Le nuove armi e la narcodemocrazia
di Maurizio Blondet
Nel 1920 il colonnello britannico J.F.C. Fuller, reduce dalla Grande Guerra, previde l’avvento di
armi di un tipo assolutamente nuovo. “Sistemi bellici senza fuoco”, che avrebbero rimpiazzato i
cannoni, i cingolati e gli esplosivi, e che avrebbero reso la guerra infinitamente più umiliante per
l’uomo: “I metodi [puramente meccanici o chimici] con cui in guerra un soldato impone la sua volontà
al soldato nemico saranno sostituiti da mezzi bellici completamente psichici. Non ci sarà più un
campo di battaglia, né le armi saranno usate, né si perseguirà la distruzione di vite o di arti; al
loro posto, si perseguirà la degradazione della ragione umana, l’offuscamento dell’umano intelletto,
e la disintegrazione della vita morale e spirituale di una nazione. Così, per influenza, la volontà
di un uomo sull’altro vincerà” (1)
Nel 1932, ormai maggior generale, Fuller tornò sul tema, ma in termini meno teorici. Nell’esporre il
fallimento dello “scontro di materiali bellici” cui aveva assistito durante la Grande Guerra,
aggiunse: “Tuttavia, l’enorme domanda di ogni tipo di munizioni rivelò chiaramente agli Stati
Maggiori alleati il fondamento economico del conflitto. E questo era così visibile, che gli Stati
Maggiori non tardarono a capire che, se fosse stata stroncata la fornitura di cibo del nemico, le
fondamenta della nazione ostile sarebbero state minate, e con esse la volontà di resistere, sì che
le sue forze militari sarebbero state paralizzate. Così […] essendo fallito lo scontro di
materiali, si diede luogo ad operazioni di devastazione delle coltivazioni. Per rendere possibile
questa forma di guerra, la più barbara, gli Alleati perseguirono l’accerchiamento degli Imperi
Centrali per ottenerne la resa per mezzo della fame. L’aggressione non si sferrava più contro i
soldati del nemico, ma contro i suoi malati e i suoi poveri; non più contro gli uomini, ma contro
donne e bambini. L’aggressione economica è senza dubbio la più brutale di tutte, perché non solo
uccide ma invalida, e invalida più di una generazione. Tramutare uomini, donne e bambini in animali
famelici significa colpire direttamente ciò che chiamiamo civiltà” (2)
E più oltre, a proposito delle “armi d’attacco morale”: “In tutta la storia il tradimento si è
rivelato in sé un’arma potente. Nella guerra mondiale si provò a conseguire il tradimento attraverso
la propaganda: i giornali dei contendenti hanno estratto luridume dalle viscere delle loro
rispettive Fleet Streets [la strada dove sorgono le sedi dei giornali britannici] per schizzarlo sui
paesi nemici. Ogni senso di giustizia fu messo da parte. Più oltraggiosa la menzogna, più si
credette potente…Nessun governo sembrò comprendere che l’aggressione attraverso la menzogna minava
il suo proprio futuro”. Nel 1961, Fuller – adesso generale – esaminò ancora il problema nel suo
ultimo libro, The Conduct of War, 1789-1961, che aveva come sottotitolo “La conseguenze sulla guerra
delle rivoluzioni francese, industriale e sovietica”.
Ancora una volta mise in guardia dall’avvento di “guerre neo-tribali”, di guerre “di massa”, “senza
limiti”, che vedeva avanzare ineluttabili. Egli additò nel conflitto di tipo rivoluzionario la
legittimazione di una “guerra totale”: che sferrava l’attacco non solo con eserciti, ma con
l’eversione interna dei costumi e dei valori del nemico – come appunto stava facendo l’Unione
Sovietica – cui lui, il generale, si dichiarava profondamente contrario.
Questo tipo di guerra avrebbe distrutto, diceva, i fondamenti della civiltà umana, di ogni cultura
spiritualmente degna: un danno assai peggiore, e infinitamente più irrimediabile, dei disastri
fisici prodotti dai bombardamenti. Questo tipo di guerra è oggi fra noi, e le sue nuove armi vengono
già sviluppate, e portate ai loro estremi limiti logici e strategici. Due colonnelli dell’Armata
Popolare Cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui, nel febbraio 1999 hanno redatto un saggi dal titolo
“Guerra Senza Limiti”, che si sofferma sull’opportunità per la Cina, confrontata alla superpotenza
militare Usa, di adottare “forme non militari di guerra” come l’infiltrazione elettronica dei
database del nemico, il sabotaggio Internet, la disorganizzazione delle comunicazioni di ogni tipo,
il bio-terrorismo. Questo libro, immediatamente tradotto dalla Cia (3), è stato molto letto negli
ambienti militari americani, per apprenderne bene le lezioni.
