Le preziose indicazioni sulla natura mentale – Mindfulness

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Le preziose indicazioni sulla natura mentale

da parte di Mindfulness (erede moderna di vipassana)

di Segal, Williams e Teasdale

Il vagare della mente

Può essere fuorviarne descrivere la meditazione seduta come passare 30-40
minuti con l’attenzione concentrata sul respiro. In questa fuse del
programma la maggior parte delle persone passano un bel po’ di tempo a
sforzarsi di mantenere l’attenzione focalizzata mentre pensieri,
sentimenti, sensazioni fisiche o distrazioni esterne la allontanano dal
respiro.

Una caratteristica essenziale di questa pratica è che il suo obiettivo non
è impedire il vagare della mente ma entrare in una maggiore intimità con il
suo comportamento. Un esercizio importante nelle prime fasi consiste nel
riportare indietro sistematicamente e ripetutamente l’attenzione, da dove
può essersene andata, all’oggetto primario della meditazione. In questo
modo la pratica ci dà sempre l’opportunità di ricominciare in
questo momento, con questo respiro.

Un’istruzione che si ode spesso è: «Se la tua mente si
distrae cento volte, allora semplicemente riportala indietro cento volte.»
E in questo che consiste la pratica. Il compito, quando la mente si
distrae, è prenderne atto e ricollegarla delicatamente al respiro. Questo
significa evitare i giudizi e le critiche originati dal credere che non
stiamo riuscendo o non siamo abbastanza bravi a mantenere l’attenzione
legata al respiro. Diventare consapevoli della sensazione di «star lottando
per» mantenere la consapevolezza sul respiro è utile di per sé. In questa
fase del programma questo sforzo è visto semplicemente come un altro stato
mentale di cui diventare consapevoli prima di riportare con gentilezza
l’attenzione sul respiro.

Spesso, nella discussione delle esperienze dei partecipanti con la
meditazione seduta vengono sfiorati parecchi temi. Li presentiamo qui
accompagnati da un collegamento ai temi del programma, ma questo non
significa che un gruppo di MBCT diventi una seduta di interrogazioni e
risposte. L’istruttore cerca di esplorare con i partecipanti in che modo
ogni aspetto dell’esperienza può insegnare qualcosa della loro «geografia
interiore»: come possono imparare a «leggere la mappa», osservando le
connessioni tra pensieri, sentimenti e sensazioni fisiche. Le difficoltà
riportate nelle sedute sono le benvenute, come una possibile guida per
capire ciò che normalmente causa un deterioramento dell’umore o impedisce
che l’attenzione sia focalizzata o in quiete. Ponendo domande come: «Che
cosa sta osservando proprio adesso su questa sensazione?» la discussione
viene fondata sull’esperienza vissuta momento per momento.

Affrontarei pensieri cercando di controllarli

Non so se qualcun altro ha questo problema. Quando la mia mente se n’è
andata, mi ritrovo a pensare a mille altre cose. E molto difficile smettere
di andare al fiiniro. Cerco di controllarlo e forse funziona per due
minuti, ma poi vado nuovamente via.

Osserviamo con quanta facilità i partecipanti fraintendono le istruzioni
per la pratica. Rileggiamo quanto ha detto un partecipante: «E molto
diffìcile* fermarmi… Cerco di controllarlo… Forse funziona per due
minuti, ma poi…» In questo approccio non si tratta di tentare di
sopprimere o reprimere o controllare i pensieri. Se dovessimo tentare di
mandarli via o di reprimerli, molto probabilmente tornerebbero con
intensità anche maggiore. Praticare implica lo sviluppo di un modo abile e
delicato di arrivare a una consapevolezza, di riuscire ad accorgersi che
«c’è un pensiero» e sforzarsi, meglio che si può, di lasciarlo andare e
tornare a concentrarsi sul respiro. Non si tratta tanto ili cercare di
controllare i propri pensieri, quanto di sentirsi davvero a proprio agio
lasciando che le cose siano come sono, e poi tornare al respiro.

