del Venerabile Ajahn Sumedho
– Dodicesima parte e fine
RAZIONALITÀ’ ED EMOTIVITÀ’
Se date molta importanza al pensiero razionale e siete attaccati alle idee
e alle percezioni, tenderete a disprezzare le emozioni. Potete voi stessi
notare questa tendenza se, quando provate un’emozione, vi dite: “Adesso non
la lascio entrare; non mi piace provare cose del genere”. Non vi piace
provare delle emozioni, perché solo la limpidezza intellettuale e il
piacere del pensiero razionale possono darvi una specie di esaltazione, per
cui la mente assapora la via della logica, di ciò che è controllabile, che
ha un senso. E’ tutto così limpido, chiaro, preciso, come in matematica,
mentre le emozioni sono così invadenti! Non sono precise, non sono limpide
e possiamo facilmente perderne il controllo.
Spesso disprezziamo chi ha una natura emotiva, perché ne abbiamo paura. Per
esempio, gli uomini hanno una gran paura delle emozioni, perché sono
cresciuti con l’idea che i veri uomini non debbano piangere. Quando ero
bambino, a quelli della mia generazione veniva insegnato che i maschietti
non piangono, per cui cercavamo di vivere come ci si aspettava che i maschi
dovessero vivere. Dicevano: “Sei un maschietto” e così cercavamo di essere
quello che i nostri genitori si aspettavano da noi. Le idee della società
influenzano la nostra mente, e proprio per questo troviamo imbarazzante
provare delle emozioni. In Inghilterra, per esempio, la gente trova le
emozioni molto imbarazzanti; se vi mostrate un po’ troppo emotivi, ne
deducono che siete italiani o comunque stranieri.
Se siete molto razionali e prevedete sempre tutto, non sapete che fare
quando incontrate una persona emotiva. Se qualcuno comincia a piangere,
pensate: “Chissà cosa devo fare ora?” e forse direte: “Su allegro; va tutto
bene! Andrà tutto a posto; non c’è niente da piangere.” Se siete una
persona molto attaccata al pensiero razionale, cercherete di respingere la
situazione con la logica, ma le emozioni non vanno d’accordo con la logica.
Spesso esse reagiscono alla logica, e comunque non rispondono ad essa.
L’emozione è qualcosa di molto sensibile che agisce in un modo non sempre
comprensibile. Se non avete mai cercato di comprendere che cosa vuol
dire ‘sentire’ la vita,
essere veramente aperti e ‘lasciarsi essere’ sensibili, le
situazioni emotive vi spaventeranno e vi imbarazzeranno. Non sapete come
trattarle, perché è una parte di voi che avete rifiutato.
Quando compii trent’anni, mi accorsi di essere un uomo emotivamente
sottosviluppato. Quello fu un compleanno importante per me. Realizzai che
ero un uomo completamente fatto, un uomo maturo – non mi consideravo più un
ragazzo, eppure emotivamente, qualche volta, ero come un bambino di sei
anni. A quel livello non mi ero interamente sviluppato. Anche se in società
mostravo un atteggiamento da uomo maturo, non sempre mi sentivo così dentro
di me. Nella mente avevo un’infinità di sensazioni e paure non risolte. Era
chiaro che dovevo fare qualcosa, perché la prospettiva di passare il resto
della mia vita con un’emotività da bambino, mi spaventava.
Questo è un punto su cui molti, nella nostra società, si perdono. Per
esempio la società americana non permette che uno si sviluppi
emozionalmente, che maturi. Addirittura non ne capisce la necessità, per
cui non prevede alcun rito di passaggio verso l’età matura. La società non
dà alcun genere di lasciapassare verso il mondo della maturità; lascia che
gli uomini rimangano immaturi per tutto il resto della vita. Ci si aspetta
che vi comportiate da uomo maturo, non che siate maturi. Ed è per
questo che poche persone lo sono. Le emozioni non sono né capite né risolte
– le tendenze infantili sono semplicemente represse, picjmrasto che aiutate
a evolversi verso la maturità.
La meditazione offre la possibilità di maturale sul piano emotivo. Samma
vayama, samma sati e sanvnu samadhi *sono la perfetta maturità
emozionale. Questa è solo una riflessione e non la troverete in nessun
libro:: è solo un oggetto di contemplazione. La perfetta maturità
emozionale comprende Retto Sforzo, Retta Consapevolez2a e Retta
Concentrazione. E’ presente quando non si è (trascinati da sbandamenti e
vicissitudini continue, quando vi è equilibrio, chiarezza e la capacità di
essere ricettivi e sensibili.
LE COSE COSI’ COME SONO
Con il Retto Sforzo si ha la calma accettazione di una situazione,
piuttosto che il panico derivante dall’idea che è “oltre le mie forze
sistemare tutto e tutti, riparare e risolvere i problemi di ognuno”.
