Le proprieta’ del suono – parte 1

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Le proprieta’ del suono – parte 1

di Andrew Collins

visto su misteri.us

In tutto il mondo la memoria popolare registra un tempo remoto in cui i civilizzatori
usavano il potere del suono per erigere le prime città. Avvolte nel più profondo mistero sono le
rovine di Tiahuanaco, una grande cittadella fortificata sull’altopiano boliviano che un tempo
sorgeva sulle sponde del lago Titicaca, un immenso mare interno che oggi, in seguito agli
spettacolari mutamenti geologici e climatici, dista nientemeno che 19 chilometri dalla costa.

Disseminate su una vasta area, si trovano varie strutture megalitiche, soprattutto
templi, e numerosi monoliti scolpiti e blocchi da costruzione caduti del peso di 100 tonnellate
ciascuno. Prima di essere ricostruita in epoca moderna, gran parte di quel che restava di Tiahuanaco
giaceva al suolo, come se l’avesse rovesciata una mano invisibile di immensa potenza distruttiva. In
realtà la sua fine fu determinata molto probabilmente da una serie di calamità naturali come
terremoti e inondazioni – eventi che probabilmente fecero innalzare il lago Titicaca dal livello del
mare alla sua altitudine attuale di oltre tremila metri.

La datazione della città è controversa, È molto antica, quanto nessuno è in grado di
dirlo; tuttavia nel 1911 un’indagine approfondita svolta dall’autorevole archeologo Arthur
Posnansky, professore dell’università di La Paz, ne attribuì la data di fondazione intorno a1 10.000
a.C., presumibilmente durante le catastrofi planetarie che accompagnarono la fine dell’ultima Era
Glaciale. Successivamente altri importanti studiosi confermarono la grande antichità di Tiahuanaco,
anche se archeologi e storici convenzionali generalmente datano il sito appena al 700 d.C.

Il pezzo principale delle rovine della città è la Porta del Sole, un gigantesco portale
in pietra del peso di una decina di tonnellate, sulla cui facciata è scolpita una figura maschile
che impugna due lunghi bastoni. Si tratta del leggendario fondatore di Tiahuanaco, Ticci Viracocha,
o Thunupa, che emerse da un’isola al centro del lago all’inizio del tempo, e con i suoi seguaci,
detti “”i viracocha””, fondò la città prima di spostarsi a nord, diffondendo la civiltà ovunque
andasse.-

Una leggenda, narrata dai locali indios aymara a un viaggiatore spagnolo che visitò
Tiahuanaco poco dopo la conquista, parla della fondazione della città avvenuta all’epoca della
Chamac Pacha, o Prima Creazione molto prima dell’ arrivo degli incas. I primi abitanti, dotati,
secondo la legenda, di poteri soprannaturali, erano capaci di sollevare miracolosamente dal terreno
le pietre che “”… venivano trasportate dalle cave di montagna attraverso l’aria al suono di una
tromba””.

La Bolivia è agli antipodi dell’Egitto, eppure abbiamo qui una testimonianza che fa
pensare che anche gli antichi popoli delle Americhe conoscessero proprietà del suono che vanno al di
là della nostra comprensione.

Da dove nascevano questi miti se non erano basati su qualche realtà storica? È possibile
che esista un legame tra tradizioni così lontane fra di loro?

A Giza come a Tiahuanaco è stata attribuita una data di fondazione che risale a prima
della fine dell’ultima Era Glaciale, 15000-I0000 a.C. circa. è possibile che una tecnologia acustica
sia stata esportata in diverse regioni della terra da una cultura globale finora sconosciuta?

Gli indios aymara boliviani e peruviani raccontarono ai primi viaggiatori e storici
spagnoli che Viracocha non era soltanto un civilizzatore e un operatore di portenti, ma anche uno
scultore, un agronomo e un ingegnere che “”fece sì che terrazze e campi si formassero sui fianchi
ripidi dei burroni, e mura di sostegno sorgessero a puntellarli””. Ma diversamente da loro, Ticci
Viracocha aveva la pelle chiara e gli occhi azzurri, era alto di statura e aveva capigliatura e
barba bionde o bianche.