Essere curiosi di dove la mente vaga

A volte è davvero seccante. Vorrei che la mia mente restasse in un (visto,
ma sembra proprio che s

Terza seduta. La consapevolezza del respiro

Notate l’espressione di un forte desiderio di un risultato. Questa persona
vuole che la mente sia in un certo modo, e non succede. I nostri pensieri
assomigliano piuttosto a scimmie che corrono tra gli alberi; in un certo
senso sono dappertutto. Appena ci rendiamo conto che la mente è «saltata su
un altro albero», con tranquillità riportiamo indietro la nostra
attenzione. E così che arriviamo a formarci un senso di autentica intimità
con gli stati della nostra mente. E un atteggiamento molto più flessibile
che non pretendere che siano in un determinato modo. Ci limitiamo invece a
osservare come la mente si muove. Accostarsi con uno spirito di
sollecitudine e curiosità a ciò che ci sta accadendo è utile, perché
evidentemente è molto facile diventare invece impazienti e frustrati con
noi stessi.

Le sensazioni di disagio fisico

Se resto seduto troppo a lungo mi si cominciano ad addormentare le gambe e
ini viene mal di schiena. Non voglio assolutamente muovermi perché,
suppongo, turberei la mia concentrazione, ma alla fine restare immobile
diventa troppo doloroso.

Il dolore fisico è un buon bersaglio su cui applicare queste abilità in via
di sviluppo, perché può avere accesso con grande facilità al campo della
consapevolezza, ed è una sensazione nitida. Evidentemente la reazione
naturale a questo disagio è irrigidirsi o raccogliere le forze per
liberarsene. Diventare semplicemente consapevoli di questo impulso e fare
del proprio meglio per dedicarvi un interesse amichevole ed esplorarlo con
benevolenza, costituisce una pratica molto utile. Un’altra possibilità può
essere quella di portare l’attenzione sulla sensazione stessa di dolore, il
che richiede un’abilità nel mantenere un’attenzione non reattiva che in
questa fase del programma può non essere ancora disponibile a tutti i
partecipanti. Per coloro che sono pronti l’istruzione è di concentrarsi
direttamente sul disagio e sul dolore (punti 6 e 7 della finestra 8.2). Per
gli altri l’istruzione è la seguente: se la mente viene trascinata verso le
forti sensazioni di dolore, notare questo e riportare l’attenzione sul
respiro usando il respiro come un punto fisso a cui ritornare. Nelle fasi
successive del programma i partecipanti avranno l’opportunità di apprendere
ulteriormente a concentrarsi su ciò che è difficile e indesiderato.

Riconoscere i modelli dì pensiero automatico

Che cosa non va in in me? Perché non riesco a trovare il tempo per
praticare la meditazione?

In tutto questo lavoro, si tratta di imparare a osservare la nostra
esperienza con un atteggiamento amichevole piuttosto che identificarci con
essa, resistervi o rifiutarla. Come abbiamo detto presentando quella
persona che pensava di non ingranare, per affrontare i pensieri negativi
automatici possiamo fare del nostro meglio per notarli, etichettarli come
«giudizi» e lasciarli semplicemente andare. Quello che è difficile è
limitarsi a osservarli senza biasimarsi per il fatto di averli. Il pensiero
«vorrei non aver avuto questi pensieri sulla tal cosa» diventa troppo
facilmente «a questo punto dovrei esserne fuori. Devo essere una persona
molto debole e immatura». L’obiettivo non è cercare di bloccare i pensieri,
ma praticare stando con essi in modo diverso e lasciando da parte il
bisogno di coinvolgerci in essi, di reagirvi o rassicurarci negandone la
validità. Possiamo essere qui, e possono esserci anche i nostri pensieri,
ma ciò non significa che dobbiamo avere con essi il legame che ci era
abituale. In tal senso, ci aiuterà molto essere più consapevoli di come la
nostra attenzione si sposta.

Che fare quando sorge una fonte emozione

Spesso scopro che mi sto identificando con le emozioni, credendo realmente
che definiscano la mia esperienza. Allora mi sento in trappola e disperato.
Come posso lavorare con questi sentimenti?