Non che in Usa il libro cinese abbia sorpreso. Da tempo ormai gli strateghi professionali americani
stanno esaminando il problema della “nuova” guerra. Sotto formule orwellianamente miti, come lo
sviluppo di “armi non letali” o “la ciber-organizzazione della guerra” o “intelligence in tempo
reale” si nascondono concetti meno innocui. Un generale, Peter Schoomaker, che guida lo Special
Operation Command, ha parlato apertamente di “fusione tra guerra e criminalità”. Un altro colonnello
di nome William Osborne ha sottolineato la realizzabilità di “soldati cibernetici”: impiantando nel
cervello dei militari di linea appositi microchips che forniscano ai comandi “intelligence in tempo
reale” e guidino l’azione del combattente robotizzato “Stiamo già evolvendo verso questo impianto
tecnologico. La popolazione civile accetterà impianti di microchips che miglioreranno la capacità
dei soldati di difendere gli interessi nazionali” (4).
Ralph Peters, un consigliere strategico esperto dell’Asia Centrale, ha scritto: “La più grande
opportunità e il più grande pericolo verrà dallo sviluppo di armi di controllo del comportamento nel
secolo venturo [il ventunesimo, l’attuale]. Nella loro forma perfetta, esse altereranno in modo
permanente la percezione e le convinzioni degli uomini”. Si tratta di un vasto arsenale di mezzi
“neurotropici, psicofarmacologici e psicotropici” che, apprendiamo, è in febbrile sviluppo o già
disponibile. Taluni di questi mezzi chimici o farmacologici si configurano come “armi” nel senso
tradizionale, miranti ad uccidere i nemici: sono le biotossine come il botulinum e della
safarotossina, potenti veleni prodotti da microrganismi, “fra i più squisitamente letali veleni
conosciuti”, “a certe condizioni anche centomila volte più tossici degli agenti nervini” (5).
Sono le tabotossine, ossia veleni ricavati da piante: la scienziata irachena che sovrintendeva alle
ricerche di guerra chimica di Saddam Hussein s’era laureata con una tesi sulla patologia vegetale, e
specificamente sulle tabotossine, presso la East Anglia University, famoso istituto agricolo
britannico. E ci sono “i nuovi neuropeptidi” che agiscono direttamente sul cervello: alterando la
reazione immunitaria per interferenza sul fine sistema neuro-endocrino, come l’encefalina, o
interferendo sui neurotrasmettitori, da cui dipende l’uso volontario e involontario dei muscoli.
Così, in certi studi appare una misteriosa “sostanza P” che “in combinazione con la tiorfina si è
dimostrata altamente tossica con effetti dannosi sulla respirazione” (6). Possibile arma biologica
di cui si è studiata la diffusione per aerosol, questa combinazione s’è comprovata fino a mille
volte più efficace dei nervini Sarin, Soman e VX. Ma proprio fra i neuropeptidi si cercano le
promettenti sostanze capaci non di uccidere, ma di alterare il comportamento degli avversari.
“L’insidiosa natura di queste armi”, scrive il già citato Peters (7), “farà sì che la vittima non
solo non saprà che cosa l’ha colpita, ma non capirà di essere stata colpita affatto”. Per esempio,
il soldato nemico “perderà ogni desiderio di combattere e di colpo guarderà a noi in modo amichevole
e collaborativo”. A quanto pare, non si tratta di elucubrazioni fantascientifiche. “La sola cosa di
cui sono certo sulla prossima rivoluzione dell’armamento è che essa implicherà forme di controllo
del comportamento e di intrusione mentale. Attaccare il corpo umano è stato un modo inefficiente e
fallibile di condurre la guerra. Colpire la mente sarà il culmine della storia militare”. Peter
riconosce che questo campo di ricerca, che mira ad “alterare in modo permanente la percezione di
individui o di intere culture” ci prepara un futuro “mostruoso”. Riconosce che “uccidere un uomo è
più umano che interferire sulla sua libera volontà”. Ma “queste armi stanno arrivando, ne siamo
assolutamente certi. E’ una tecnologia che dobbiamo prima dominare, e poi proibire [sic].