Portava una lunga tunica bianca con una cintura in vita, e possedeva un “”fare
autorevole””. Innumerevoli volte il grande portatore di sapere venne raffigurato così nel folclore
e nelle leggende del Sud America, sottolineando il suo evidente
aspetto caucasico. Cosa strana, poi, proprio a lui fu attribuita la capacità di muovere i blocchi di
pietra con mezzi misteriosi. Un racconto ce lo presenta mentre per primo crea un “fuoco” celeste,
che “si spegneva al suo comando, ma le pietre non venivano consumate così che i grandi blocchi
potevano essere sollevati con le mani, come fossero di sughero”. Chi erano, esattamente, questi
viracocha, e perché veniva loro attribuita la capacità di spostare i blocchi di pietra solo mediante
mezzi soprannaturali?

Solo con un fischio

Spostandoci a nord della penisola messicana dello Yucatán, troviamo, nascosti nel fitto
della foresta, gli antichi templi dei maya, una civiltà precolombiana dotata di una cultura
incredibilmente evoluta. Il loro straordinario impero fiorì nel primo millennio dell’era cristiana,
ma è chiaro che avevano ereditato le loro profonde conoscenze da una cultura molto precedente. I
maya erano indicibilmente ossessionati non solo dai cicli del cielo e dai movimenti delle stelle ma
anche dal passaggio del tempo. Il loro complesso calendario, per esempio, poteva calcolare con
precisione date di centinaia di milioni di anni addietro, individuando esattamente il giorno e il
mese in cui un certo giorno cadeva.

Uno dei complessi di templi più misteriosi lasciatici dai maya è quello di Uxmal,
realizzato, secondo la leggenda, da una razza di nani. Più strana, però, è l’informazione che una
leggenda maya ci dà su questi mitici nani: “Per loro il lavoro di costruzione era facile, non
dovevano far altro che un fischio e le pesanti pietre andavano al loro posto”. A questi potenti nani
erano dovute tutte le più antiche realizzazioni del tempo della Prima Creazione, per le quali
dovevano solo “fischiare perché le pietre si mettessero nelle costruzioni nella giusta posizione o
perché la legna da ardere venisse da sola dalla foresta fino al focolare”.
Nonostante questi poteri soprannaturali, i nani sarebbero stati distrutti da un grande
diluvio, anche se molti avevano tentato di mettersi in salvo nascondendosi sottoterra in “grandi
serbatoi di pietra come le riserve d’acqua sotterranee, che loro
vedevano come barche”.

Troviamo qui, ancora una volta, astratte e forse confuse storie su una razza
prediluviana capace di usare il potere del suono per costruire mura di pietra. È facile etichettare
questi racconti come fantasie di ignoranti, ma i popoli dell’Egitto e delle Americhe non erano i
soli a impiegare il suono nella costruzione dei loro più antichi monumenti.

Costruito al suono di una lira

Secondo gli autori classici greci, Tebe, capitale della Beozia – un antico regno
situato a nord ovest di Atene – fu fondata dal fenicio Cadmo, famoso viaggiatore e civilizzatore.
Questa grande città, detta Cadmeia in onore del suo fondatore, sarebbe stata completata da un figlio
di Zeus di nome Anfione. La cosa più singolare è che Anfione era capace di spostare grosse pietre
al suono di una lira, e in questo modo poté costruire le mura di Tebe. Pausania, il geografo greco
del secondo secolo dopo Cristo, parla infatti di Anfione che costruisce le mura della città “alla
musica della sua lira”, mentre i suoi “canti attiravano dietro di lui perfino le pietre e gli
animali”. Anche Apollonio Rodio, vissuto nel terzo secolo prima di Cristo, riferisce poeticamente
nelle Argonautiche di Anfione che cantava “forte e chiaro accompagnandosi con la lira d’oro, seguito
passo passo da grandi massi”.

Si tratta di semplici favole, basate su invenzioni ed esagerazioni letterarie molto più
antiche, o rappresentano in qualche modo la memoria confusa di un tempo in cui gli abitanti di Tebe,
uniti sotto un fondatore chiamato Anfione, erano in grado di usare il suono della lira per spostare
massi e innalzare mura?