Possiamo lavorare con le emozioni mantenendole nella consapevolezza, senza
dover agire su di esse. Dirci: «Oh, ecco la rabbia», piuttosto che: «Sono
stufo di lei perché mi parla in questo modo»; «Ecco la paura» piuttosto
che: «Sono terrorizzato di fare un grande pasticcio con questo discorso che
devo tenere» ci permette di essere con l’emozione in un modo che non ci
richiede di identificarci completamente con essa. Col tempo impariamo anche
che l’emozione stessa può cambiare continuamente forma; può diventare
rapidamente più intensa o meno. Alcuni istruttori descrivono la mente come
un ampio cielo luminoso. Putti i nostri sentimenti, pensieri e sensazioni
sono come le nuvole che passano senza influenzare la natura del cielo. Le
nuvole, il vento, la neve e gli arcobaleni vanno e vengono, ma il cielo è
sempre semplicemente sé stesso, è per così dire un «contenitore» per questi
fenomeni passeggeri. La pratica mira a far sì che la mente sia questo cielo
e tutti questi fenomeni fisici e mentali sorgano e svaniscano come semplici
incidenti atmosferici. In questo modo la mente può restare equilibrata e
centrata senza essere spazzata via nel dramma di ogni tempesta passeggera.

Il Diario degli eventi spiacevoli

Un tema che emerge di solito dalle osservazioni precedenti è la difficoltà
di affrontare i pensieri, le emozioni e le sensazioni corporee negative.
Naturalmente è raro che si arrivi a distinguere tra questi tre aspetti dei
fenomeni mente-corpo. A tale scopo è utile usare il feedback fornito dal
Diario degli eventi spiacevoli, che dà a ciascuno l’opportunità di
riflettere e ili condividere le sue riflessioni su ciò che è accaduto
quando ha cercato di registrare quei momenti e di fissare con precisione i
pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche. Troviamo utile servirsi di
una lavagna per segnare le risposte a questo esercizio, distinguendo (ed
elencando separatamente) i diversi elementi che emergono: si trattava di un
pensiero, di una sensazione fisica o di un’emozione?

Una cosa che può emergere all’inizio è che spesso momenti in apparenza
banali contengono elementi e aspetti di cui non siamo affatto consapevoli.
Inoltre, la distinzione tra pensieri, emozioni e sensazioni fisiche è una
rivelazione per molti partecipanti. Per gli psicologi e gli altri operatori
della salute mentale è talmente evidente che possono facilmente dimenticare
che non fa parte dell’esperienza quotidiana immediata. L’esercizio rivela,
infine, che per alcuni è particolarmente difficile prendere consapevolezza
di sensazioni fisiche molto sfumate. Il fatto che il corpo invii
continuamente al cervello dei segnali che in genere vengono ignorati per la
maggior parte del tempo, è una grossa scoperta. Il fatto che queste
sensazioni fisiche possono essere usate per riconoscere alcune sottili
modificazioni delle emozioni si dimostra molto utile per parecchie persone.

Generalizzare la pratica: lo spazio di respiro di tre minuti

Non è insolito, per chi sta provando a sviluppare una pratica formale di
meditazione, dimenticare che la pratica va inserita nella vita quotidiana.
Una certa «pratica generalizzata» è importante per collegare ciò che viene
appreso a una gamma più ampia di situazioni. Ma non è facile generalizzare
quanto si apprende nella pratica formale. Naturalmente abbiamo già dato
istruzioni su come rendere consapevole un’attività di routine (per esempio
mentre ci laviamo i denti, diamo da mangiare al gatto, portiamo fuori la
spazzatura); dobbiamo però arrivare a portare nella vita di tutti i giorni
piccoli frammenti di pratica formale. A tale scopo proponiamo una
«mini-meditazione», lo spazio di respiro di tre minuti.

Questo esercizio si ispira alla pratica della terapia cognitiva per la sua
forma molto definita e strutturata: in questo caso, l’obiettivo è come
inserire la mind-fulness nella vita quotidiana. Anzitutto programmiamo
l’esercizio del respiro tre volte al giorno in momenti prefissati. Poi
chiediamo ai partecipanti di eseguirlo non solo in quei momenti ma ogni
volta che ne sentono il bisogno, per esempio se si sentono stressati
(questo uso dell’esercizio viene presentato nella quarta seduta). Lo spazio
di respiro di tre minuti diventa così un importante veicolo per portare la
pratica della meditazione formale nella vita quotidiana. I partecipanti
scoprono anzitutto che possono usarlo per affrontare direttamente i
problemi man mano che si presentano. Scoprono poi che è un modo di
prendersi una pausa e riprendere contatto con il momento presente anche nel
pieno di una giornata frenetica.

