Le nuove implicazioni dell’Entanglement

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Le nuove implicazioni dell’Entanglement

Alcuni esperimenti di laboratorio confermano un fenomeno che la Meccanica Quantistica ha sostenuto
su un piano teorico ed ora assume connotati sostanziali grazie a sperimentazioni scientifiche che lo
evidenziano.

di Giorgio Cozzi

L’Entanglement spiega anche la telepatia?

Da tempo l’Entanglement è un termine usato da molti ricercatori come metafora di modi diversi da
quelli della Fisica Classica di entrare in contatto tra entità, che siano particelle o esseri umani.
In particolare, nel campo della comunicazione si spiega la ricezione di messaggi tra menti umane
senza l’uso dei cinque sensi, con una sorta di connessione spiegabile appunto con l’Entanglement.

Ciò che cambia oggi, sulla scorta di nuove prove di laboratorio, è che la teoria viene suffragata da
fatti concreti, che la sperimentazione mette in luce senza ombra di dubbio, confermando le ipotesi
teoriche che già avevano reso perplesso Albert Einstein, che insieme ai suoi collaboratori aveva
comunque riconosciuto tale processo connettivo fra particelle che avevano avuto tra loro un
contatto. A distanza, anche abissale, le particelle collasserebbero nello stesso modo allo stesso
momento, proprio come se una – vivendo uno stato – lo trasmettesse all’altra, oppure come se
istantaneamente i fenomeni di posizione o di stato avvenissero all’unisono. Anche se non ci sono
spiegazioni, secondo la Fisica subatomica è certo che accada.

Fotoni: una relazione a quattro

Recentemente le cose sono cambiate. Riprendiamo dalla rivista Le Scienze (n. Febbraio 2016) alcune
dichiarazioni su un esperimento innovativo svolto.

“L’Entanglement, la correlazione a distanza che secondo le leggi della meccanica quantistica può
legare stati di particelle lontane tra loro, può essere stabilito anche tra i momenti angolari di
ben quattro fotoni. Lo hanno dimostrato per la prima volta ricercatori dell’Università di Leiden,
nei Paesi Bassi, guidati da Wolfgang Löffler, che firmano un articolo sulle Physical Review Letters.
Questo risultato è un importante passo in avanti nell’ambito della ricerche mirate alla
realizzazione di computer quantistici, che dovrebbero surclassare quelli convenzionali per potenza
di calcolo. Il momento angolare orbitale dei fotoni, scoperto in un esperimento effettuato proprio
all’Università di Leiden nel 1992, è una grandezza fisica su cui si sono concentrate di recente le
attenzioni dei fisici teorici e di quelli sperimentali. Si tratta dell’analogo quantistico del
momento angolare, una grandezza fondamentale che, nella meccanica classica, è associata al moto di
rotazione di un corpo intorno a un asse. L’analogia è dovuta al fatto che quando un’onda
elettromagnetica si propaga nello spazio, in certe condizioni, i fronti d’onda possono avvolgersi a
spirale attorno alla direzione di propagazione. In questo caso i fotoni, i quanti di luce, associati
all’onda, hanno quindi un momento angolare orbitale.

Schema dell’apparato sperimentale usato nello studio: attraversando un cristallo contemporaneamente,
quattro fotoni emergono legati dall’Entanglement (W. Löffler/Leiden University) Parte dell’interesse
destato da questa grandezza è dovuto al fatto che i momenti angolari orbitali di due particelle
possono essere legati tra loro dall’Entanglement, una correlazione a distanza che tanto aveva
perplesso Albert Einstein. Quando due particelle, opportunamente preparate, sono entangled, una
misurazione effettuata su una fa “collassare” lo stato della particella misurata su un dato valore e
contemporaneamente anche lo stato della secondo particella, indipendentemente dalla distanza a cui
si trova, su un altro valore. Alcuni recenti esperimenti hanno prodotto l’Entanglement tra i momenti
angolari orbitali di due fotoni, mentre il gruppo di Löffler, per la prima volta, è riuscito a
ottenerlo per ben quattro fotoni, facendo in modo che passassero nello stesso istante in un
cristallo”.