Altrimenti, l’Armageddon verrà non sotto forma di una pioggia di fuoco, ma come silenziosa
suggestione”. Secondo lui, è già in atto l’integrazione fra “neurobiologia, antropologia,
comunicazione, ingegneria digitale, marketing” che partorirà le armi comportamentali. Sono “le armi
inevitabili” del prossimo futuro. E nulla garantisce che il loro uso sarà limitato al nemico
esterno.
Proprio quando il generale Fuller pubblicava il suo ultimo libro (The Conduct of War”, 1961), Aldous
Huxley, scienziato politico, alto dirigente dell’Onu, nonché sperimentatore in proprio di
allucinogeni come mescalina e Lsd, dichiarava: “Nella prossima generazione o poco più tardi
disporremo di mezzi farmacologici per far sì che la gente ami la propria servitù. Sarà, per così
dire, una dittatura senza lacrime, che chiuderà in un campo di concentramento indolore società
intere. Il popolo si vedrà privato delle sue libertà ma non gli dispiacerà, perché sarà distratto da
ogni voglia di ribellione con la propaganda, col lavaggi del cervello, o con un lavaggio del
cervello assistito da metodi farmacologici”.
Anche Fuller in quello stesso 1961 metteva in guardia contro la nascita, ormai imminente, di
“narco-democrazie”, “narco-socialismi” o “collettivismi terapeutici”. Ma già tre secoli prima Goethe
temette l’avvento dello “Stato Ospedale”: quello che, con il pretesto di garantire in ogni momento
la nostra salute e di liberarci dei rischi della vita, ci avrebbe privato dei piaceri, e poi ci
avrebbe reso schiavi per scopi sanitari. Guardatevi attorno: tutte le condizioni culturali e
psicologiche per l’avvento dello Stato Ospedale sono già presenti.
Intere società reclamano contro il fumo, esigono sicurezze assolute e assistenza sanitaria totale,
vogliono e pretendono l’abolizione del dolore, l’allontanamento della morte, l’eterna giovinezza
gestita dalla chirurgia plastica, l’abbondanza senza eclissi, il sesso senza rischio. La felicità
zoologica comincia ad esserci assicurata dalla pubblicità, da prodotti del mercato, da burocrazie
che hanno sostituito la politica con la terapeutica (8). Già scivoliamo, contenti, nella
narcodemocrazia. Lo spazio è già preparato per le spaventose “nuove armi” neurofarmacologiche e
comportamentali. Manca solo che esse siano benignamente utilizzate “a scopi di pace” su di noi, per
il nostro “bene”.
di Maurizio Blondet
NOTE
1) J.F.C. Fuller, Tanks in the Great War, 1914-1918, Londra 1920, p. 320.
2) J.F.C. Fuller, War and Western Civilization, 1832-1932: a Study of War as a Political Instrument
and the Expression of Mass Democracy (Londra 1932, p.228-30).
3) Col titolo “No-limits Warfare, Ideas on War and Methods of War in the Globalization Era”.
4) Lt. Colonel William B. Osborne, Information Technology, a New War-Fighting Capability, 1996.
5) Murray Hamilton, “Toxins: the Emerging Threat”, sulla Applied Science and Analysis Newsletter, 26
giugno 1998.
6) B.L. Koch “Inhalation of Substance P and Thiorphin: Acute Toxicity and Effects on Respiration in
Conscious Guinea Pigs”, Journal of Applied Toxicology, Vol. 19, 1999, p. 19-23. La Sostanza P viene
definita come “neuropetide attivo, neurotrasmettitore e neuromodulatore, presente a agente ad ogni
livello del sistema nervoso”. Dunque una sostanza naturale e necessaria. E’ la sua somministrazione
in quantità eccessive a produrre spaventosi effetti, alla fine letali.
7) Ralph Peters, Fighting for the Future: Will America Triumph?, Mechanicsburg (PA), 1999, p. 207.
8) Così, ad esempio, mentre viene rigettata coralmente la pena di morte giudiziaria, è legalizzata –
o in via di legalizzazione – la morte inflitta a scopi terapeutici: l’aborto e l’eutanasia.
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