Questo esercizio è costituito da tre passi fondamentali. Nel primo si deve
staccare il pilota automatico e chiedersi: «Dove sono?», «Che succede?»
L’obiettivo è individuare e riconoscere la propria effettiva esperienza in
quel momento. Nel secondo passo si porta l’attenzione sul respiro
raccogliendosi per concentrarsi su questo unico oggetto, il respiro. Il
terzo passo consiste nell’espandere l’attenzione per includere il senso del
respiro e del corpo come un tutto (vedi finestra 8.3).

Finestra 8.3 L ‘esercizio dello spazio di respiro di tre minuti
(trascrizione)

La prima cosa che facciamo in questa pratica, dal momento che è breve e
vogliamo arrivare rapidamente al punto essenziale, è assumere una postura
molto definita (…) rilassata, dignitosa, con la schiena dritta ma non
rigida, lasciando che il nostro corpo incarni il senso di una presenza
vigile.

Ora, chiudendo gli occhi se questo ci fa sentire a nostro agio, il primo
passo è essere consapevoli, realmente consapevoli di quello che ci sta
accadendo in questo mpmentp. Diventare consapevoli di quello che passa per
la nostra mente: quali pensieri sono presenti? Ancora, meglio che possiamo,
notiamo i pensieri come semplici eventi mentali (…) notiamo i pensieri, e
poi notiamo le emozioni che sono presenti (…) in particolare, facendo
attenzione a ogni sensazione di disagio o di spiacevolezza. Quindi,
piuttosto che tentare di scacciarli o di tacitarli, semplicemente li
riconosciamo, magari dicendo: «Ah, siete qui, ecco come stanno le cose
adesso.» E analogamente con le sensazioni fisiche (…) Sono sensazioni di
tensione, di oppressione o altro ancora? Anche qui, esserne consapevoli,
limitarsi a notarle. «Ok, così stanno le cose.»

In questo modo comprendiamo quanto ci sta accadendo proprio adesso. Abbiamo
disattivato il pilota automatico. Il secondo passo è unificare la nostra
consapevolezza concentrandoci su un unico oggetto, i movimenti del respiro.
Quindi, adesso ci raccogliamo davvero, concentrando l’attenzione in basso
nei movimenti dell’addome, il salire e lo scendere del respiro (…)
passando un minuto circa a concentrarci sul movimento della parete
addominale (…) momento per momento, respiro dopo respiro, meglio che
possiamo. In questo modo sappiamo quando il respiro entra, e sappiamo
quando esce. Semplicemente portando la nostra consapevolezza sulle
sensazioni del movimento nella pancia (…) raccogliendoci, usando il
respiro per ancorarci davvero al presente.

E adesso, come terzo passo, dopo che ci siamo ricentrati in qualche misura,
lasciamo espandere la nostra consapevolezza. Oltre a essere consapevoli del
respiro, includiamo il senso del nostro corpo come un tutto. In questo modo
raggiungiamo questa più ampia consapevolezza (…) il senso del nostro
intero corpo, che comprende ogni percezione di tensione o le sensazioni
connesse a una rigidità alle spalle, al collo, al dorso o al viso (…)
continuiamo a seguire il respiro come se tutto il nostro corpo respirasse.
Abbracciando tutto con questa più dolce e più ampia consapevolezza.

E poi, quando siamo pronti, semplicemente apriamo lentamente gli occhi.

Ci sono domande o osservazioni?

Dopo l’esercizio si chiede ai partecipanti un feedback sulla loro
esperienza. A volte il feedback riprende temi che sono già apparsi nel
gruppo; ma possono anche emergere temi nuovi. Nell’esempio che segue emerge
il tema della lunghezza contrapposta alla brevità.

partecipante: La mia attenzione ha divagato, non all’inizio ma circa
quindici secondi dopo. E poi l’ho ripresa. E perché si è consapevoli che
sta andandosene?

istruttore: Forse. L’idea di diventare consapevoli di un singolo respiro
sembra attuabile, ma essere consapevoli del proprio respiro per mezz’ora
sembra un compito enorme. In realtà, sapete, si può farlo un respiro per
volta! È coinè avere davanti a noi un’enorme catasta eli tronchi da
spostare. Se consideriamo tutta la catasta, il cuore e le forze ci vengono
meno. Ma possiamo concentrarci solo su quello che dobbiamo fare in questo
momento, prestare pienamente attenzione solo a questo e poi passare a
quello che viene dopo, e allora diventa fattibile.