Facciamo ciò che possiamo al meglio, ma nello stesso tempo realizziamo che
non spetta a noi fare tutto e sistemare tutto.
Vi fu un periodo, al tempo in cui stavo a Wat Pah Pong con Ajahn Chah, in
cui mi sembrava che molte cose andassero male al monastero. Così andai da
lui e gli dissi: “Ajahn Chah, ci sono delle cose che vanno male; dovete
fare qualcosa”. Mi guardò e rispose: “Oh Sumedho, stai proprio soffrendo
molto. Soffri parecchio. Ma cambierà”. Dentro di me pensai: “Non gliene
importa niente! Questo è il monastero a cui ha dedicato la sua vita, eppure
lascia che ci sia tutto questo spreco!” Ma aveva ragione lui. Infatti dopo
un po’ le cose cominciarono a cambiare. Proprio perché i monaci vivevano
con pazienza e consapevolezza, cominciarono ad accorgersi di ciò che
stavano facendo. Certe volte dobbiamo lasciare che qualcosa vada male prima
che qualcuno se ne accorga, sperimentandolo personalmente. Solo allora
impariamo ad agire bene. Capite quel che voglio dire? Alcune volte nella
vita ci sono delle situazioni che vanno proprio così. Non c’è niente da
fare, per cui lasciamo che le cose siano come sono; anche se peggiorano, le
lasciamo peggiorare. Ma così facendo non siamo né fatalisti né negativi: è
come una specie di pazienza questa volontà di sopportare, di lasciare che
il cambiamento avvenga naturalmente, invece di cercare egoisticamente di
intervenire e rimettere a posto tutto, spinti solo da avversione e
disappunto contro il disordine.
E allora non ci arrabbieremo più, non ci offenderemo più – o almeno non
sempre – per quello che capita, non ci sentiremo più a terra o distrutti
per ciò che la gente fa o dice. Conosco una persona che tende ad esagerare
sempre tutto. Se qualcosa va male, dice: “Sono completamente, assolutamente
distrutto!”, anche se quello che è successo è solo un piccolo
inconveniente. La sua mente esagera talmente che anche un piccolo dettaglio
può rovinargli la giornata. In questi casi, ci si rende conto che c’è un
grande squilibrio, poiché una cosa quasi insignificante non può distruggere
una persona.
Un giorno mi resi conto che mi offendevo facilmente, per cui promisi a me
stesso di non offendermi più. Mi offendevo con estrema facilità per piccole
cose, sia che fossero intenzionali o meno. Cominciai ad osservare come
facilmente mi sentissi offeso, ferito, colpito, arrabbiato o angosciato –
vedevo che c’era qualcosa in me che cercava di essere gentile, ma poi
un’altra parte si sentiva sempre offesa da una cosa o urtata da un’altra.
rono ad accorgersi di ciò che stavano facendo. Certe volte dobbiamo
lasciare che qualcosa vada male prima che qualcuno se ne accorga,
sperimentandolo personalmente. Solo allora impariamo ad agire bene. Capite
quel che voglio dire? Alcune volte nella vita ci sono delle situazioni che
vanno proprio così. Non c’è niente da fare, per cui lasciamo che le cose
siano come sono; anche se peggiorano, le lasciamo peggiorare. Ma così
facendo non siamo né fatalisti né negativi: è come una specie di pazienza
questa volontà di sopportare, di lasciare che il cambiamento avvenga
naturalmente, invece di cercare egoisticamente di intervenire e rimettere a
posto tutto, spinti solo da avversione e disappunto contro il disordine.
E allora non ci arrabbieremo più, non ci offenderemo più – o almeno non
sempre – per quello che capita, non ci sentiremo più a terra o distrutti
per ciò che la gente fa o dice. Conosco una persona che tende ad esagerare
sempre tutto. Se qualcosa va male, dice: “Sono completamente, assolutamente
distrutto!”, anche se quello che è successo è solo un piccolo
inconveniente. La sua mente esagera talmente che anche un piccolo dettaglio
può rovinargli la giornata. In questi casi, ci si rende conto che c’è un
grande squilibrio, poiché una cosa quasi insignificante non può distruggere
una persona.
Un giorno mi resi conto che mi offendevo facilmente, per cui promisi a me
stesso di non offendermi più. Mi offendevo con estrema facilità per piccole
cose, sia che fossero intenzionali o meno. Cominciai ad osservare come
facilmente mi sentissi offeso, ferito, colpito, arrabbiato o angosciato –
vedevo che c’era qualcosa in me che cercava di essere gentile, ma poi
un’altra parte si sentiva sempre offesa da una cosa o urtata da un’altra.