La mente fotonica

Dunque, anche per gli inesperti di Meccanica Quantistica o per noi psicologi, il fatto è di
importanza capitale, perché dimostra una volta di più che il fenomeno, utilizzato spesso
strumentalmente per spiegare eventi in qualche modo analoghi, è vero e dimostrato. Addirittura il
fatto che quattro fotoni reagiscano allo stesso modo è una dimostrazione che apre molti
interrogativi, appunto anche in altre discipline. La letteratura parapsicologica, ad esempio, è
ricchissima di prove in cui soggetti che hanno avuto contatti tra loro (parenti, gemelli, coppie
affiatate, ecc.) vivono esperienze analoghe o si trasmettono informazioni ed emozioni senza che
avvenga alcuna comunicazione tramite i cinque sensi o altri mezzi noti.

Classica è la situazione in cui un congiunto avverte improvvisamente una sensazione di disagio
profondo, scoprendo successivamente, che in quell’esatto momento un suo parente aveva avuto una
disgrazia, anche in condizioni in cui nulla faceva presagire ciò che poi è accaduto. Ricerche fatte
sui gemelli monozigoti sarebbero particolarmente favorevoli, ma anche tra congiunti o tra persone in
forte relazione emotiva tra di loro. Sulla stessa lunghezza d’onda, le migliaia di casi di persone
che vengono improvvisamente in mente dopo tanto tempo che si sono viste o sentite… e dopo pochi
secondi squilla il telefono con loro in linea. In molti casi si può ovviamente parlare di
coincidenze, anche se Jung avvertiva che le coincidenze sono spesso legate fra loro non da un
rapporto di causa-effetto, bensì di significato, come se ci fosse un filo sottile che lega eventi
che hanno un senso per i partner della comunicazione.

I laboratori scientifici vanno oltre: è sempre più frequente la sperimentazione tra soggetti che
sono in relazione fra di loro, dove non si misurano più gli “indovinamenti” di messaggi telepatici,
bensì si analizzano le onde elettroencefalografiche per individuare se nel momento casuale in cui un
soggetto riceve un messaggio, anche l’altro, che non sta compiendo niente di particolare, esibisce
la stessa funzione d’onda. Non essendoci una vera e propria trasmissione di pensiero a livello
conscio, ciò che avviene è una sorta di “telepatia inconsapevole”, ancora più significativa perché
dimostra la connessione tra le due sorgenti impegnate (trasmittente che vive uno stato e ricevente
che non sa come e quando avverrà quell’attimo, ma che in quell’attimo “riceve” la stessa sensazione
od emozione su un piano neurologico rilevabile). Alla domanda su come è possibile, almeno per ora
l’Entanglement è l’unica risposta possibile.

Un esperimento significativo

In questo tipo di esperimenti, condotti negli USA e anche in Italia, cambia totalmente la
prospettiva rispetto ai classici esperimenti di telepatia, fenomeno che passa in secondo piano, a
favore di ricerche centrate più sulla Neuropsicologia e Neurofisiologia, dietro a cui c’è comunque
l’uomo e le sue potenzialità mentali, anche inconsce o “automatiche”. Sembra di poter dire che le
correnti di pensiero moderne nella ricerca su cervello e mente stanno aprendo nuovi orizzonti che
potranno avere implicazioni di notevole portata nella conoscenza della nostra esistenza e della
relazione che esiste tra il Sé e gli altri.

Ripensando ad un esperimento storico della Parapsicologia, quello di Alister Hardy e Robert Harvie,
si possono fare nuove considerazioni proprio in funzione delle prove sull’Entanglement. I due
ricercatori inglesi avevano realizzato un esperimento collettivo in cui misuravano il numero di
“indovinamenti” di bersagli trasmessi telepaticamente da parte di un gruppo numeroso di persone
partecipanti alla prova.

Ottennero alcuni risultati significativi (corrispondenza tra bersaglio e risposta), ma dovettero
rilevare che molte risposte erano simili tra loro, come se fosse avvenuta una sorta di “ telepatia
interna ”, cioè un buon numero di soggetti davano risposte che non c’entravano col bersaglio, ma che
riproducevano lo stesso disegno. Sostennero che il fatto non poteva essere casuale perché ripetuto
in più esperimenti con frequenza significativa.
Verificare le ipotesi di lavoro

Al tempo della mia Tesi di Laurea in Parapsicologia volli ripetere gli esperimenti di Hardy e Harvie
e consapevole di quanto a loro accaduto decisi di inserire una variante. Mi rivolsi a un gruppo di
studenti delle magistrali e li divisi in vari gruppi; a uno di loro chiesi di indicare quali
bersagli avremmo dovuto utilizzare in un esperimento di Percezione ExtraSensoriale, mantenendolo
isolato dagli altri gruppi che, contemporaneamente erano chiamati a “indovinare” bersagli
prestabiliti con le tre modalità: Telepatia, Precognizione, Chiaroveggenza.