Notiamo che questo si può collegare con l’idea che molti hanno di esaurirsi
pensando a tutte le cose da fare che si sono accumulate non solo oggi ma
nel resto della settimana e del mese. Queste persone portano un peso che
non dovrebbero portare. Concentrarsi solo sul momento presente e su ciò che
si ha davanti permette di attivare solo l’energia che serve per eseguire il
compito di questo momento.

Non si arriva facilmente a programmare una seconda pratica formale
quotidiana, anche se solo di tre minuti. A volte si assegna ai partecipanti
un certo tempo per formare delle coppie e condividere come prevedono di
organizzarsi per avere, nella settimana seguente, ogni giorno tre occasioni
per praticare l’esercizio dello spazio di respiro.

Il corpo come intima finestra aperta sulla mente

Molti partecipanti riferiscono che a volte la loro pratica è dominata da
una lotta per mantenere la calma di fronte alle rimuginazioni negative.
Naturalmente col tempo l’obiettivo diventa riuscire a rapportarsi in modo
diverso con questo tipo di pensieri. Sganciare l’attenzione dai modelli
abituali senza reprimerli o tacitarli è un’azione sottile e può richiedere
molta pratica. Noi enfatizziamo la possibilità che, quando si scopre la
tendenza a impegnarsi in una lotta tra un pensiero («perché ha detto
questo?») e un altro («questo è un pensiero sciocco»), si può sempre
scegliere di fare attenzione a come i pensieri e le emozioni influenzano il
nostro corpo. La consapevolezza del corpo ci aiuta a sperimentare una
diversa «maniera» di essere. Prendere consapevolezza di una sensazione
fisica modifica la natura dell’esperienza emozionale e ci dà più scelta su
come rispondere a quello che accade «qui e ora». Se diventiamo consapevoli
di reagire emozionalmente a qualcosa, il nostro corpo può dirci qualcosa
della nostra relazione con queste emozioni.

Prestare attenzione al corpo ci offre un altro «luogo» da cui osservare le
cose, una posizione di osservazione diversa e favorevole da cui rapportarsi
ai pensieri. Se vogliamo ottenere una capacità prospettica sui pensieri e
le emozioni, se vogliamo davvero «essere dentro» il nostro corpo, allora
abbiamo questo luogo diverso da cui stare a guardare i pensieri e le
emozioni, invece che soltanto nella nostra testa. Infine, come abbiamo
osservato nella prima seduta, spesso il corpo fa parte del circolo vizioso
che mantiene l’umore depresso (per esempio, la tensione muscolare ci tiene
bloccati nell’ansia; una postura «depressa» ci mantiene nel circolo della
depressione). Prendere intenzionalmente consapevolezza del corpo può avere
altri due effetti. Anzitutto, prestare attenzione a sensazioni di cui forse
non eravamo consapevoli può cambiare l’esperienza stessa di queste
sensazioni, proprio come nell’esperienza di mangiare l’uvetta con
consapevolezza, vista nella prima seduta. In secondo luogo, prendere
consapevolezza del nostro corpo ci permette di scegliere di modificare una
componente della «modalità mentale» che ci tiene bloccati in un determinato
stato emozionale attraverso un’alterazione volontaria della postura o
dell’espressione del viso.

Nelle prime due settimane del programma abbiamo usato il body scan per
aiutare i partecipanti a essere più consapevoli delle sensazioni fisiche.
La pratica formale della meditazione seduta comprende anche il divenire
consapevoli degli stati corporei. Ma molti trovano più facile concentrarsi
sul corpo se questo è impeganto nel camminare o in esercizi di stretching.
Ecco perché fa parte del lavoro a casa assegnato dopo la terza seduta la
pratica della mindful-ness basata sia sul respiro che sul corpo, variando i
compiti quotidiani con la combinazione di un esercizio di stretching (20
minuti) seguito da una meditazione seduta sul respiro (15 minuti) un
giorno, alternato il giorno successivo con una meditazione camminata (15
minuti).

