni
codificanti.

Inserendosi in questo nuovo paradigma degli studi genomici, una nuova ricerca pubblicata su “Nature
Genetics” da Olga Troyanskaya della Princeton University, e colleghi, rivela ora che è proprio nel
DNA spazzatura che possono insorgere mutazioni che aumentano il rischio di insorgenza di autismo.

Gli autori hanno utilizzato una sofisticata tecnica d’intelligenza artificiale, l’apprendimento
automatico, per analizzare i genomi di 1790 famiglie in cui è presente un figlio con un disturbo
dello spettro autistico, che invece non si riscontra negli altri familiari. Si tratta di un campione
di studio particolare, in cui, non essendo evidente un’ereditarietà del disturbo, si può concludere
che la mutazione genetica è sorta in modo spontaneo nel soggetto.

Il risultato non sarebbe stato possibile senza l’apprendimento automatico, che procede effettuando
analisi sempre più approfondite del genoma, fino a rivelare schemi d’interazione tra porzioni del
DNA spazzatura e geni codificanti.

Più in dettaglio, il suo algoritmo analizza ogni singola coppia di basi, i “mattoni elementari” che
costituiscono la lunga catena della molecola di DNA, e verifica la sua relazione con un migliaio di
coppie di basi vicine. Alla fine del processo, l’algoritmo produce una lista di sequenze di DNA che,
con probabilità crescente, hanno una funzione di regolazione dei geni, e delle relative mutazioni in
grado d’interferire con queste regolazioni: gli autori lo definiscono come una sorta di “punteggio
d’impatto sul disturbo”.

La nuova metodica ha così dimostrato di avere notevoli potenzialità nelle ricerche in cui occorre
una grande capacità di analisi massiccia del genoma, inarrivabile per le tecniche tradizionali.
L’inconveniente è che non individua nuove cause genetiche precise dell’autismo o alterazioni dello
sviluppo del sistema nervoso, ma solo migliaia di possibili fattori in grado di alterare
l’espressione dei geni nel cervello correlati al disturbo, come quelli coinvolti nello sviluppo o
nella migrazione dei neuroni.

Troyanskaya e colleghi ritengono comunque che possa aprire interessanti prospettive di ricerca
biomedica, non solo sull’autismo, ma anche in su tumori e patologie cardiovascolari.

“Questa è la prima chiara dimostrazione di mutazioni non codificanti non ereditarie che causano una
malattia o un disturbo complesso”, ha commentato Troyanskaya. “Finora, il 98 per cento del genoma è
stato trascurato: i nostri risultati permettono di guardare a questa porzione del DNA come a un
terreno da esplorare”. (red)

dx.doi.org/10.1038/s41588-019-0420-0

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