Sembra incredibile, ma se tradizioni del genere poggiano davvero su ricordi alterati di
eventi reali, potrebbero contenere importanti informazioni sulle origini di questa tecnologia
perduta. Le tradizioni riguardanti Cadmo indicano chiaramente che Tebe fu fondata da immigrati
fenici che dovettero stabilirsi qui nel terzo o secondo millennio a.C. Cadmo, si dice, introdusse in
Beozia l’alfabeto fenicio e il culto di divinità fenicie ed egizie, quindi è possibile che abbia
portato con sé, dalla sua terra di origine, anche eventuali conoscenze relative alla tecnologia
sonica.

La Fenicia era sede di una grande civiltà marinara fiorita verso il 2800 a.C. nella
regione del Mediterraneo orientale che oggi comprende il Libano e la Siria nordoccidentale. Era
costituita da una serie di città-stato, ciascuna con un proprio governo e una propria cultura, unite
solo dal commercio, dalla religione e dall’abilità nella navigazione. I fenici erano i più grandi
marinai dell’antichità, ma essi stessi dicevano di avere appreso le tecniche marinare da una
precedente razza di dei.

L’ideazione di Betulia

Come la mitologia classica, le leggende fenicie parlano di un’età dell’oro che
precedette la storia ufficiale, quando gli dei e gli uomini vivevano gli uni accanto agli altri.
L’argomento è trattato negli scritti di Sanchoniatho, il più antico storico fenicio di cui abbiamo
conoscenza, che visse prima delle guerre di Troia, intorno al 1200 a.c.. Egli parla del dio Urano,
o Cielo, fondatore della prima città chiamata Biblo, che ancora oggi è un fiorente porto libanese.
Da qui la razza degli dei colonizzò l’intera sponda orientale del Mediterraneo. Sanchoniatho ci
informa anche che uno degli dei, Taautus (il Thoth egiziano, l’inventore della scrittura), fondò la
civiltà egizia.

Sapendo tutto ciò, mi incuriosì la scoperta negli scritti di Sanchoniatho di un
riferimento alquanto ambiguo alla levitazione delle pietre. Senza fornire alcuna spiegazione, lo
storico fenicio afferma che Urano “ideò Betulia
creando pietre che si muovevano come dotate di vita propria”.

La parola Betulia indica in questo contesto grandi pietre grezze di dimensioni
ciclopiche. È possibile che questa cultura fenicia di Biblo, che Sonchoniatho identifica con una
razza di dei, possedesse la capacità di sollevare i blocchi di pietra usando la potenza del suono?
Potrebbero gli dei aver trasmesso questa capacità ai loro discendenti fenici, che a loro volta la
portarono in Beozia al tempo di Cadmo e Anfione? E se così fosse, da dove potrebbe essere giunta
questa conoscenza sulla tecnologia
del suono?

Tanto i fenici quanto i loro contemporanei greci, i micenei, erigevano mura ciclopiche.
Delfi, Micene e Tirinto furono tutte costruite, originariamente, con enormi blocchi di pietra di
dimensione e peso enormi. Un disegno ottocentesco di un muro in pietra gigante appartenente alla
città-stato fenicia oggi scomparsa dell’isola di Aradus, di fronte alla costa siriana mostra
massicci blocchi di pietra, alcuni lunghi fino a 3 metri e pesanti dalle 15 alle 20 tonnellate
ciascuno, come nella figura .

È inutile dire che esiste una netta somiglianza tra queste strutture ciclopiche e quelle
della piana di Giza, in Egitto. Sappiamo che già nel 4500 a.C. popoli di una cultura prefenicia
avrebbero navigato non solo nel Mediterraneo ma anche lungo la costa atlantica oltre lo stretto di
Gibilterra. È possibile che questo popolo marinaro prima sconosciuto abbia in qualche modo
ereditato l’uso della tecnologia del suono da una cultura ancora più antica: forse gli dei degli
Anziani dell’Egitto?