Noi utilizziamo anche una serie di 10 minuti di stretching durante la
seduta. Anche all’interno di questa breve pratica sorgono parecchie
questioni. Anzitutto questa pratica facilita l’osservazione dei contrasti.
Per esempio, sono essenziali lo sforzo necessario per mantenere una postura
e il sollievo associato al ritorno a una posizione neutra. Analogamente, è
significativa la tensione muscolare nel sollevare le braccia, seguita dal
riposo che proviene dall’abbas-sare le braccia sui fianchi. Il compito è
semplicemente prestare attenzione a questi contrasti e osservare le
sensazioni associate a ogni fase dei movimenti prescritti. Questa pratica
eseguita in seduta ci offre anche l’occasione di ricordare ai partecipanti
di tenere sotto controllo l’atteggiamento con cui eseguono gli esercizi.
Per qualcuno questo può costituire una vera scoperta.

partecipante: La raccomandazione è di focalizzare l’attenzione sui muscoli
e sulle emozioni, è così?

istruttore: Sì, sono lieto che lei si sia accorto che il senso di mtto ciò
naturalmente non è di irrobustire il corpo. E solo un’altra opportunità per
diventare consapevoli del corpo, ma che è un po’ più facile perché il corpo
si muove… E importante lo spirito con cui lo tate. Ecco perché la
cassetta vi dirà di farlo lentamente e di prestare atten*/.ione alle
particolari sensazioni su cui vi state concentrando… e se avete problemi
di schiena fate attenzione. Fatelo sempre con molta delicatezza. Come dice
la cassetta, accettate i messaggi che provengono dal vostro corpo…
E’ una meravigliosa occasione per mettere da parte le norme.
E’ facile cominciare a imporre a sé stessi delle norme facendo diventare
questa pratica una tortura. Invece lo spirito giusto è farlo in modo dolce,
senza renderlo una prestazione.

Questa risposta illustra il tema del giusto equilibrio tra lo sforzo
richiesto dallo stretching e l’attenzione a evitare di farsi male.
Sottolineiamo che l’idea non è di mantenere una postura finché diventa
dolorosa, ma piuttosto di spostarsi avanti e indietro rispetto alla soglia
in cui si è consapevoli di queste forti sensazioni, continuando a prestare
attenzione alle sensazioni stesse. Osservando le sensazioni di dolore in
sé, bruciore, tremore, il compito è respirare con le sensazioni, lasciando
andare e venire, nella consapevolezza, i pensieri su di esse. Non è diverso
da quando, nella meditazione seduta, riportiamo l’attenzione sul respiro,
ma in questo caso ci concentriamo sulla sensazione trascurando rutto il
reste » L’abilità costruita da questo modo di rapportarsi alle sensazioni
fisiche entra in gioco in fasi successive del programma, quando si usa un
approccio analogo per spostarsi consapevolmente dentro e fuori dalle
emozioni dolorose.

I partecipanti scoprono che questo lavoro procura parecchi benefici.
Anzitutto le sensazioni fisiche associate con le azioni di distendere,
tirare, trattenere, bilanciare e altre ancora permettono ad alcuni di
apprendere qualcosa di più sul loro corpo. In secondo luogo, molti scoprono
che, anche se non si erano posti questo obiettivo, il loro corpo diventa
più duttile e più reattivo alle richieste che gli vengono fatte
quotidianamente. Questo lavoro permette inoltre ad alcuni partecipanti di
imparare a distinguere le sensazioni presenti nelle diverse parti del
corpo. Il risultato è che, anche se si sentono tesi, è più probabile che la
sensazione resti confinata a un’unica zona piuttosto che diffondersi a
tutto il corpo.

Come con la meditazione seduta formale, sorge la questione di come
generalizzare alla v ita quotidiana questa maggiore consapevolezza delle
sensazioni nelle diverse zone del corpo. Una possibilità è prendere
un’azione fisica che si esegue quotidianamente ed eseguirla consapevolmente
al rallentatore in modo da farne un ponte tra la pratica e la vita
quotidiana. E quanto si fa nella cosiddetta «meditazione camminata».

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