ARMONIA
Solo quando sono presenti il Retto Sforzo, la Retta Consapevolezza e la
Retta Concentrazione, non si ha più paura. Non c’è più paura perché non c’è
più niente di cui aver paura. Si ha il coraggio di guardare in faccia le
cose e non prenderle nel modo sbagliato; si ha la saggezza di contemplare e
riflettere sulla vita; si ha la fiducia e la sicurezza che dà sila, la
forza del proprio impegno morale, la determinazione di far solo il bene,
astenendosi dal fare il male con le azioni e le parole. Tutto ciò, insieme,
forma la via dello sviluppo interiore. E’ un sentiero perfetto, perché ogni
componente aiuta e sostiene l’altra: il corpo, la natura emotiva
(sensibilità e sentimenti) e l’intelligenza. Tutto è in perfetta armonia,
ognuno sostenendo l’altro.
Senza una tale armonia, la nostra natura istintiva può prevalere. Se non
abbiamo un impegno morale, gli istinti potrebbero prendere il sopravvento.
Per esempio, se seguiamo soltanto il desiderio sessuale senza dargli un
supporto morale, ci troveremo in tutta una serie di situazioni che ci
faranno perdere la stima di noi stessi. L’adulterio, la promiscuità, le
malattie, il disordine e la confusione derivano dal fatto di non aver messo
un freno alla natura istintiva, attraverso limitazioni morali.
Possiamo usare l’intelligenza per fare pettegolezzi o per mentire, vero? Ma
quando c’è un fondamento morale, siamo guidati dalla saggezza e da samadhi;
e questi a loro volta portano all’equilibrio emotivo ed alla forza
emotiva. La saggezza però non va usata per sopprimere la sensibilità. In
Occidente spesso crediamo di poter dominare le emozioni o con la logica o
sopprimendo la natura emotiva in noi; troppo spesso abbiamo usato il
pensiero razionale e gli ideali per dominare e sopprimere le emozioni,
divenendo così insensibili alle cose, alla vita, a noi stessi.
Tuttavia, nella pratica di consapevolezza della meditazione vipassana, la
mente è completamente ricettiva e aperta, in modo da avere quella globalità
e quella qualità che abbraccia tutto. La mente aperta è anche riflessiva.
Quando vi concentrate su un punto, la mente non è riflessiva: è assorbita
nella qualità dell’oggetto. La capacità riflessiva della mente, invece,
viene dalla consapevolezza, dalla completa presenza mentale. Non bisogna
filtrare né selezionare, ma prendere soltanto nota che una cosa sorge e
sempre poi cessa. Contemplate che se vi attaccate a qualcosa che sorge, poi
questa stessa cosa cesserà, e sperimentate che, anche se è attraente mentre
sorge, poi cambierà fino a cessare. Allora la sua attrattiva diminuisce e
dovremo trovare qualcos’altro in cui porre il nostro interesse.
Il fatto di essere umani ci porta ad essere sempre in contatto con la
terra, e dobbiamo accettare le limitazioni di questa forma umana e della
vita sul pianeta. La via per uscire dalla sofferenza non consiste
nell’uscire dalla nostra esperienza umana, raggiungendo sottilissimi stati
di coscienza, ma abbracciando la totalità di ciò che è umano, con la
consapevolezza. Il Buddha mirava alla realizzazione completa e non ad un
rifugio provvisorio basato su sublimi e piacevoli stati di coscienza. E’
ciò che vuole dire il Buddha quando indica la strada verso il Nibbana.
L’OTTUPLICE SENTIERO COME INSEGNAMENTO DI RIFLESSIONE
Nell’Ottuplice Sentiero, gli otto elementi sono come otto gambe che vi
sostengono. Non bisogna pensarli come una serie lineare: 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, ma come un insieme. Non va prima sviluppata panna e soltanto poi,*sila
a cui debba seguire samadhi. Eppure noi la pensiamo così, vero? “Prima
se ne ha una, poi due e infine tre”. In quanto vera realizzazione,
l’Ottuplice Sentiero, è un’esperienza totale, è un tutt’uno. Tutte le parti
lavorano insieme per rafforzarsi e svilupparsi; non è un processo lineare.
Noi lo pensiamo lineare, perché possiamo avere un solo pensiero per volta.
Tutto ciò che ho detto sull’Ottuplice Sentiero e sulle Quattro Nobili
Verità è solo una riflessione. La cosa veramente importante per voi è
capire ciò che sto facendo mentre rifletto, piuttosto che aggrapparvi alle
cose che dico. Si tratta di interiorizzare l’Ottuplice Sentiero, usandolo
come un insegnamento di riflessione, in modo da poterne capire il vero
significato. Non pensate di saperlo, solo perché potete dire* Samma
ditthi vuol dire Retta Comprensione e
Samma sankappa vuol dire Retto Pensiero. Questa è solo comprensione
intellettuale e infatti un altro potrebbe dire: “No, credo che samma
sankappa voglia dire…” E voi di rimando: “No, nei libri si dice Retto
Pensiero. Ti sbagli…” Questo non è riflettere. Possiamo tradurre samma
sankappa con Retto Pensiero o Atteggiamento o Intenzione; insomma in vari
modi.