Si sa che Biblo era un’attiva cittadina già attorno al 4500 a.C., e che nel 3000 a.C.
circa era diventata una civiltà marinara che intratteneva scambi commerciali con paesi come Creta e
l’Egitto. Molti studiosi sono propensi a credere che Biblo ebbe un suo ruolo importante nella
nascita dell’Egitto faraonico. È dunque possibile che una cultura abbia ereditato dall’altra la
conoscenza della tecnologia del suono? E quale fu delle due che ereditò? A questo problema, almeno
per il momento, non c’è una risposta chiara. È il caso però di ricordare che fu attorno al 3500 a.C.
che in Egitto si cominciò ad applicare quell’incredibile tecnica litica che, come ho già mostrato,
utilizzava attrezzi ad alta tecnologia quali seghe lineari e circolari, torni meccanici e trapani a
ultrasuoni.

Per il momento è sufficiente sapere che le tradizioni che collegano il suono alla costruzione di
edifici sono universali e non limitate a una particolare etnia, cultura, religione o a uno specifico
continente. Ciononostante, gli scettici diranno che leggende del genere sono tutte nate
semplicemente dalla superstizione. Per giunta, quando anche fossero “reali”, non ci direbbero
praticamente nulla sui metodi eventualmente impiegati nell’antichità per ottenere la levitazione
sonica.

Ciò di cui avevo bisogno erano resoconti più affidabili sulla tecnologia sonica e dopo
lunghe ricerche trovai quello che cercavo: la testimonianza diretta di due viaggiatori occidentali
che avevano assistito all’uso di questa tecnologia, in Tibet, nella prima metà del ventesimo secolo:
le due storie sono state entrambe raccolte negli anni cinquanta dall’ingegnere e scrittore svedese
Henry Kjellson.

Lo strano caso del dottor Jarl

Il primo caso riguarda un medico svedese, a cui Kjellson attribuisce il nome fittizio
di “Jarl”. Negli anni Venti o Trenta – la data esatta non viene fornita – Jarl accettò l’invito di
un amico tibetano di andare a trovarlo al suo monastero, situato a sud-ovest della capitale
Lhasa. Fu durante il suo anno sabbatico che Jarl avrebbe assistito alla levitazione di blocchi di
pietra, alti e profondi un metro e larghi uno e mezzo, mediante l’uso del suono.

L’evento avrebbe avuto luogo in un prato vicino, leggermente in salita verso una parete
montuosa orientata a nord-ovest.

Jarl aveva notato che a circa 250 metri sulla parete rocciosa si apriva l’imboccatura di
una grande caverna preceduta da un’ampia cornice, accessibile solo tramite funi calate dalla cima
dello strapiombo. Qui i monaci stavano costruendo un muraglione in pietra. Notò anche che, a una
distanza di circa 250 metri dalla base della parete, era stato interrato un grosso masso piatto,
la cui superficie superiore mostrava un ampio avvallamento a tazza, profondo 15 centimetri. Circa 63
metri dietro la pietra interrata, un folto gruppo di monaci vestiti di giallo sembravano intenti a
preparare un’operazione coordinata. Alcuni avevano enormi tamburi altri lunghe trombe, molti altri
si stavano schierando in lunghe file, mentre uno dei monaci con una corda fornita di nodi segnava
accuratamente la posizione di ciascuno. Jarl contò 13 tamburi e 6 trombe: gli strumenti erano
situati a circa 5 gradi l’uno dall’altro, formando un arco di cerchio di poco più di 90 gradi
centrato sul masso a tazza.

Dietro ogni strumento c’era una fila di otto o dieci monaci, la cui disposizione
complessiva aveva l’aspetto di uno spicchio di ruota.

Al centro dell’arco c’era un monaco con un piccolo tamburo appeso al collo con una
tracolla di cuoio. Ai suoi lati c’erano altri due monaci forniti di tamburi di media dimensione.
Questi erano appesi a telai di legno con corregge di pelle fissate a un paio di bastoni che li
attraversavano longitudinalmente fungendo da leve di direzione.

continua…

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