L’ipotesi di lavoro era che avrei misurato sia la corrispondenza verso i bersagli “veri” (quelli
utilizzati nelle prove) sia verso quelli “falsi” (quelli suggeriti dal gruppo che dovevano suggerire
quali usare). L’intenzione era di eliminare il fattore “caso”, vale a dire che le risposte casuali
erano riconoscibili in quanto frutto di un repertorio che i ragazzi comunque avrebbero esibito
essendo nella loro cultura e nel loro linguaggio abituale. I risultati diedero qualche indicazione
positiva rispetto ai bersagli veri, ma non statisticamente significativi, mentre la correlazione con
i bersagli falsi fu elevata, come da ipotesi. Dunque anche i relativamente pochi indovinamenti
potevano valere di più, perché avevano superato lo scoglio della cultura comune (per il fatto di
dover dare una risposta se non interviene l’ESP si usa il linguaggio corrente tra i ragazzi), mentre
era certo che tante risposte erano appunto simili tra loro per un fatto culturale. Dunque poca ESP,
ma probabilmente genuina e molta risposta casuale, come si potrebbe logicamente prevedere.

Tuttavia, ciò che allora interpretai non come una “telepatia interna” (a differenza di Hardy e
Harvie), bensì come incidenza del fattore culturale comune, potrebbe oggi essere modificata dalle
dimostrazioni sull’Entanglement. Infatti, le persone che hanno partecipato agli esperimenti inglesi
e ancor di più i ragazzi delle magistrali italiane, potrebbero, nella situazione sperimentale di
concentrazione su un bersaglio ignoto, aver avuto un’esperienza entangled, vivendo nello stesso
momento la sensazione o l’emozione sullo stesso stimolo, proveniente non dal bersaglio, ma dal
collega di esperimento.

Nel momento dell’attesa di una percezione nella mente di uno stimolo trasmesso o ignoto, per un
attimo, un’idea presentatasi a un partecipante potrebbe essere stata condivisa da un altro (anzi da
diversi altri, come accaduto negli esperimenti citati e come nel caso dei quattro fotoni entangled
dell’esperimento di Leiden). Su questa linea si potrebbe ripensare l’esperimento di Hardy e Harvie –
e della mia replica – isolando opportunamente tutti i partecipanti (forse lavorando anche via web) e
raccogliendo le loro percezioni a fronte di uno stimolo unico, che in realtà viene dichiarato ma non
utilizzato, per cui si può fare un calcolo statistico sulla eventuale “telepatia interna” e se
significativa, verificare ancor meglio l’ipotesi di un evento entangled multiplo.

Il fatto di credere che esista un bersaglio mette in movimento la disposizione mentale a ricevere
messaggi. Il fatto che non ci sia alcun bersaglio elimina la direzione (in andata o in ritorno)
verso quello specifico stimolo, permettendo di misurare solo la connessione tra le menti coinvolte
nell’esperimento. È vero che rimarrebbe sempre la possibilità del caso, ancora una volta superabile
attraverso un gruppo di controllo che in un momento precedente indica quali stimoli si potrebbero
usare; e poi si calcola se si manifesta una correlazione diversa fra ciò che i partecipanti
percepiscono “insieme” rispetto ai “falsi” bersagli, rappresentativi del caso.
Insomma, dalla Meccanica Quantistica arrivano input interessanti anche per le ricerche psichiche,
non soltanto dal punto di vista della speculazione teorica, bensì anche sul piano sperimentale. Per
cui l’idea che esista una sorta di connessione tra menti diverse, indipendentemente dalla distanza
spaziale, potrebbe essere sperimentata, per disporre di una verifica pratica che possa confermarla
(o confutarla).

karmanews.it

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