Cerchiamo invece di usare questi strumenti come base di contemplazione
piuttosto che pensarli come qualcosa di rigido o qualcosa da accettare
perché è la dottrina ortodossa, in cui ogni variazione dalla giusta
interpretazione è eresia. Talvolta la mente è molto rigida, ma bisogna
superare questo modo di pensare, sviluppando una mente agile, che osserva,
investiga, considera, scopre e riflette.
Sto cercando di incoraggiarvi ad essere così aperti da considerare le cose
per quello che sono, invece di aspettare che qualcuno vi dica se siete
pronti o no per l’illuminazione. Infatti l’insegnamento buddhista riguarda
l’illuminazione ‘qui e ora’, piuttosto che ciò che si deve fare per diventare
illuminati. L’idea che dobbiate diventare illuminati può venirvi solo da
una comprensione sbagliata. L’illuminazione sarebbe allora solo un’altra
condizione dipendente da qualcosa: non sarebbe quindi vera illuminazione,
solo la percezione dell’illuminazione. Ma io non sto parlando di
percezioni, sto dicendo di mantenersi sempre attenti sul modo in cui le
cose sono. Noi possiamo osservare solo il momento presente: il domani deve
ancora venire, e di ieri abbiamo solo i ricordi. La pratica buddhista
invece è immediata, basata sul qui e ora, guardando le cose così come sono.
Cosa dobbiamo fare, quindi? Per prima cosa, dobbiamo osservare i nostri
dubbi, le nostre paure: ci attacchiamo talmente itnito alle nostre opinioni
e ai nostri punti di vista, erte sono proprio questi a farci dubitare di
quello che stiamo facendo. Alcuni invece sviluppano un’eccessiva fiducia in
sé, credendo di essere degli illuminati. Ma, sia credere di non essere che
credere di essere illuminati, è solo un’illusione. L’importante è essere
illuminati, non credere di esserlo. E per arrivare a ciò, bisogna aprirsi
alle cose così come sono.
Cominciamo con il modo in cui le cose sono ora, mentre sono presenti in
questo momento – ad esempio col respiro del nostro stesso corpo. Che ha a
vedere questo con la Verità, con l’illuminazione? Osservare il mio respiro
vuol dire essere illuminati? Ma più pensate, più cercate di immaginare che
cosa sia l’illuminazione, più diventerete dubbiosi e insicuri. Tutto ciò
che possiamo fare, sotto questa forma convenzionale, è lasciare andare
l’illusione. Questa è la pratica delle Quattro Nobili Verità e lo sviluppo
dell’Ottuplice Nobile Sentiero.
GLOSSARIO
Ajahn: parola thai, sta per ‘insegnante’; si usa per il monaco anziano
del monastero o per i monaci in generale. Deriva dalla parola pali
acariya e si può trascrivere anche ‘achaan’ o ‘acharn’.
Bhikkhu: mendicante, monaco buddhista che vive di elemosina e si attiene
alla pratica dei precetti che definiscono una vita di rinuncia e moralità.
Buddha rupa: immagine del Buddha.
Origine condizionata: una presentazione concatenata di come la sofferenza
sorga in dipendenza dall’ignoranza e dal desiderio, e di come cessi con la
cessazione di questo ultimo.
Dhamma: con iniziale minuscola: i fenomeni, visti come parte
dell’universo in generale, piuttosto che come entità individuali o
personali. Con lettera maiuscola, si riferisce all’insegnamento del Buddha,
così come tramandato dalle scritture, oppure alla Verità Ultima verso cui
mira l’insegnamento. (In sanscrito: Dharma).
Kamma: azione o causa creata o ricreata dalla ripetizione di impulsi,
volizioni o da energie naturali. Volgarmente, viene spesso usato nel senso
di risultato o effetto di un’azione, ma il termine specifico per questo è
vipaka. (In sanscrito: karma).
Giorno d’Osservanza (in pali: uposatha), giorno sacro o ‘sabbath’ del
plenilunio e novilunio. In questo giorno, i buddhisti riconfermano la loro
pratica del Dhamma, che riguarda i precetti e la meditazione.
Tipitaka: (letter. ‘I Tre Canestri’) la raccolta delle scritture
buddhiste, classificate sotto tre sezioni: Sutta (Discorsi), Vinaya
(Disciplina) e Abhidhamma (Metafisica).
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